GENNAIO - FEBBRAIO - MARZO 2024
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Dott. Rosario Messina

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Base di Sigonella (Ct)Si è concluso presso la Base dell’Aeronautica Militare (AM) di Sigonella il ciclo del progetto che prevedeva attività di tirocinio, formazione ed orientamento per circa 150 studenti dell’Istituto Tecnico Aeronautico “Arturo Ferrarin” di Catania e dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “E. Majorana” (Indirizzo conduzione del mezzo aereo) di Gela (CL).

L’attività, che ha avuto la durata di oltre un mese, è stata sviluppata a seguito delle convenzioni siglate nei mesi precedenti tra il Comandante del 41° Stormo e dell’Aeroporto di Sigonella Colonnello Federico Fedele e i Dirigenti Scolastico degli Istituti Ferrarin e Majorana, rispettivamente il Dott. Giuseppe Finocchiaro e la Prof/ssa Mirella Di Silvestre.

Il progetto di collaborazione si è articolato con una serie di percorsi teorici e pratici per gli studenti al fine di sviluppare e valorizzare le loro vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali, avvicinandoli alle attività della Difesa e dell’AM per toccarne con mano le dinamiche organizzative e conoscere meglio una realtà sempre al servizio del cittadino, ventiquattro ore su ventiquattro, senza soluzione di continuità.

I dettagli della permanenza dei ragazzi all’interno della base sono stati studiati dai “tutor” della Forza Armata e dell’Istituto. Le attività hanno interessato le branche del controllo spazio aereo e della meteorologia dell’Aeroporto di Sigonella e quelle della manutenzione e dell’attività dei Gruppi Volo del 41° Stormo.

Tutte aule di “esperienze reali” dove i ragazzi hanno perfezionato il loro percorso formativo, attraverso l’interagire direttamente con gli specialisti del settore operativo dell’AM.

Sia il Dott. Finocchiaro che la Dott/ssa Di Silvestre, nel ringraziare tutta l’AM per l’esperienza peculiare di avvicinamento al mondo operativo della Forza Armata, in sostanza hanno precisato che i ragazzi dopo l’esperienza a Sigonella sono ritornati sui banchi di scuola motivati e ritemprati, sottolineando che alcuni di essi hanno anche rimodulato i loro obiettivi futuri alla luce dei colloqui con il personale della base e delle loro esperienza durante lo stage.

Il Col. Fedele, nel farsi portavoce della “vision” dell’Aeronautica voluta dal Capo di Stato Maggiore dell’AM Generale di Squadra Aerea Enzo Vecciarelli, ha detto che “questo tipo di attività, dove protagonisti sono i nostri giovani del futuro, è un segno tangibile verso quell’obiettivo che vede la Forza Armata dinamica e perfettamente integrata nel contesto sociale nel quale opera proiettata sempre al servizio del cittadino e alla salvaguardia delle persone, delle cose, della cultura e dei valori del Paese”.

L’Aeroporto di Sigonella ha il compito di fornire il supporto tecnico, logistico, amministrativo ed operativo al 41° Stormo Antisom ed ai Reparti rischierati ed in transito sull’omonima Base Aerea, assicurando i servizi necessari per il sicuro ed efficace svolgimento delle attività di volo. Inoltre, è responsabile della fornitura dei servizi del traffico aereo all’interno della zona di controllo (CTR) di Catania, che comprende i cieli della Sicilia orientale e dei mari adiacenti, ivi compresi gli Aeroporti di Sigonella, Catania-Fontanarossa e Comiso.

Il 41° Stormo Antisom di Sigonella garantisce dal 1965 la protezione delle principali vie marittime della Nazione, contrastando la minaccia delle unità navali subacquee e di superficie potenzialmente ostili e fornendo un costante servizio di ricerca e soccorso in mare a lungo raggio, a mezzo del “Breguet 1150 Atlantic” e ora anche del velivolo P-72A. Inoltre, assicura il controllo del traffico mercantile, nell’ambito delle operazioni contro il terrorismo internazionale, e il supporto alle attività volte al controllo dei flussi d’immigrazione clandestina dai quadranti meridionali del mediterraneo, garantendo giornalmente la copertura delle ampie zone di mare d’interesse, per la tempestiva localizzazione di profughi in mare e l’allertamento degli organi preposti.

   1* M. Carmelo Savoca

Foto di Gruppo

Foto di Gruppo

Un momento dello stage

Un momento dello stage

Studenti a lezione

Studenti a lezione

Un momento dello stage

Un momento dello stage

Lo stage

Lo stage

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Giardini Naxos – Piazza San Pancrazio ospitelunedì 17 tradizionale festa di Pasquetta, il concerto musicale “Ciuri D’Africa” elaborato nell’ambito del progetto dell’associazione Nati A Sud.   L’evento musicale realizzato col patrocinino del Comune di Giardini Naxos, a cura di Antonio l’edicolante e grazie a numerosi sponsor locali, inizierà a partire dalle ore 15,00.

Valorizzare il bello e il buono del Sud a partire dall’arte, dalla musica, dallo spettacolo e, soprattutto, dai suoi talenti“. É questa l’idea di base del progetto culturale firmato Nati A Sud,  un idea corale nata 6 anni fa grazie all’idea di Emanuele Di Giorgio, frontman della formazione di world music Ciauda e  Adriana Harej, Denis D’Ignoti, Valeria Giordano, Martina Villari. Una vetrina performativa che, dopo due anni di pausa, riapre per il grande evento di musica, arte e divertimento “Ciuri d’Africa” che si terrà il giorno di Pasquetta a Giardini Naxos nell’area turistica di Naxos.

L’idea di realizzare un evento musicale a Giardini Naxos realizzato dai gruppi musicali che aderiscono al progetto,  è nata dall’incontro tra Emanuele Di Giorgio e il giardinese Antonio Macrì, meglio conosciuto come Antonio l’edicolante. I due si sono trovati in sintonia nella comune voglia di riappropriarsi del territorio e di essere  protagonisti e non semplici comparse nel percorso di rinascita del Sud.  «Le persone come Antonio – racconta Emanuele Di Giorgio – sono piccoli grandi eroi perché nel quotidiano,  si mettono costantemente in gioco per la loro comunità senza chiedere nulla in cambio e solo per  portare un po’ di bellezza».

Il cast del Concerto “Ciuri d’Africa”, in programma lunedì 17 aprile, è in continua crescita. Ad oggi, hanno aderito:  Antonio Alma (sax, Catania), Bejia floor (Catania-Londra), Caruana Mundi (Ragusa) Ciauda (Catania), Cristian Falzone (batterista, Catania), Flamencolé (Catania), Flavio Costantino (Scordia-ct), Luigi Di Pino (cantastorie, Riposto- ct) , Mara Diop (cantautore, Senegal) , Mimi Sterrantino (Castemola- me), Ninni Simonelli (Giarre-ct), Noemi Costantino (Caltanissetta), Oumy Mbaye (djambe, Africa), Pineals (Catania), Sara Priolo, (cantautrice, Agrigento), Tatha Ngom (sanar, Africa), Torkio (Ramacca-ct).  Insieme e uniti nel nome di quella “Positive energy” che si sprigiona quando la Bedda famigghia si riunisce e che è sempre stato il manifesto sonoro del progetto Nati a Sud.

Il progetto musicale che sarà proposto a Giardini Naxos, è nato nel 2011 a Nicolosi e successivamente è diventato un festival itinerante per la Sicilia. Ricordiamo a tal proposito  il concerto del “Capodanno tutto catanese” del 2013.  «Fu una serata indimenticabile – racconta Di Giorgio – in cui ad applaudire i Nati a Sud in Piazza Università erano in 10 mila. La nostra musica coinvolge pubblico e artisti perché aggrega tante anime sensibili e presenta, nella stesso spettacolo, tutti i generi del mondo».

L’evento di Pasquetta sarà anche un assaggio della rassegna estiva Nati a Sud che si terrà tra luglio e agosto a Scordia. «Siamo convinti – conclude Di Giorgio – che siano questi i veri protagonisti della rinascita della nostra terra. Persone che, quotidianamente, perseverano nel fare del bene e che comprendono il valore dell’arte e della coesione».

                  ROSARIO  MESSINA

La locandina dell'evento

La locandina dell’evento

Un concerto di Nati A Sud

Un concerto di Nati A Sud

Antonio l'edicolante

Antonio l’edicolante

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Giardini Naxos – Il  liceo Caminiti di Giardini Naxos sarà ospite nell’ambito della II edizione di “Nostos” Festival del viaggio e dei viaggiatori che si svolgerà a Noto dal 20 al 23 Aprile. La classe III A del linguistico, con alcuni allievi anche delle classi IIIAe IVA scientifico, coordinate dai docenti Roberto Litteri e Carmelina Longo, nell’ ambito del progetto alternanza scuola-lavoro, in collaborazione con il DICAM della Università di Messina, sotto la supervisione della prof.ssa Mariavita Cambria, presenteranno a Noto, presso il liceo Matteo Raeli, il risultato del progetto” Per interposta persona” che li ha visti impegnati nella traduzione in italiano di due testi di viaggiatrici straniere in Sicilia. Si tratta del diario “Casa nostra. A Home in Sicily” della inglese Caroline Seller Manzo e del diario ” Unerwegs in Sizilien”  della tedesca  Ulrike Rauh, testi mai tradotti in Italia. Gli studenti con questo loro prezioso intervento daranno, dunque, il loro contributo creativo al festival dedicato al Viaggio, ideato da Naxoslegge, nel contesto del quale sono programmati diversi appuntamenti tematici, con un omaggio a Tolkien e la Seconda edizione del premio “Ai custodi della Bellezza”, di cui sarà insignito, alla memoria, Enzo Maiorca, con una cerimonia , sabato 22 aprile, nella splendida cornice di palazzo Nicolaci di Noto.

Logo NOSTOS

Il Logo

Il programma

Il programma

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Giardini NaxosLe Pro Loco di Giardini Naxos e Gaggi hanno promosso anche quest’anno il progetto ” Il mito di Naxos nelle terre dell’Akesines”, giunto alla terza edizione. Il patrimonio naturalistico, storico e archeolo-gico di Naxos e della valle Alcantara entra a pieno titolo nelle scuole primarie dell’Istituto Comprensivo Giardini con il progetto “Il mito di Naxos nelle terre dell’Akesines” ideato dal prof. Giuseppe Carmeni. L’evento gode del patrocinio del Parco Fluviale dell’Alcantara e dell’UNPLI Sicilia; della compartecipazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Giardini Naxos; della collaborazione dell’Istituto Comprensivo Giardini e del Comune di Gaggi; con la partecipazione della Naxos Entertainment (laboratorio cinematografico e teatrale), della Byframe (Agenzia di Comunicazione) e dell’Artista Cristina Russo. Il progetto didattico educativo vuole consolidare le comuni radici culturali che lega-no le due città di Giardini Naxos e di Gaggi, attraverso una serie di iniziative, in parte già sviluppate nei mesi di marzo e aprile, che si concluderanno nel mese di maggio. Il progetto considera la scuola, a partire da quella primaria, luogo privilegiato per la formazione delle future generazione, affinché possano conoscere e apprezzare il proprio patrimonio naturalistico e culturale; a tale scopo sono stati coinvolti circa 70 alunni, due classi quinte del plesso di Gaggi e le classi quinta e quarta di Giardini del plesso di Pallio. Nei due plessi scolastici sono stati già realizzati il 21 e il 23 marzo i laboratori di archeologia ellenica tenuti dalla dott.ssa Vera Quattrocchi, sulla fondazione della pri-ma colonia di Sicilia, la polis di Naxos, la Chora e i centri ellenizzati della valle Alcantara. Il 4 e il 6 aprile si sono conclusi i laboratori artistici tenuti dall’artista e costumista Cristina Russo, che ha coinvolto gli alunni in attività ludiche finalizzate all’apprendimento della civiltà, dell’arte, della cultura e delle divinità dell’Olimpo. Nel corso dei laboratori artistici gli allievi si sono cimentati nella realizzazione di costumi dell’antica grecia, oggetti e armi che indosseranno durante la visita al Parco archeologico di Naxos il 7 maggio. Gli esperti del progetto,  sono stati coadiuvati a Giardini dai dirigenti Luana La Spina e Carmelo Anselmi e dalla socia Lorrie Wood, a Gaggi dalle ragazze del Servizio Civile in servizio presso la sede provinciale UNPLI Messina. Il progetto, giunto ormai alla 3° edizione, ha visto protagoniste anche le insegnanti, le quali stanno collaborando con entusiasmo proponendo ai propri allievi lavori di ricerca e di approfondimento. Saranno coinvolti pure i genitori ai quali verranno assegnati dei ruoli finalizzati al buon esito dell’iniziativa ed accompagneranno i propri figli durante la visite guidata in costume al Parco Archeologico e al museo di Naxos e il 21 maggio al Parco Fluviale dell’Alcantara (l’antico fiume Akesines).

il logo del mito di Naxos

il logo del mito di Naxos

Una delle lezioni  del progetto

Una delle lezioni del progetto

Una classe

La dott.ssa Vera Quattrocchi

Una lezione di Cristina Russo

Una lezione di Cristina Russo

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Catania, 7 Aprile 2017 - «La maggiore incidenza dei tumori è legata alle grandi città e, in Sicilia, è Catania ad avere l’incidenza più elevata seguita – ragionando statisticamente per distretti”, ha precisato il prof. Salvatore Sciacca, direttore scientifico del Registri Tumori della Sicilia Orientaledalle zone etnee di Gravina-Acireale-Giarre. All’8° posto si trova il polo industriale di Priolo-Melilli-Augusta. Al 15° c’è Gela, al 30° Milazzo. Tra le grandi città Palermo è al 2° posto, Messina al 3°. Questo significa che le zone industriali vengono dopo le grandi città metropolitane e le zone etnee di Catania.”

«In particolare, Catania svetta in testa per carcinomi della tiroide. A fronte di una media regionale di 12-13 casi su 100.000 abitanti, a Catania si registrano 30 casi su 100.000 abitanti. Dato elevato non solo per l’Italia meridionale, che notoriamente ha un’incidenza inferiore rispetto al centro e al nord, ma anche per la media nazionale.

«Altro dato importante è la differenza statistica tra l’incidenza dei tumori nella parte orientale dell’Etna e quella occidentale. Lungo la bisettrice che va da Maniace a Paternò, confrontata con quella che va da Taormina a Gravina di Catania, la differenza dell’incidenza tumorale è estremamente forte e statisticamente significativa. E corrisponde con la direzione del vento preminente va da ponente verso levante. I tumori riscontrati in questa zona interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Si temono, però, anche altre malattie. Ad esempio a Linguaglossa ci sono otto casi di SLA contro una media di 1 ogni 100.000. Tutto questo è oggetto di uno studio che il Registro Tumori della Sicilia Orientale sta conducendo con i neurologi.”

«È stata, inoltre, rilevata una elevata incidenza di misotelioma pleurico a Biancavilla. Ed è tanto grave che è stato individuato, per legge, come sito di interesse nazionale per la presenza della fluoroadenite». Lo ha dichiarato il prof. Salvatore Sciacca, direttore scientifico Registri Tumori della Sicilia Orientale, durante la quinta giornata della “Settimana della Salute in Sicilia” che si è tenuta stamattina al Policlinico Universitario Vittorio Emanuele di Catania.

 

Prof. Salvatore Sciacca, direttore Registro Tumori Sicilia Orientale

Prof. Salvatore Sciacca, direttore Registro Tumori Sicilia Orientale

L'intervento del prof. Sciacca

L’intervento del prof. Sciacca

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Motta Camastra – “Oggi si va alla foce dell’Alcantara”, mi fà il mio amico Gianfranco un giorno durante il periodo di Pasqua. Era un pomeriggio uggioso, di una anomala giornata di primavera e dopo aver camminato per un po’ mi imbatto in un magnifico paesaggio “canadese”: la grande foce del fiume Alcantara che sgorga dal bosco del parco naturale del fiume.

E’ il pomeriggio di sabato 8 ottobre e, decidendo di fare il percorso al contrario per capire dove tutto ha avuto inizio, salgo sulla corriera dell’Interbus e mi avvio a risalire lungo la strada statale che costeggia il fiume risalendo l’antica ancestrale vallata. Il paesaggio è di quelli che non scordi mai, la vallata è enorme, segno di una stratificazione geologica intensiva e poderosa, e ti sembra di essere sospeso tra la terra e il cielo. Il mare in lontananza fa da sfondo pittorico e figurativo al quadro naturalistico offerto dallo spettacolare abbraccio tra il cielo e le montagne. Superiamo Graniti e già notiamo, uno dopo l’altro, Francavilla di Sicilia e Castiglione. Quando lasciamo, a Fondaco Motta, il bivio per Francavilla per imboccare la salita verso Motta Camastra lo spettacolo che si schiude davanti è sorprendente: un gruppo di antiche case incastonate nella roccia e a strapiombo sulla valle ti danno il benvenuto. Ad un certo punto sei costretto ben volentieri a scendere dalla corriera e a salire a piedi, come se ti dicessero: “adesso lasciati prendere per mano”, e ti ritrovi sospeso tra la terra e il cielo ad imboccare l’unica strada principale, via Roma, che ti accompagna verso il centro del paese mentre diventa corso Umberto.

La sagra della noce vede tutti i “mottesi” in strada coinvolti in iniziative che vanno dalla vendita di prodotti tipici (il pesto, la marmellata ed il liquore alle noci) alla distribuzione di specialità dolciarie tipiche (i mostaccioli, gli strafacciuoli, i panzerotti). Continuo a salire e già comincio ad incontrare le prime “mamme del borgo” che offrono il loro menù casereccio ed economico per un buon pranzo o una cena a base di ravioli, maccheroni e quant’altro. L’atmosfera è calorosa e accogliente, lontana da quella artificiosa e artificiale di  borghi turistici similari, qui tutto è più sincero e più autentico nella sua semplicità e questa ospitalità così attenta e premurosa ti fa smettere gli abiti del turista per sentirti parte della comunità in un abbraccio che non ti abbandona. Continuo il mio percorso animato da maggior entusiasmo e curiosità e mi imbatto in alcune botteghe di artigianato locale, soprattutto lavori in vimini e legno intarsiato per ceste, cestini e suppellettili. La visita alla bottega dei presepi di Massimo Bartucciotto è una vera esperienza visiva ed artistica, qui trovi ogni sorta di presepi rappresentati in tutte le forme e le sperimentazioni possibili, persino in oggetti iconici come un televisore o un telefonino. Immancabili, poi,  gli spettacoli allestiti per l’occasione: la banda locale, gli sbandieratori, i fuochi d’artificio. Lungo il corso anche l’antica Chiesa dell’Annunziata, di probabile origine normanna, che reca degli interessanti portali medievali, si mescola ad un’architettura fatta di case e casupole antiche e a piani con tutto un andirivieni di scale, di vicoli, di piazzuole e di scorci sulla valle da dove si intravede un panorama mozzafiato.

Fino ad arrivare ad una grande piazza circolare, piazza Roccamare dove ti sembra di toccare il cielo e le montagne accanto. Il tempo scorre in fretta  e non riesci più a capire dove sei, l’aria è magnifica, i colori tersi e nitidi delineano i contorni di un paesaggio da presepe e a dimensione profondamente umana. Ti sembra di sognare, le parole rimangono in gola e il pensiero ti fa dire soltanto: è un luogo meraviglioso! Arrivo più su fino a piazza Croce da dove si dominano tutti i versanti della “naturalmente regia valle” e parlando con il sindaco Claudio Bartucciotto mi rivela delle difficoltà economiche pregresse cui devono far fronte i piccoli comuni. Ribadisco la necessità di fare sistema, un sistema che attragga ed intercetti le numerose presenze italiane e straniere per fargli intraprendere un viaggio al di fuori del tempo e dello spazio ed assaporare una cucina tipica dai gusti indimenticabili, un vero luogo del benessere. Esiste. E’ in Sicilia. Si chiama Motta Camastra.

                                Sergio Denaro

 

 

Municipio Motta Camastra

Municipio Motta Camastra

Motta Camastra

Motta Camastra

Panorama Motta Camastra

Panorama Motta Camastra

Costone Motta Camastra

Costone Motta Camastra

Il Borgo

Il Borgo

 

 

 

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Messina – Il segno e dello spazio sono elementi che caratterizzano l’arte di Daniele Falanga, un artista che ha sempre tenuto vivo l’interesse per la cultura figurativa: i suoi riferimenti spaziano dai grandi pittori come Leonardo
ai maestri del Novecento come Guttuso, Capogrossi e Schifano. Queste le credenziali della mostra “Street flowers” dell’artista messinese, allestita nel Salone degli Specchi di Palazzo dei Leoni, che il 7 aprile sarà aperta al pubblico.
All’inaugurazione, in programma alle ore 18.00, saranno presenti: il Sindaco Metropolitano, prof. Renato Accorinti; il Commissario della Città Metropolitana di Messina, dott. Filippo Romano; il Presidente della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, Dott. Salvatore Di Landro; il Comandante Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, Colonnello Giancarlo Scafuri; il  Comandante del Reparto Servizi Magistratura di Reggio Calabria, Maggiore Michele Monti; il Comandante della Legione Carabinieri Calabria, Generale di Brigata Andrea Rispoli; il Sostituto procuratore DDA di Reggio Calabria, Dott. Antonio De Bernardo. La mostra, curata da Mosè Previti e con la direzione artistica di Marcello Bottari, sarà composta da 25 lavori, totalmente inediti, che saranno presentati per la prima volta a Messina, città natale dell’artista.
Daniele Falanga è un profilo ben consolidato all’interno del panorama dell’arte contemporanea italiana.
Il suo percorso è punteggiato di premi e prestigiose collaborazioni, committenze ufficiali di primissimo piano. I suoi “street flowers” sono la conferma definitiva della sua maturità artistica e un suggestivo dono per la sua terra con la quale questa mostra apre un dialogo generoso e colmo di opportunità.
L’evento espositivo sarà visitabile fino a venerdì 14 aprile 2017

La Fontana dei Destrieri

La Fontana dei Destrieri

Street Flower

Street Flower

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Giardini Naxos (Me) – Particolare enfasi quest’anno è stata data dal Comune di Giardini Naxos alla celebrazione della storica “Fiera del Primo Aprile” che vanta oltre un secolo di storia (1910 – 2017). Nello staff organizzativo che ha collaborato con il Comune, per la parte dedicata al folklore, hanno preso parte Rosario Bellinghieri cultore delle antiche tradizioni locali, Angelo Savoca presidente del Fotoclub Naxos e l’associazione “Sicilia Cori Miu” e Jano Mortellaro noto per le intraprendenze organizzative dei carnevali passati a Giardini Naxos. Altri protagonisti che hanno dato tono all’evento, Pino Parisi, la poetessa Giusy Di Mauro, il fotoreporter  Mario Guillermo, Antonella Cavallaro, Clorinda Puglia, Salvatore Intelisano e Pippo Carpita (zampognari di Castelmola), Turi Miceli intervenuto con il nipotino Giammarco il quale ha offerto una dimostrazione su come venivano realizzati i “cufinari” (cesti o panieri), il barman Salvatore Ferrara (AIBES) che ha preparato un cocktail di benvenuto, battezzato “Naxos”.  Ad inaugurare la fiera è stata l’assessore alla Cultura Sandra Sanfilippo insieme al sindaco Nello Lo Turco ed al suo vice Carmelo Giardina. Nei pressi di Piazza kalkis, sul lungomare Tisandros, il noto cantastorie ripostese Luigi Di Pino ha intrattenuto i numerosi turisti e visitatori accompagnato alla fisarmonica dal canadese Jean Le Clair, eseguendo brani di Rosa Balistreri e storie del grande cantastorie scomparso Orazio Strano. Per l’occasione è intervenuta anche Cettina Busacca, figlia del celebre cantastorie, Ciccio.

Istituita per la prima volta nel 1910  del secolo scorso, un tempo era denominata “Fiera di Maria SS. Raccomandata” (in onore della Patrona) o “Fiera di Primavera”.  Storicamente la Fiera del primo aprile è sostanzialmente un appuntamento tradizionale annuale dedicato ai prodotti  del mondo rurale  e, alla compravendita di animali  (cavalli, buoi, pecore ecc.) a tal proposito,   buona parte di quella dedicata agli animali, si svolgeva sulle spiagge del lungomare di Naxos.  Ai nostri giorni il tradizionale mercato del primo aprile non ha più nulla di quel mondo rurale ed agricolo ormai scomparso, tuttavia rivive puntualmente ogni anno nelle variopinte bancarelle “commerciali”  che animano il lungomare di Naxos  per offrire una occasione di svago ai numerosi turisti giunti a visitarla.

Girando tra le varie bancarelle sul lungomare di Giardini Naxos assistiamo ad un colorato andirivieni di piccoli commercianti  che offrono ai visitatori un po’ di tutto: dai capi di abbigliamento ai prodotti per la casa. Non sfuggono alla nostra attenzione, ad esempio, le dimostrazioni delle ultime novità per la cucina a prezzi modici, il bellissimo stand dedicato all’arredo floreale da giardino od il simpatico “Fish Kingdom”, ideale per portarsi a casa un grazioso portafortuna acquatico.

Nel tratto di San Pancrazio,  è stato allestito un momento di autentico spettacolo con la presenza del cantastorie Luigi Di Pino il quale, sulle orme di Orazio Strano, ha eseguito un repertorio di canti legati alla tradizione popolare, mentre lo staff organizzativo di “Sicilia cori miu”, a bordo dei tipici carretti siciliani, coinvolgeva i passanti offrendo loro le buonissime arance della nostra terra.

Ritornando alle passate edizioni, ricordiamo che ad un certo punto e per diversi anni, la “Fiera degli animali”, della quale nel tempo si erano perse le tracce,  cominciò ad essere organizzata contemporaneamente a quella di prodotti commerciali (organizzata invece nell’attuale ubicazione) in un area compresa tra le contrade di Trappitello e Chianchitta.  Anche questo è diventato nel tempo un imperdibile appuntamento soprattutto per la gioia dei più piccoli affascinati da asinelli, mucche, pecore e quant’altro proveniente dal mondo rurale, insieme alla presentazione dei sapori agroalimentari tipici di questa terra, il tutto a dimostrazione di una varietà enogastronomica e culturale propria di una valle, quella dell’Alcantara, geodinamicamente unica perché il grande fiume mette in relazione  e costituisce la sintesi della fecondità agricola del territorio dell’Etna con la ruralità dell’entroterra del territorio dei Nebrodi, il mare e le montagne di Sicilia dunque, nelle antiche carte il punto di congiunzione tra la Val Demone e la Val di Noto. Con il suo sbocco a mare: l’antica Naxos, appunto.

Questo folklore, che ad alcuni può apparire retrò e fuori moda, è invece testimonianza della presenza viva e vivace di una comunità intergenerazionale straordinariamente semplice, che ha bisogno oggi più di ieri di questi momenti di aggregazione per uscire, incontrarsi e  ritrovarsi unita dopo i disagi di un freddo inverno. Una caotica ma indispensabile “boccata di ossigeno” per riallacciare i rapporti sociali magari di fronte ad una buona granita o ad un buon bicchiere di vino e per rinnovare un’amicizia ed un legame con la terra che tenta disperatamente di resistere attraverso i secoli mentre, poco più a monte un’altra città frettolosamente si imbelletta per ospitare tra qualche mese  i potenti di questa civiltà.

   Sergio Denaro e Rosario Messina (Foto)

Una foro storica ddella Fiera degli animali sulle spiegge di Naxos (Archivio Malambrì)

Una foro storica della Fiera degli animali sulle spiagge di Naxos (Archivio Malambrì)

Turisti in visita alla Fiera del Primo Aprile

Turisti in visita alla Fiera del Primo Aprile

Una bancarella

Una bancarella

Fiori in vendita

Fiori in vendita

Bancarelle della Fiera

Bancarelle della Fiera

Bancarelle

Bancarelle

9xx  I cufuneddi

Turi Miceli ed il nipotino Giammarco

Un carretto Siciliano alla Fiera

Un carretto Siciliano alla Fiera

La mostra di Foto d'epoca sulla Fiera

La mostra di Foto d’epoca sulla Fiera

Pannelli con Foto D'Epoca

Pannelli con Foto D’Epoca

Lo Staff organizzativo

Lo Staff organizzativo

Il cantastorie Di Pino

Il cantastorie Di Pino (Foto Guillermo)

Gli zampognari

Gli zampognari Salvatore Intelisano e Pippo Carpita (Foto Guillermo)

Di Pino

Il Cantastorie ripostese Luigi Di Pino

17 La FIsarmonica

Alla fisarmonica Jean Le Clair (Foto Guillermo)

Saro Bellinghieri

Saro Bellinghieri

Il cantastorie canta le storie  di Orazio Strano

Il cantastorie canta le storie di Orazio Strano (Foto Guillermo)

I Saluti

I Saluti

 

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Assistiamo ogni giorno a Tsunami di ogni genere, la nostra società è sempre più alla deriva. I giovani non hanno punti di riferimento forti e la crisi di valori è a caduta libera. A voler dare una interpretazione mistica e volendo citare le antiche scritture induiste, i Veda, l’umanità sta ancora vivendo nell’Era del Kali Yuga (età del ferro), un epoca oscura caratterizzata da conflitti di ogni genere, aridità e ignoranza spirituale, materialismo dalla quale ancora non siamo usciti (per entrare nell’era del Dyapara Yuga o età del bronzo).  Giusto come spunto di riflesione, su quanto stiamo vivendo, abbiamo voluto riportare due articoli pubblicati qualche tempo fà dal prof. Francesco Lamendola con i quali affronta due tematiche interessanti l’inerzia degli uomini (i dormienti) verso la propria crescita spirituale e l’atteggiamento nichilistico con il quale spesso affrontiamo il nostro quotidiano (una vita di merda). La chiave di lettura di questa crisi sociale, etica e spirituale è quella descritta dal prof. Lamendola? A ogni lettore le sue conclusioni.

   ROSARIO MESSINA

Nella religione induista, l’evoluzione della Terra è divisa in quattro ere, o Yuga, che significa appunto «era» o «periodo di tempo del mondo».

Queste sono:

  1. Satya Yuga o Krita Yuga, l’età dell’oro  (caratterizzata da armonia col piano divino);
  2. Treta Yuga, l’età dell’argento  (caratterizzata dalla capacità di annullare il tempo);
  3. Dvapara Yuga, l’età del bronzo  (caratterizzata dall’annullamento dello spazio);
  4. Kali Yuga, l’attuale età del ferro    (Era oscura caratterizzata da ignoranza e materialismo)

 

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Prof. FRANCESCO  LAMENDOLA

Francesco Lamendola, laureato in Lettere e Filosofia, insegna in un liceo di Pieve di Soligo, di cui è stato più volte vice-preside. Si è dedicato in passato alla pittura e alla fotografia, con diverse mostre personali e collettive. Ha pubblicato una decina di libri e oltre cento articoli per svariate riviste. Tiene da anni pubbliche conferenze, oltre che per varie Amm. comunali, per Ass. culturali come l’Ateneo di Treviso, l’Ist. per la Storia del Risorgimento; la Soc. “Dante Alighieri”; l'”Alliance Française”; L’Ass. Eco-Filosofica; la Fondazione “Luigi Stefanini”. E’ il presidente della Libera Associazione Musicale “W.A.Mozart” di Santa Lucia di Piave e si è occupato di studi sulla figura e l’opera di J. S. Bach.

Viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli

di Francesco Lamendola

Viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli. Socrate credeva, ottimisticamente, che tutti gli uomini aspirino al bene e che, se compiono, invece, il male, ciò accade per ignoranza; ma basterebbe illuminarli sul loro errore, per consentirne il ravvedimento.

Sarebbe molto bello, e inoltre molto semplice, se davvero le cose stessero in questo modo; ma, purtroppo, vi sono numerosi indizi che suggeriscono la fallacia di una tale teoria.

La verità è che più si osserva il comportamento degli esseri umani, più si finisce per ammettere che la stragrande maggioranza di essi è formata da dormienti, che non desiderano destarsi dal proprio sonno voluttuoso, e nemmeno dai propri incubi; che vogliono continuare a dormire, a dispetto di tutti, anche se la casa in cui vivono sta prendendo fuoco; che non provano alcuna gratitudine nei confronti di coloro i quali cercano di destarli, ma, ben al contrario, nutrono nei confronti di costoro un odio implacabile, come se fossero i loro peggiori nemici, nel tempo stesso che onorano ed applaudono i malvagi pifferai che favoriscono i loro sonni e il loro sognare.

Per quella piccola minoranza di risvegliati, i quali cominciano a rendersi conto della natura illusoria del mondo in cui viviamo e del carattere risibile, se non addirittura pericoloso, della maggior parte delle cose che suscitano, nei più, compiacimento e desiderio di imitazione, il problema si pone in questi termini: che cosa fare in un contesto di sogno generalizzato, di odio nei confronti della verità, di rancore nei confronti di ogni voce che sia fuori del coro?

Come fare per evitare il treno che, guidato da un macchinista impazzito e carico di sonnambuli, sta per piombare addosso a coloro i quali sono desti, ma non possono agire sugli scambi, per deviarne la folle corsa?
E, ancora: è legittimo che il risvegliato cerchi di imporre ai dormienti la verità, se essi le preferiscono, invece, un mondo di menzogna; è giusto che cerchi di convincerli, di convertirli, di farli ravvedere, se ciò che essi vogliono è tutt’altro? …

Certo, il giardiniere è uso a strappare le erbacce le quali invadono il suo giardino; ma il mondo non è un giardino, e ogni visione del mondo ha diritto di sussistervi: anche quella che appare manifestamente erronea. Sopprimere le visioni erronee non è compito del risvegliato; ma, semmai, offrire a tutti gli strumenti per valutare che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato: dopo di che, ciascuno deve assumersi la responsabilità del sentiero che intende seguire.
Nessuno può venire costretto ad essere virtuoso; nessuno può venire costretto a cercare la verità, se non la desidera e se ad essa preferisce la menzogna.

D’altra parte, è certo che, a quel punto, si pone concretamente il problema della sopravvivenza di colui il quale ritiene di essersi destato, e che si trova continuamente esposto agli urti e alle aggressioni degli altri, ossia dei dormienti: e le aggressioni più minacciose sono proprio quelle di quei dormienti che sono stati destati a forza per essere illuminati.
È una questione di sopravvivenza.

La storia ci offre sin troppi esempi di saggi, i quali sono stati crocifissi da una moltitudine che non voleva essere illuminata, che desiderava continuare a vivere nelle tenebre. E la moderna società di massa è la società dei ciechi e dei dormienti per eccellenza: è il vertice dell’attuale Kali Yuga, della Età Oscura nel ciclo della vicenda cosmica.

A meno che voglia andare incontro al martirio, dunque – e vi sono, indubbiamente, degli ideali che meritano di essere perseguiti fino al martirio – il risvegliato è indotto a interrogarsi sul senso del suo vivere nella società, e sulle modalità con le quali deve gestire il suo rapporto con il prossimo.

In effetti, nessuno è disposto a modificare la propria concezione del mondo, o a lavorare seriamente su se stesso, se non sulla base di una profonda e sentita esigenza interiore; e quest’ultima non potrà mai venire da un agente esterno, se non in coincidenza con un impulso interno.

Quel che vogliamo dire, è che le persone sono disponibili ad affrontare un salto qualitativo nella propria evoluzione spirituale, solo se, e quando, decidono di prendere coscienza del problema; ossia, in genere, quando si rendono conto, non solo di essere insoddisfatte della propria vita attuale – ciò che accade a molti -, ma di essere disposte a mettersi in gioco per uscire dal punto morto in cui si trovano.
In quella fase, e solo in quella fase, un evento esterno può fungere da detonatore della loro crisi benefica e affrettare una presa di coscienza: può essere l’incontro con una persona buona e saggia, o con un libro, o con una situazione inconsueta e stimolante (magari anche in apparenza negativa, come una malattia o il distacco da una persona cara).

Viceversa, se il momento non è giunto e la persona non è ancora pronta, nessun saggio, nessun libro e nessuna situazione stimolante potrebbero innescare una evoluzione spirituale; come dice il Libro dell’Ecclesiaste, vi è un tempo per ogni cosa: per parlare e per tacere, per dormire e per vegliare, per vivere e per morire. E, così come la natura fisica non fa salti, la stessa cosa può dirsi per la vita dell’anima: il suo processo evolutivo non può essere forzato.

Questo, difatti, è l’errore di fondo di tutte le rivoluzioni politiche e sociali: pensare che il mondo possa diventare migliore, una volta che si sia compresa una formula e la si sia messa in pratica, indipendentemente dalla vita interiore delle persone. Ma se non c’è una evoluzione spirituale, nessuna formula, per quanto perfetta in teoria, potrà rivelarsi capace di rendere il mondo migliore; al contrario, la storia è piena di esempi di formule ideali che si sono trasformate in terribili strumenti di oppressione e di malvagità, trovandosi nelle mani di persone che non avevano saputo compiere alcuna evoluzione interiore.

Per la persona che sia disponibile ad aprirsi, a mettersi in gioco, a evolvere spiritualmente, la vita offre infinite occasioni di miglioramento, purché le si sappia vedere.

Un disturbo fisico, ad esempio, è certamente un segnale: un segnale che il nostro corpo ci manda, e che contiene informazioni preziose circa la disarmonia presente nella nostra vita. In ultima analisi, ogni disturbo fisico è riconducibile alla dimensione spirituale; ed è veramente sconcertante vedere come la grande maggioranza degli esseri umani si disinteressa del problema, sforzandosi di mettere a tacere il sintomo – ossia il campanello d’allarme -, invece di andare alla ricerca del problema profondo che il corpo ha segnalato.

Peggio ancora: se il disturbo persiste, moltissime persone si affidano ciecamente a farmaci e a medici, come se farmaci e medici potessero sostituirsi alla doverosa presa di coscienza del proprio problema; e le stesse persone che delegano in questo modo la salvaguardia della propria salute, firmando una cambiale in bianco nei confronti dell’apparato sanitario ufficiale, sono poi quelle che esigono di occuparsi in prima persona, e fin nei minimi dettagli, di cose assolutamente banali e secondarie, come la scelta del nuovo modello di automobile da acquistare o l’intervento di chirurgia estetica per aumentare le dimensioni del seno.

Un altro esempio di questa tendenza a delegare le questioni davvero rilevanti ad agenzie esterne, è offerto dalla politica. La grande maggioranza delle persone non si informa adeguatamente di ciò che attiene a questa sfera e preferisce firmare una cambiale in bianco ai partiti, i quali mandano in Parlamento i loro uomini di fiducia, una legione di «yes-men» dalla schiena flessibile, fedeli esecutori delle direttive ricevute dalle rispettive segreterie.

Un discorso analogo si può fare per la pubblica amministrazione. Il risultato è che i nostri sindaci e assessori, che si muovono nella sfera del quantitativo e di ciò che ha un alto grado di visibilità (indipendentemente dalla sua efficacia), difficilmente riescono a concepire delle soluzioni innovative per i problemi che devono affrontare.
Un pezzo grosso dell’amministrazione provinciale, ora divenuto ministro, qualche tempo fa propose di porre rimedio all’alto numero di incidenti mortali del sabato sera, facendo tagliare migliaia di platani lungo uno storica strada provinciale: come se il problema fosse quello dei platani (i quali, comunque, hanno anch’essi il diritto di vivere) e non quello di uno stile di vita sbagliato e di uno scarso senso di responsabilità da parte di molti giovani.

Ma torniamo al problema del risvegliato che deve confrontarsi, tutti i santi giorni, con una folla di sonnambuli, i quali si muovono pericolosamente e reagiscono in maniera aggressiva se qualcuno tenta di destarli e di responsabilizzarli.
Julius Evola suggeriva che, in tempi di Kali Tuga, l’unica cosa da fare è imparare a «cavalcare la tigre»: ossia, anziché opporsi frontalmente ad una situazione negativa generalizzata, sfruttare la corrente, per procedere in maniera da non ricevere troppi danni e, addirittura, per riuscire a volgere a proprio favore le stesse caratteristiche di quella situazione, allo scopo di preservare il bene della propria interiorità.
Sia come sia, che impari a cavalcare la tigre, oppure che si abitui ad assecondare la corrente, il risvegliato ha la piena consapevolezza di non essere un superuomo e di non poter modificare, egli solo, una determinata situazione, diffusa nella società in cui egli si trova a vivere; e, inoltre, che non sarebbe saggio cercar di forzare l’evoluzione spirituale degli altri esseri umani, per le ragioni che abbiamo detto più sopra.
Che cosa dovrà fare, allora?
È molto semplice.

Primo, dovrà proseguire incessantemente a lavorare su se stesso: perché la propria evoluzione spirituale è un compito che non finisce mai, e che si rivela più impegnativo, mano a mano che una persona vi si addentra.
Secondo, offrire – nella misura delle sue possibilità – una diversa prospettiva a coloro che gli stanno intorno e che gli sembrano aperti ad un cambiamento, ma senza illudersi di vederli cambiare dall’oggi al domani e senza attendersi gratitudine, né amicizia; ma, al contrario, mettendo in conto un certo grado di incomprensione, se non addirittura di aperta ostilità.

In ogni caso, egli sa che le cose accadono quando è giunto il tempo in cui devono accadere: non un minuto prima, né un minuto dopo.
In ciò consiste l’armonia del tutto: che ogni cosa è come deve essere; e che quelle cose, le quali ci appaiono negative, in realtà sono tali solo nella misura in cui noi non siamo in grado di farne una occasione di crescita e di perfezionamento.

In altre parole, la disarmonia è in noi, non nel creato; è nostra la responsabilità di non essere abbastanza evoluti da gestire in maniera responsabile e proficua le occasioni che la vita ci offre, per quanto esse possano presentarsi, talvolta, nella rude veste di eventi dolorosi.
Il risvegliato, pertanto, è colui che, ad un certo punto, decide di cogliere le occasioni che la vita gli offre per riprendere possesso di sé, per tornare ad essere il vero protagonista del proprio volere e del proprio agire. È colui che decide di non dare più ad altri la delega in bianco di ciò che lo riguarda in prima persona; di ascoltare i segni e di imparare a riconoscere gli avvertimenti.

Il mondo è pieno di segni, la vita è piena di avvertimenti. Si può dire che non vi è persona, situazione o evento che noi incontriamo nel nostro cammino terreno, che non costituiscano altrettanti segni, indicazioni, suggerimenti o stimoli.

Tutto ci parla, se siamo disposti ad ascoltare; ma, naturalmente, per saper fare questo, bisogna prima imparare a fare silenzio. Troppi rumori inutili, fuori e dentro di noi, ci impediscono di udire l’essenziale; la cacofonia dei rumori inutili e disarmonici ci impedisce di udire e di godere del magnifico concerto dell’Essere.
Finché continuiamo a dormire, i nostri orecchi sono chiusi all’armonia dell’Essere e i nostri occhi sono chiusi al suo splendore.
Impariamo ad aprire occhi e orecchi, cominciamo a destarci: ce n’è, di giorno, che ancora deve sorgere, per noi che siamo immersi nel sonno.
L’unica luce del giorno è quella che ci trova ben desti, pronti e desiderosi di accoglierla in noi.

 

 

 

«Una vita di merda»

di Francesco Lamendola

È una delle risposte più frequenti che ci tocca sentire, quando domandiamo a un amico, che non vedevamo da un po’ di tempo, come gli vanno le cose.
«Cosa vuoi che ti dica? Faccio una vita di merda, questa è la verità…», ti risponde quello, stringendosi nelle spalle con aria eloquente, cioè totalmente sconsolata.
Fare una vita di merda…
Decisamente, non si può dire che sia il massimo; eppure c’è un sacco di gente che vive così, in uno stato di tranquilla disperazione: un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra, un mese, un anno, un decennio dopo l’altro.
Forse anche tu, gentile lettrice, e tu, caro lettore, vi sentite un po’ così; solo che non lo ammettereste mai davanti a tutti; ma a tu per tu con un’amica o un amico di vecchia data, allora è un’altra cosa: allora si possono anche lasciar cadere le maschere e mostrare il volto triste del pagliaccio che ha voglia di piangere, anche se gli altri si aspetterebbero le sue risate.
Fare una vita di merda…
Certo, si tratta di un’espressione forte; non la si potrebbe adoperare nella buona società, fra persone bene educate; non la si potrebbe pronunciare a voce alta in un ristorante di lusso o nella hall di un elegante albergo a cinque stelle: subito molte paia d’occhi si volgerebbero, con aria tra scandalizzata e infastidita, verso il plebeo bestemmiatore.
Ad un tavolo d’osteria, potrebbe andare già un po’ meglio; eppure perfino lì ci sarebbe qualcuno che si sentirebbe urtato, forse un po’ offeso: anche perché tutti si sentirebbero almeno un po’ coinvolti, almeno un po’ compagni di sventura.
Ci sarebbe poco da stare allegri: perché quel disgraziato del vicino di tavolo, quello che ha detto a voce alta: «Sto facendo una vita di merda», riuscirebbe a far sentire tutti quanti a disagio, proclamando senza peli sulla lingua una scottante verità che riguarda non certo lui soltanto, ma anche parecchi altri che fingono di darsi un contegno.
Che cosa si vuol dire, infatti, allorché si afferma che si sta facendo una vita di merda?
Vuol dire che si sta facendo una vita spenta, grigia, del tutto spogliata della dimensione della speranza; una vita frustrante, fallimentare, amara, simile a un lungo stradone d’asfalto, senza mai un albero, senza mai un fiore: solo il calore torrido dell’estate, la polvere e l’arsura; e il cielo come velato dalla foschia, dalla pesante cappa di afa, che non lascia immaginare che possa mai piovere per chissà quanti giorni ancora, che non giungerà mai un poco di ristoro e di frescura.
Vuol dire avere ripiegato tristemente i propri sogni e averli chiusi a chiave nel cassetto; aver smesso da un pezzo di provare stupore, serenità, gratitudine; vedere sempre tutto in una luce triste, monotona, soffocante; non credere più a niente e a nessuno, non sperare più niente, non aspettarsi più nulla dalla vita, dal domani…
Vuol dire sentirsi sopraffatti dalla stanchezza, dallo scoraggiamento, dal senso di impotenza e di fragilità; non scorgere nemmeno un indizio che faccia aspettare con fiducia mattino che dovrà sorgere; essere sempre immersi nella notte e andare a tentoni per le strade, come ubriachi, come ciechi, sbattendo continuamente da ogni parte, senza riuscire mai a far tesoro degli scivoloni, delle cadute.
Vuol dire trovarsi senza fiato, come un alpinista che non ce la fa più a respirare e che ha paura di andare avanti, ma anche di tornare indietro e che quindi si sente bloccato, perduto, terrorizzato; vuol dire sentirsi sopraffatti dalle smisurate aspettative degli altri, dalle loro incessanti richieste, dal giudizio impietoso che si può leggere nei loro sguardi, anche quando essi credono di mostrarsi compassionevoli e solidali.
Vuol dire alzarsi il mattino e, guardandosi allo specchio, avere voglia di chiudere gli occhi, di tornare sotto le coperte, di non doversi più confrontare con la propria immagine.
Vuol dire non avere più il coraggio di fissare il proprio sguardo e d’incontrarlo così stanco, così diverso da quello di un tempo.
Ancora.
Una vita di merda è anche una vita che è sfuggita al nostro controllo, ai nostri legittimi desideri, alla nostra autenticità; è una vita in cui siamo pressati e oberati da necessità contingenti, da preoccupazioni fastidiose, ma anguste, da problemi di corto respiro, i quali, nondimeno, tengono impegnate le nostre energie migliori e ci sottraggono il tempo e la serenità necessari per dedicarci veramente a noi stessi, per fare le cose che ci farebbero star bene.
Specialmente per le donne e gli uomini di mezza età, stretti fra le loro responsabilità di genitori e quelle di figli con genitori anziani, si dà una intera stagione della vita – diciamo fra i quarantacinque e i cinquantacinque anni, più o meno – in cui impegni familiari e sociali ed esigenze quotidiane di  ordine pratico tendono a farsi particolarmente gravosi, particolarmente stressanti, particolarmente ingrati.
E a tutto ciò si aggiungono la fatica di un lavoro non sempre gratificante e, forse, anche precario, o sul punto di scomparire, con le conseguenti difficoltà economiche e psicologiche; la stanchezza accumulatasi in anni di continuo surmenage, magari senza neanche uno straccio di vacanza da chissà quanto tempo; per non parlare di problemi particolari, come un figlio o una figlia difficili, ribelli, patologicamente svogliati e immaturi, forse dediti agli stupefacenti; un marito o una moglie depressi, esauriti, ossessionati da disturbi mentali, o semplicemente (si fa per dire) perennemente ansiosi, aggressivi, intrattabili; un parente affetto da qualche sindrome consistente di natura fisica, costantemente bisognoso di assistenza…
Certo, qualcuno sembrerebbe più fortunato di qualcun altro.
Almeno in apparenza, vi sono persone che non sembrano mai sfiorate da grossi problemi, che godono sempre di ottima salute, che hanno famiglie felici e armoniose, dei figli modello e dei genitori in perfetta salute, anche nell’età avanzata; persone che sembrano baciate in fronte da qualche dio benevolo; .
Viceversa, si vedono pure individui perennemente perseguitati da ogni sorta di difficoltà, angustia e preoccupazione, che collezionano disgrazie a catena, che passano incessantemente da un problema all’altro, da una calamità all’altra., come se un destino maligno li inseguisse con diabolico accanimento: come nel caso di una madre che, dopo aver perso il figlio ventenne in uno dei tanti, troppi incidenti che accadono sul lavoro, rimane anche vedova per un improvviso infarto che ha colpito il marito.
Siamo però sicuri che non si tratti solo di apparenza?
Chi siamo noi per giudicare, così, dall’esterno, quando una vita umana è felice e quando non lo è, avendo come unici indicatori gli eventi esterni che l’accompagnano?
Non è forse vero che si può essere infelici e disperati anche se tutto, nella propria vita, sembra andare a gonfie vele; ed essere, all’opposto, sereni e in pace con se stessi e con il mondo, anche in mezzo alle più gravi difficoltà?
Ma queste, si dirà, sono le eccezioni: le eccezioni che confermano la regola.
E sia; tuttavia, proviamo a domandarci: da che cosa dipendono tali eccezioni, che cosa ci suggeriscono?
Non stanno forse a indicare che, in gran parte, il nostro star bene o il nostro star male dipendono dal modo in cui noi affrontiamo i fatti della vita, in cui li accogliamo e li rielaboriamo, prima ancora che dai fatti in se stessi?
Che cosa sono, poi, a ben guardare, i fatti in se stessi, i cosiddetti fatti oggettivi?
Il minimo che si possa obiettare alla loro pretesa di oggettività è che noi, dei fatti in se stessi, poco o nulla sappiamo; i fatti che conosciamo, che sperimentiamo, che viviamo, non sono in alcun modo qualche cosa di oggettivo, che avviene fuori di noi, ma qualche cosa che fa tutt’uno con la nostra coscienza, con la nostra consapevolezza.
Per esempio: una malattia è un fatto in sé e per sé, un fatto oggettivo?
No di certo, poiché noi possiamo osservare che la stessa malattia produce effetti molto diversi, sia fisicamente, sia psicologicamente, sia spiritualmente, su due persone diverse.
Di più: possiamo osservare che la stessa malattia produce effetti diversi sulla stessa persona, qualora si presenti in due momenti diversi della sua vita e specialmente in due momenti diversi del suo percorso interiore.
E non è detto che si tratti necessariamente di effetti negativi!
Certo, una malattia porta dolore, solitudine, senso di impotenza; e nondimeno: quante splendide fioriture spirituali sono avvenute, sotto la spinta benefica di una malattia!
Quante persone, nella malattia e grazie alla malattia, hanno riscoperto l’amore delle persone care, la bellezza del mondo, la gioia infinita delle piccole e piccolissime cose: il canto di un usignolo, lo sbocciare di un ciuffo di primule, l’odoroso vento di marzo; cose che, nella salute (che diamo per scontata, anche quando non ce la meriteremmo, perché trattiamo male il nostro corpo, la nostra mente e la nostra anima), diamo (anch’esse!) per scontate!
Già questa prima, semplice riflessione: che non sempre le avversità vengono per farci del male, né la prosperità favorisce necessariamente il nostro autentico bene, dovrebbe introdurre un elemento rasserenante nella nostra percezione di ciò che, nella nostra vita, tendiamo a giudicare – e pertanto a vivere – come negativo o, all’opposto, come positivo.
Il secondo elemento di rasserenamento, che costituisce la generalizzazione del primo, può venire dalla riflessione, già accennata, che è molto difficile, se non impossibile, giudicare cosa sia positivo e benefico nella nostra vita, e che cosa sia negativo e malefico, guardando le situazioni umane dall’esterno.
La vita, infatti, ci presenta continuamente delle occasioni: tutto può essere occasione sia di bene che di male; ciò dipende dalla nostra maturità spirituale, dall’uso che siamo capaci di fare, per così dire, degli elementi di fortuna o di sfortuna che ci si presentano.
Vincere una grossa somma di denaro alla lotteria è una fortuna? Dobbiamo rallegrarcene incondizionatamente, senza valutare la possibilità che tutto quel denaro, ottenuto di colpo e senza la fatica (e il merito personale) del lavoro, possa indurci a farne un cattivo uso e a contrarre cattive abitudini, comportamenti e modi di pensare che non favoriscono affatto la nostra crescita interiore, ma, semmai, la nostra pigrizia e peggio, facendoci così regredire?
Il terzo elemento rasserenante dovrebbe venirci dalla consapevolezza che noi possediamo, perché ci sono stati dati (se poi non sappiamo adoperarli, questa è un’altra cosa), gli strumenti necessari per fare della nostra vita una esperienza valida, entusiasmante, meritevole di essere esperita, nonostante tutte le difficoltà, le cadute e le sofferenze (ma, talvolta, proprio in grazia di esse!), pur nella consapevolezza della sua finitezza, della sua imperfezione, della sua labilità, che rimandano ad un’altra dimensione del nostro essere, libera dai limiti di quella presente.
Ci sono dei momenti in cui tutti ci sentiamo dei poveracci, delle foglie al vento, degli operai inutili; in cui abbiamo la sensazione di non farcela più o che non valga la pena di continuare ad impegnarsi, a lottare, a soffrire.
Questo è normale: ci sono passate le anime più grandi; perché non dovremmo passarci anche noi, uomini e donne comuni?
Ma sono, appunto, momenti; e sono anch’essi utili e preziosi, perché costituiscono il migliore antidoto alla nostra presunzione, alla nostra smania di onnipotenza.
Quanto al pensare che la nostra vita faccia schifo, questa è un’altra cosa.
Non c’è niente che non vada nella vita, salvo il fatto che noi non sempre sappiamo essere all’altezza del compito che ci è stato affidato; vale a dire che non sempre siamo all’altezza di noi stessi, della nostra parte più vera e profonda.
Perciò, su la fronte e dritta la schiena: la vita è fatta per i coraggiosi e per la anime attive e assetate di verità; non per i poltroni, i vittimisti e i paurosi.
Ce n’é, di vita, che dobbiamo ancora imparare a vivere…
Per chi ha appena aperto gli occhi, la luce che vede è sempre quella di un meraviglioso mattino.

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