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Nicolosi

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Nicolosi. Il 22 luglio  2016, è stato presentato a Nicolosi  il volume:Ines de Castro, un mito lungo cinque secoli“, di Salvatore Statello, con prefazione di Mariagrazia Russo, dell’Università di Viterbo.
Ad introdurre l’originale volume è stata la prof.ssa Alfina Spinella dopo i saluti istituzionali dell’Ass. dott.ssa Stefania  Laudani.  il Prof. Salvatore Statello ha relazionato sul suo volume, edito da Di Nicolò Editori di Messina, e corredato da immagini.
La tragica vicenda di questi amori risale alla metà del 1300, durante il regno di Alfonso IV, quando il principe erede del Portogallo, Pietro, era stato promesso sposo a Costanza di Castiglia. Al seguito di quest’ultima vi era la bellissima Ines de Castro, di cui Pietro s’invaghì perdutamente, ricambiato. Re Alfonso, rendendosi conto del rapporto tra il figlio e la damigella, esiliò quest’ultima. Ma alla morte della legittima moglie, la principessa Costanza, Pietro richiamò Ines dall’esilio, vivendo insieme lontani dalla corte, e stabilendosi alla fine nel palazzo annesso al monastero delle clarisse di Coimbra. Ma la malevolenza dei cortigiani, di alcuni ministri, di una parte del popolo e dei religiosi, spinsero il re ad emanare sentenza di morte, per decollazione, della donna, il 7 gennaio 1355.
Alla notizia della morte della donna amata, madre già di quattro figli, Pietro scatenò una guerra civile contro il padre, che durò ben otto mesi, devastando parte del Paese. Due anni dopo, morto Alfonso e salito al trono Pietro I, il nuovo re fece catturare due dei consiglieri del padre condannandoli a morte crudele, facendo anche bruciare i loro corpi e disperdere le ceneri nel Tago. Poi annunciò di aver sposato Ines segretamente, dichiarò lei regina post-mortem, e i figli infanti; fece quindi riesumare le spoglie di Ines, e avendole fatte rivestire con abiti regali diede nuova sepoltura nella chiesa dell’abbazia di Alcobaça, dove aveva fatto preparare due sarcofagi, rimasti tra i monumenti funebri più belli di tutta la Penisola Iberica.
Col diffondersi degli ideali del Rinascimento, anche in Portogallo, ha continuato ancora l’oratore, ad opera di alcuni nostri letterati, della vicenda si impadronirono i poeti e, sotto l’influenza di Dante e di Petrarca, Ines e Pietro entrarono nel mito, assurgendo esemplarmente a simbolo della eterna lotta di eros e thanatos, e Ines, glorificata, divenne l’eroina sacrificata alla Ragion di Stato. La prima testimonianza poetica, ha continuato lo studioso, di questa trasfigurazione letteraria si ebbe nel Cancioneiro Geral di Garcia de Resende del 1516 (da qui il sottotitolo del volume, pubblicato appunto a 500 anni da questa prima romanza su Ines). A metà del Cinquecento è stato António Ferreira a scrivere la prima tragedia su questa vicenda, prendendo a modello la Octavia, attribuita a Seneca. Questa opera, sull’argomento, è rimasta il capolavoro teatrale più importante della letteratura portoghese. Nella prima metà del Seicento, è stato Francisco Manuel de Melo, che seguendo lo stile gongorino, ha dedicato 12 sonetti e una romanza ad Ines.
Avendo illustrato brevemente queste prime opere portoghesi, tradotte da Salvatore Statello ed inserite nel volume, l’autore ha proseguito l’excursus con la presentazione degli autori italiani, dopo che Houdar de La Motte, per primo aveva pubblicato nel 1723 una tragedia sull’argomento. Con Pietro Metasasio, dieci anni dopo l’opera francese, la vicenda conquista anche l’ambito musicale col melodramma Demofoonte, messo in musica da Antonio Caldara, dove la storia degli amanti portoghesi viene ambientata nell’antica Arcadia, e assume anche un connotato fiabesco, con l’immancabile “lieto fine”, in ossequio ai gusti della corte viennese. Altre opere si sono avute nel Settecento, ma è nell’Ottocento che, nel contesto del recupero che del Medioevo fa il Romanticismo, la vicenda di Ines, come quella di altre eroine, viene spesso rivisitata dai nostri autori che attribuiscono ai due protagonisti valenza di eroi vittime della passione travolgente che confligge spesso con le leggi della morale e della politica, contro cui essi combattono fino alla morte. Tale è la storia di Ines nel libretto di Salvatore Cammarano, musicato dal recanatese Giuseppe Persiani (1835) che ha avuto tanta fortuna nell’Ottocento, da essere riproposto, a cura di Paola Ciarlantini, che nel volume ha trattato proprio il tema musicale, e interpretato dal soprano Maria Dragoni nel 1999, e rappresentato successivamente anche a Coimbra e ad Alcobaça, dove si è consumata la tragedia e dove riposano le spoglie dei due amanti.
Oltre dieci sono i tragediografi italiani e altrettanti i librettisti di melodrammi, e una cinquantina di musicisti, tra cui l’ennese Pietro Coppola, durante il suo lungo soggiorno in Portogallo alla direzione del teatro lirico S. Carlos, i quali si sono interessati all’argomento, nonché anche autori di balletti, come il coreografo palermitano Salvatore Taglioni (1789-1868).
Pure il cinematografo si è subito interessato a questa affascinante storia portoghese, tanto che già nel 1910 si proiettava nelle sale cinematografiche italiane, d’allora, il film muto Ines di Castro, come pubblicizzato da un teatro recanatese, il cui manifesto è riprodotto nel quarto di copertina.

1X  locandina Nicolosi

La locandina

Il prof. Salvatore  Statello

Il prof. Salvatore Statello

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3X Gatto Selvatico EtnaIl Gatto Selvatico dell’Etna è una specie endemica da salvaguardare. Occorre tutelare questo magnifico esemplare di Felis Silvestris patrimonio di biodiversità animale tra i più significativi dell’area circostante il vulcano. In passato il felino è stato spesso minacciato dall’ intervento dell’ uomo, che ha ristretto le aree di caccia e costretto il gatto selvatico a scendere a compromessi con la sua indole di cacciatore solitario. Un anno fa al Parco dell’Etna a Nicolosi (Ct) si è svolto un convegno appositamente dedicato, organizzato dall’Ente Parco in collaborazione con l’Assessorato Regionale delle Risorse Agricole e Alimentari, Dipartimento Interventi Infrastrutturali e con il Dipartimento di Biologia Animale “Marcello La Greca” dell’Università di Catania.
La sopravvivenza del gatto selvatico è un obiettivo che il Parco dell’ Etna intende portare avanti assieme all’ Università di Catania nella tutela di questa specie così affascinante.
Nel mese di dicembre del 2014 è stato realizzato un passo importante per la tutela e lo sviluppo della conoscenza della popolazione del gatto selvatico che costituisce la più straordinaria biodiversità faunistica del Parco dell’Etna. E’ stata sottoscritta una convenzione tra il Parco dell’Etna e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Palermo, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Messina, la Ripartizione Faunistico Venatoria di Catania. L’obiettivo dell’accordo siglato è la realizzazione di uno “studio sulla biologia ed eco-etologia del gatto selvatico nel parco regionale dell’Etna e realizzazione del piano di conservazione”. A tal proposito si intende studiare lo status attuale del gatto selvatico nel territorio dell’area protetta attorno al vulcano e promuoverne la conservazione a lungo termine.
Il gatto selvatico è classificato come “least concern” (specie a rischio minimo) dalla IUCN, anche se le popolazioni sono in declino. E’ compreso nella lista rossa dei vertebrati italiani e, a livello legislativo, è inserito nella Direttiva Habitat (allegato IV) della Comunità Europea. Rappresenta l’ultimo “grande” predatore della Sicilia e nel Parco dell’Etna dove trova un habitat ottimale per la varietà degli ambienti e la disponibilità delle prede. Le minacce per la conservazione a lungo termine di questa specie sono numerose e molteplici, quali l’ibridazione con il gatto domestico, la frammentazione degli habitat e la sempre crescente pressione antropica.
Come ha spiegato il prof. Mario Lo Valvo dell’Università di Palermo: “Sull’Etna, vive una delle popolazioni feline con la più alta densità registrata (circa 0.30 gatti per Kmq.). Questo progetto in collaborazione con il Parco dell’Etna è estremamente importante per lo studio e la conservazione di questa specie faunistica. In Sicilia vive l’unica popolazione mediterranea di gatto selvatico non introdotta dall’uomo; studi recenti hanno evidenziato che il patrimonio genetico di questa popolazione è chiaramente divergente rispetto alle altre popolazioni italiane, costituendo di fatto una distinta unità di conservazione.”.
La presidente del Parco Maria Mazzaglia ha spiegato i termini del progetto il quale prevede uno studio approfondito dell’ecologia di questa specie affinchè si possano formulare delle linee guida per promuovere la conservazione a lungo termine del gatto selvatico nel territorio del Parco dell’Etna. E’ prevista, a carico dell’Ente Parco, la selezione di personale specializzato per la ricerca sul campo. Sarà realizzato un database dei dati raccolti; una mappa dettagliata in cui verranno identificate le principali minacce per questa specie al fine di pianificare le azioni di tutela, conservazione e divulgazione. E’ previsto anche un database fotografico in cui verrà catalogato tutto il materiale raccolto tramite le trappole fotografiche. Inoltre, il personale specializzato, selezionato dall’Università di Palermo, parteciperà ai momenti divulgativi del progetto presso la sede del Parco e nelle scuole. Per quanto riguarda le collaborazioni al progetto, l’Università di Messina realizzerà le analisi parassitologiche sui circa 120 campioni raccolti, mentre la Ripartizione Faunistico Venatoria di Catania metterà a disposizione 18 trappole fotografiche.
Sull’Etna il Gatto selvatico vive a quote medie più alte (1200-1800 m), e sfrutta come tane i cunicoli della “sciara”, i labirintici cunicoli delle vecchie colate laviche (del 1600 circa). Quali sono le caratteristiche di questa specie? Morfologicamente e dimensionalmente è affine al gatto domestico (TC: 450-630 mm, C: 250340 mm, P: 2-6 kg), dal quale risulta difficilmente distinguibile. Le caratteristiche del mantello utili ad una corretta identificazione degli esemplari comprendono un colore di fondo variabile dal grigio-giallastro al grigio-argenteo; un disegno nero brillante, articolato in quattro strie nella regione occipito-cervicale, due strie scapolari, una dorsale fino all’attaccatura della coda, l’apice e gli anelli presenti su quest’ultima; un disegno evanescente, molto più chiaro del precedente, lungo la regione laterale; padiglioni auricolari di colore uniforme e privi di ciuffetti di pelo.
  ROSARIO MESSINA

SONY DSC   2X Gatto selvatico Etna

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