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SUD ITALIA

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Giardini Naxos (ME) - A Messina il “Copavist”  Comitato di Partenariato Volontario per le infrastrutture, la logistica e i Trasporti della Città Metropolitana, presieduto dall’avv. Michele Minissale, dichiara che grazie all’art. 7-bis della  legge 27 febbraio 2017, n. 18.  a  partire dal primo gennaio 2018 per il Meridione  d’Italia potrebbe iniziare una stagione nuova se le Regioni interessate (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) sapranno sfruttare le opportunità offerte.

Il compito ineludibile del Governo centrale sarà quello di  far sì che la spesa pubblica in conto capitale a favore delle otto regioni del Sud, non possa essere inferiore all’incidenza percentuale della popolazione meridionale sul totale nazionale dei cittadini italiani.

Si tratta della cosiddetta “clausola del 34%”, tanta è la percentuale della spesa da destinare alle regioni del Sud Italia, data l’incidenza, per il primo anno di applicazione della legge,  della popolazione interessata sul totale nazionale.Tale misura normativa ha lo scopo di rendere competitive le regioni meridionali riducendo il loro gap attuale rispetto alle regioni del Centro-Nord, laddove, si pensi che attualmente gli investimenti ordinari nel Sud,  sono pari al 22% del totale.

E’ stato calcolato che se, negli anni dell’ultima crisi, dal 2009 al 2015, fosse stata attivata la clausola del peso demografico piuttosto che di quello produttivo,  il Pil del Sud avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata dal 2008. La diminuzione degli occupati sarebbe stata pari a -2,8% invece del -6,8% e si sarebbero persi circa 300 mila posti di lavoro in meno rispetto alla effettiva perdita di occupazione registrata, pari a circa mezzo milione di unità.

Se si tiene conto che l’ammontare complessivo degli investimenti statali ordinari è pari a 50 miliardi circa, la quota aggiuntiva di risorse spendibili a disposizione  del Mezzogiorno d’Italia sarebbe di ben 6 miliardi. Risorse tutte da destinare a investimenti per rendere competitivo il nostro territorio meridionale, che potrebbe così contare sulla certezza di una cospicua nuova disponibilità di capitali per infrastrutture e opere pubbliche, normalizzando, in tal modo,  la spesa ordinaria e valorizzando la funzione aggiuntiva e non sostitutiva dei fondi europei.

Se è vero che a partire dalla seconda metà del 2015 l’economia italiana ha dato i primi cenni di ripresa in termini di reddito, di produzione e di occupazione, è anche vero che uno dei lasciti negativi della crisi economica mondiale iniziata nel 2008 è stato l’ampliamento del divario di competitività tra le aree forti (Centro-Nord) e le aree deboli del Paese (Meridione e isole), a svantaggio di quest’ultime.

Sarà bene che alla luce di questo fatto i rappresentanti del Sud – politici, esponenti delle organizzazioni sindacali e datoriali, imprenditori, professionisti, uomini di  scienza e dottrina, uomini e donne impegnati nell’associazionismo e nei movimenti di azione civica – si facciano promotori della concreta attuazione  della clausola demografica  .

E’ necessario un nuovo approccio alla cosiddetta “questione meridionale”, un tema, questo, degradato nel tempo a problema marginale, addirittura scomparso dall’agenda della politica italiana dopo le tante polemiche sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno culminate nel 1985 con la messa in liquidazione della Casmez.

L’operato di quest’ultima, tuttavia, da qualche anno è stato oggetto di un profonda rilettura, al punto che negli ultimi mesi si è assistito a una rinnovata attenzione alle condizioni di svantaggio e di disagio del nostro Meridione . Difatti, oltre alla citata legge 18/2017, è stata varata anche la legge n° 123 del 03/08/2017, che ha convertito il D.L. n° 91, del 20/06/2017, recante disposizioni urgenti per la crescita economica del Mezzogiorno.

Tale decreto contiene in particolare quattro misure di grande valore, come quella a favore dei giovani imprenditori nel Mezzogiorno, denominata “Resto al Sud”, quella per l’istituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES), quella relativa alla semplificazione per la valorizzazione dei Patti per lo sviluppo e alla valorizzazione dei Contratti istituzionali di sviluppo e, infine, quella per la ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi nelle Regioni meridionali.

In particolare si noti l’istituzione delle ZES, ovvero di zone geograficamente limitate e chiaramente identificate, nella quale le imprese potranno beneficiare di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo. Al fine di generare vantaggi competitivi, il legislatore ha stabilito che la perimetrazione delle ZES debba includere almeno un’area portuale compresa nella rete transeuropea TEN-T  .

I benefici principali di questo strumento scaturiscono dagli sgravi fiscali e dalle semplificazioni amministrative: le Regioni potranno aggiungere a queste opportunità altre condizioni di favore, a cominciare da incentivi mirati alla crescita produttiva.

Posto che sono innegabili le evidenze per le quali l’Autorità portuale di Messina-Milazzo dispone di porti compresi nella richiamata  rete TEN-T  e  la città metropolitana di Messina, almeno sotto il profilo socio-economico, è meno sviluppata rispetto alle altre due città metropolitane della Sicilia, ne consegue che  trova oggettivo fondamento il pensiero che i nostri territori godano, di una condizione di priorità in tema di riconoscimento e individuazione di una esclusiva area riconosciuta ZES.

Quando il Governo, su motivata proposta della Regione Siciliana, avrà varato i provvedimenti attuativi e istituito la Zona Economica Speciale nella città metropolitana di Messina,  spetterà al nostro tessuto economico e sociale il compito gravoso di dimostrare di essere pronto all’appuntamento dell’innovazione di sistema.

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