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Come per tutti i viaggiatori stranieri,nel viaggio che Creuzè de Lesser fece in Italia tra 1801 e il 1802, l’Europa si fermava a Napoli. Il che vuol dire, che il Mediterraneo comincia proprio da Napoli. Ed è quel Mediterraneo delle lingue, certamente, ma anche delle culture grecaniche, arabe, balcaniche e degli incontri e scontri tra riti e fenomeni religiosi, da analizzare in una chiave di lettura antropologica…

22 Dicembre 2023 di Pierfranco Bruni – Antropologo e saggista

 

Da parte dei viaggiatori, sia stranieri sia viaggiatori provenienti dal nord Italia, ci sono chiavi di lettura abbastanza articolate che vanno da modelli di comprensione a letture comparate. Da Napoli in giù si respira, anche a sentire Maurice Maeterlinck nel suo Promenade en Sicile et Calabre risalente al 1924, l’atmosfera che è stata la realtà della Magna Grecia.

Il legame tra Europa e Mediterraneo presenta delle chiavi di lettura in cui l’intreccio tra lingue ed etnie, per Auguste Creuzè de Lesser (Parigi, 1771 – 1839) nel suo Viaggio in Italia e Sicilia risalente al 1806, pubblicato a Parigi da Didot, l’Europa finiva a Napoli. Si tratta di un viaggio che Creuzè de Lesser effettuò in Italia tra 1801 e il 1802. È una osservazione che ancora oggi fa riflettere perché se l’Europa per i viaggiatori stranieri si fermava a Napoli tutte le altre regioni come venivano considerate?

Lo stesso autore del testo citato, infatti, lo dice con molta singolarità quando afferma che “L’Europa finisce a Napoli, e anche assai male. La Calabria, la Sicilia, tutto il resto appartiene all’Africa” (cfr. Maurice Maeterlinck, Promenade en Sicile et Calabre, edizione 1997, Il Coscile, pagg. 7 – 8) . Ed è naturale che questa chiosa ci spinge ad una visione geografica ed antropologica dell’Italia ma se si vanno ad analizzare i tessuti territoriali ci si rende conto come, sia la geografia che l’antropologia rispecchiano una dimensione di natura prettamente etno – linguistica. Quell’Europa che finisce a Napoli segna lo spartiacque con il Mediterraneo il che vuol dire, che il Mediterraneo comincia proprio da Napoli. Ed è quel Mediterraneo delle lingue, certamente, ma anche delle culture grecaniche, arabe, balcaniche e degli incontri e scontri tra riti e fenomeni religiosi. Da Napoli in giù si respira, anche a sentire Maurice Maeterlinck (Gand, 1862 – Orlamonde, Nizza, 1949) nel suo Promenade en Sicile et Calabre risalente al 1924, l’atmosfera che è stata la realtà della Magna Grecia.

Una cultura chiaramente greca ma anche con delle ramificazioni in quelle koinè illiriche che rimandano alla storia albanese. Questo è un dato fondamentale perché come più volte sostenuto le cosiddette colonie albanesi e la tradizione grecanica si intrecciano tanto che la loro presenza ha dato vita ad un ethnos con il quale la storia d’Italia non solo dal punto di vista linguistico ha dovuto fare i conti.

La presenza degli albanesi nel regno di Napoli conferma sostanzialmente quello che sosteneva Creuzè de Lesser perché nel territorio del Regno di Napoli, già geografia fisica e politica della Magna Grecia, le lingue si son dovute sempre confrontare con i modelli di civiltà e quindi con i rapporti di dominazione che hanno permeato tutto il tessuto territoriale.

Il Regno di Napoli in una chiave di lettura antropologica si è trovato a raccordare con la presenza dei popoli balcanici provenienti dall’Adriatico, con la vicinanza del Mediterraneo greco e con l’affaccio ai paesi del Mediterraneo nord africano. Ed è naturale che i viaggiatori soprattutto quelli stranieri giungendo sia nell’area più vasta delle regioni meridionali sia nelle comunità etno – linguistiche con eredità ed appartenenza proveniente da altra realtà storico e geografico hanno dovuto puntualizzare la diversità che hanno riscontrato. Anche quella antropologica è una diversità di fondo caratterizzante nel dialogo con le popolazioni e con l’impatto sia urbanistico sia comunitario. Da parte dei viaggiatori, sia stranieri sia viaggiatori provenienti dal nord Italia, ci sono chiavi di lettura abbastanza articolate che vanno da modelli di comprensione a letture comparate. In molte occasioni non si riesce a fare un distinguo tra la presenza albanese e quella grecanica ma ci sono degli spaccati che offrono una forte tensione che si focalizza sulla descrizione del paesaggio.

Se Meterlinck (op. cit., pag.8) dice:Fino a Napoli il viaggio è piacevole e il comfort quasi perfetto…a partire da Napoli, e soprattutto in Sicilia, si incontrano gli inconvenienti…”, Maria Brandon – Albini (scrittrice italiana del Novecento) nel suo reportage dedicato alla Calabria risalente al 1957 ci offre questo affresco: “Con il crepuscolo, i paesi albanesi cominciano a brillare nel grembo ricoperto di muschio di un immenso presepe: San Basile, Acquaformosa, San Giorgio, Frascineto, lungo i contrafforti del Pollino; dal alto del mare Tirreno, San Benedetto e altri ancora; a destra del Crati, il prete mostra col dito il profilo brumoso della Sila greca dove si nascondono San Cosmo, San Demetrio Corone, Santa Sofia D’Epiro…” (Calabria, edizione 2008, Rubbettino, pag. 141).

Intorno a queste definizioni o rappresentazioni ci sono i costumi, le tradizioni, la lingua. E per gli albanesi o italo albanesi la lingua è il tutto che interagisce però con quel mondo bizantino al quale delegano la loro appartenenza le culture e le comunità greche. Lungo queste traiettorie il Mediterraneo ancora una volta è una presenza costante perché non solo interagisce ma definisce un processo che non è soltanto storico ma profondamente metafisico.

La storia più recente di queste comunità in questo lembo di Mediterraneo resta naturalmente quella della venuta degli albanesi. I viaggiatori che si sono spinti nel di dentro di queste comunità non hanno recuperato soltanto le forme etniche e non hanno cercato semplicemente di capire il suono della lingua ma si sono addentrati nel tentativo della comprensione di una storia che, comunque, resta ben intrecciata con il territorio.

Cesare Lombroso (Verona, 1835 – Torino, 1909) nel suo testo dal titolo In Calabria 1862 – 1897 sottolineando l’importanza della storicità degli albanesi ci offre una pagina di straordinario impatto sistematico: “La venuta degli Albanesi in Italia rimonta al 1462, quando Ferrante d’Aragona assediato in Barletta, e più le insistenze di Pio II (Enea Silvio Piccolonimi) chiamarono in aiuto contro Giovanni d’Angiò, Giorgio Castrista o Scanderbeg. Questi scese alle spiagge di puglia; ed i francesi al solo suo appressarsi sciolsero l’assedio e riportata la peggio in una battaglia ritornarono oltre Alpi. Scanderbeg ebbe in guiderdone la città di Trani, il monte Gargano col santuario di S. Michele, Manfredonia, ed il castello di S.Giovanni Rotondo. Ma dopo la sua morte avvenuta in Lissa nel 17 gennaio 1467 il Sultano s’impossessò della tanto ambita Albania; ed il figlio di Scanderbeg, Giovanni, poco degno, per valore, del padre, comunque protetto dalla Repubblica Veneta non sapendo resistere alla potenza ottomana espatriava, rifugiatasi nelle amiche terre napilitane insieme a molte famiglie albanesi, mentre latre toccarono i veneti dominii continentali. Il re Aragonese memore dei benefici ricevuti dal padre del fuggitivo principe l’accolse, e gli concesse il comando di S.Pietro di Galatina, ed arruolò la gioventù in reggimento; altri li raggiunsero cui il Re (per tenerli lungi dai grandi centri), sparse sul Gargano, ad Otranto e Melfi donde per dissensi insorti emigrarono in Basilicata: gli ultimi profughi in Sicilia e in Calabria vi edificarono 32 villaggi protetti da una pronipote di Scanderbeg sposatesi con un Sanseverini. Gli Albanesi, emigrati tutti in un’epoca istessa, conservarono ben più gelosamente le avite tradizioni, né so come si abbia potuto confonderli coi Greci, con cui non ebbero comunque che le lunghe sventure, l’origine Aria, e l’amore per la letteratura d’Ellenia, da cui, però, il loro linguaggio forse più differisce che dallo slavo e dal tedesco” (Cesare Lombroso, In Calabria, Rubbettino, 2009, pagg. 35-36).

Si tratta di una testimonianza di estremo interesse perché in un semplice spaccato Cesare Lombroso sfaccetta la presenza degli Albanesi nel Regno di Napoli ma parimenti tenta un confronto con la diversità dei Greci che sono, nonostante tutto, ben stanziati quasi nello stesso territorio. Per i viaggiatori stranieri trovarsi a contatto con popoli che sono portatori di una formazione greca, turca o araba ha avuto una duplicità di significato che tocca modelli di conoscenza di un territorio che è stato attraversato da antiche civiltà e che le loro tracce non sono soltanto nei beni culturali come elemento simbolico ma anche nel comportamento delle popolazioni e ciò che emerge vistosamente è il fatto che questo tessuto territoriale, come più volte ha sostenuto George Gissing (Wakefield, 22 novembre 1857 – 28 dicembre 1903), ha una profonda matrice mediterranea. Quindi viaggiare per luoghi e tra i luoghi nelle comunità albanesi e grecaniche per i viaggiatori stranieri, ha significato comprendere e capire una Europa che si fermava a Napoli. Proprio George Gissing (cfr. Daniele Cristofaro, George Gissing. Il viaggio desiderato (Calabria 1897), Pellegrini Editore, 2005 ; cfr. Alessandra Della Fonte, Bytheionian Sea: storia di un inglese che cercava l’antico e trovò le stelle, Il Coscile, 2008) che individua il suo viaggio tra le terre della Magna Grecia come un viaggio nell’Europa mediterranea.

Credo che partendo proprio da questa affermazione è possibile penetrare un tessuto che non è soltanto realtà geografica ma presenza esistenziale. In fondo le comunità che si rappresentano con una loro etnia ben definita rispetto a quella nella quale risiedono si sottolineano in una fedeltà che è quella, certamente, linguistica ma chiarificante in quella etno antropologica. Il che vuol dire che lingua e forme antropologiche costituiscono la chiave di lettura per penetrare una civiltà che è riuscita ad integrarsi in una cultura che già di per sé aveva un suo radicamento in una identità ben definita dal punto di vista della struttura geo –  politica.

I viaggiatori stranieri a volte hanno compreso ciò catturandone gli elementi e i sistemi ereditari altre volte sono rimasti disorientati. Ma resta il fatto che quella Magna Grecia che entra dentro il Regno di Napoli, ancora oggi, ha un suo portato, indubbiamente, storico la cui illustrazione si definisce, comunque, nei vari modelli antropologici che hanno antichi richiami. C’era una volta una Europa che diventò Mediterraneo e un Mediterraneo nel Regno delle Due Sicilie…

Il Regno di Napoli

Il Regno di Napoli

 

 

 

 

 

 

 

Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Presidente Commissione Conferimento del titolo “Capitale italiana del Libro 2024“, con decreto del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano del 28 Novembre 2023. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.Archeologo già direttore del Ministero Beni Culturali, Direttore responsabile del Dipartimento Demoetnoantropologico, Direttore Responsabile unico della Biblioteca del Ministero dei Beni Culturali. Membro Commissione Premio Internazionale di Cultura per l’Antropologia presieduta da Luigi Lombardi Satriani, decano dell’antropologia contemporanea Ordinario Sapienza Università di Roma.

Il Prof. Pierfranco Bruni

Il Prof. Pierfranco Bruni

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Aveva anticipato ciò che Vico aveva profetizzato. Una metafisica del tempo come metafisica dell’anima. Il suo Gesù ha il segno del Mediterraneo nella profezia dello sguardo. Mi ha fatto capire il linguaggio del santo e dello sciamano, il rito della mitologia e i riti cristiani. La nostra città di incontro fu Roma. Ma venne a trovarmi con Francesco Grisi più volte a Taranto. Un amico nella letteratura e nella scena della vita

28 Novembre 2023 di Pierfranco Bruni – saggista e antropologo

 

Roma, 28 nov. 2023 – Un maestro. Un amico di antica data tra impegno letterario e un dialogare tra anni antichi. Franco Zeffirelli. Ha portato nel cinema l’estetica. Sulla scena la bellezza. Non solo un grande regista. Una personalità che aveva saputo leggere la Storia del Mediterraneo grazie al sacro. Il suo Gesù ha il segno del Mediterraneo nella profezia dello sguardo. Mi ha fatto capire il linguaggio del santo e dello sciamano, il rito della mitologia e i riti cristiani. La nostra città di incontro fu Roma. Ma venne a trovarmi con Francesco Grisi più volte a Taranto.
A Taranto passeggiando con Franco Zeffirelli, era sempre un approdare “pezzi” di grecitá che pur pensando di conoscere restavano ignoti nei dettagli. Sapeva cogliere i dettagli che non significa raccogliere i particolari. Ma l’anima di mito o il silenzio del sacro in una relazione. Venne a Taranto diverse volte. Io allora ero assessore e vice presidente della provincia di Taranto. Non partecipò al Magna Grecia Festival di quegli anni, ovvero 1995 – 1999. Ma fu quello che seppe fondere nella mia idea l’intreccio tra gli dei greci e il Cristo mediterraneo. Taranto l’ha vissuta non come la Magna Grecia. Bensì come la Grecitá oltre, o meglio la Grecitá tra i Mediterranei e gli Adriatici.
Seppe guardare al mito delle donne greche di Taranto con la seduzione del mare e degli scogli.
Ebbi modo di incontrarlo tante volte tra Taranto e Lecce, tra Ionio e Salento.
Era il 1998. In una straordinaria serata estiva nella Lecce barocca intervistai in una bella piazza Franco Zeffirelli. Molto amico di Pinuccio Tatarella e della cara Adriana Poli Bortone. Più che una intervista fu un colloquiare tra esperienze e conoscenze, tra cultura e fede.
Al centro l’antropologia della cristianità e l’umanesimo della letteratura in una discussione sulla bellezza e sul viaggiare.
Già precedentemente avevamo intrapreso il nostro discutere sulla necessità di dare un senso all’essere mediterraneo in un convegno di due anni prima ad Agrigento e a Siracusa. Parlammo di mediterraneo come antichi amici e profondi conoscitori della grecitá tra i miti e gli archetipi.
Ma Franco era un maestro. Lanciò allora l’idea di un Mediterraneo senza spargimento di spazi meridiani. Un suggerimento interessante che proveniva dal suo approfondimento cristiano sia su Gesù che su San Francesco d’Assisi.
Il punto della sua proposta culturale era proprio qui. La cultura può ritrovare il suo senso se le civiltà riscoprono gli orizzonti delle radici.
Le radici sono il vero radicamento dei popoli, i quali vivono e resistono al moderno grazie alla tradizione.
Concetti dentro il pensiero di progetto non solo culturale e politico alto ma di un Progetto Uomo.
Zeffirelli sapeva guardare a ciò che sta davanti a noi e non a ciò che abbiamo alle spalle. Ciò che è davanti a noi, sosteneva, esiste in quanto la Ragione fondante di tutto si chiama Memoria.
Tra Agrigento e Lecce pensammo di creare i “Luoghi del mito”. Perché sono i luoghi che fanno le civiltà e danno voce ai popoli come Antropos.
Ci incontrammo tante altre volte a Roma e a Firenze. Il Mediterraneo era diventato il Cerchio del nostro labirinto. E il cinema o il teatro o la scena o il palco? Avevano senso.
I processi culturali non nascono. Si creano. Questo era il punto fermo e il riferimento. Il suo Gesù resta il l’umanitas nella chora delle identità che si richiamano alle sole e uniche voci del nostro abitare la vita con la bellezza.
Ecco. Era la bellezza il porto. Il porto da raggiungere era appunto la bellezza. Bisognava orientare oltre lo sradicamento, oltre qualsiasi segno di spaesamento. Gesù ci conduce alla Bellezza porto, spesso mi sottolineava.
La continuità era l’opera di Francesco. Il suo essere mediterraneo partiva proprio dal deserto cristiano.
La Puglia e la Sicilia diventavano con lui immaginario cinematografico e teatrale.
Il suo tempo lo ha vissuto dentro questo universo e universalismo in cui l’età delle civiltà si attraversavano snocciolando il sacro e il mito.
Poneva sempre come legame questi due modelli. Dio – Cristo e gli dei – grecitá.
Aveva anticipato ciò che Vico aveva profetizzato. Una metafisica del tempo come metafisica dell’anima.
Un grande maestro. Un maestro vero. Un amico che chiedeva di restare nella bellezza. Un amico! Un amico che seppe raccogliere i dettagli di una Magna Grecia oltre la stessa archeologia. Mi insegnò a dialogare con i frammenti. Soltanto dai frammenti potrai capire la Storia della grecitá di Taranto, ebbe a dirmi. Ha ragione ancora oggi. Era nato il 12 febbraio del 1923 a Firenze. É morto nella sua città il 15 giugno del 2019.
Una storia che é l’intreccio tra cinema, teatro, televisione e letteratura.
Le sue regie da “Camping” del 1957 a “Un giorno insieme” del 1965 e attraversando “La bisbetica domata” del 1967, “Romeo e Giulietta” del 1968, a “Fratello sole, sorella luna” del 1972, “Il campione” del 1979 e poi “La traviata” del 1983 a “Otello” del 1986, “Il giovane Toscanini” del1988. Nel 1990 arriva “Amleto” e tre anni dopo “Storia di una capinera”. Mentre nel 1999 “Un tè con Mussolini”.
Numerosi i cortometraggi, sceneggiati, da sceneggiatore, lavori per la televisione come ladattamento de “La Bohème” del 1965,
“Otello” del 1976 e la miniserie “Gesù di Nazareth” del 1977. Nel 1982 arriva il film per la tv “Cavalleria rusticana” e nel 1986 “Cosi è: se vi pare”, un anno dopo il suo “Turandot” e 2002 “La Traviata”. Un maestro tra cinema e la grande Opera.
Una letteratura cinematografica che è un inciso indelebile.
Un viaggio nella metafisica del sacro che nasce nel canto greco. Appunto nella grecitá i temi e i percorsi delle civiltà hanno sempre vissuto in una antropologia della scena. Un amico nella letteratura e nella scena della vita.

Il Maestro Regista Franco Zeffirelli

Il Maestro Regista Franco Zeffirelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Prof. Pierfranco Bruni

Il Prof. Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha approfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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Al polo artistico d’eccellenza del Teatro Auditorium dell’Università della Calabria, in scena gli Stick Men. Il progetto rock progressive nato nel 2007 dal nome dall’incredibile talento di Tony Levin influente bassista statunitense dal lungo curriculum (Yes, King Crimson)

16 Novembre 2023 di Francesca Librandi

 

Cosenza, 16 novembre 2023 – Riparte con successo JazzAmore, la fortunata kermesse musicale promossa da MKLive e Alter-Azioni Festival, che offre alla realtà urbana di Cosenza un viaggio attraverso sonorità jazz, funk e rock grazie a performance di altissimo livello a merito di grandi nomi del settore sul piano nazionale e internazionale.

Dopo line up d’eccezione quali Tullio De Piscopo, Virgil Donati e il Globetrotter Project di Dave Weckl e Alain Caron, che nei mesi precedenti hanno infiammato il pubblico in diversi luoghi di interesse dell’hinterland, giovedì 14 novembre al polo artistico d’eccellenza del Teatro Auditorium dell’Università della Calabria è stata la volta degli Stick Men, progetto rock progressive nato nel 2007 che prende il nome dall’incredibile talento di Tony Levin con il chapman stick, particolare basso elettrico utilizzabile anche come chitarra e di cui è attualmente il massimo rappresentante mondiale.

Tony Levin, influente bassista statunitense dal lungo curriculum (Yes, King Crimson, Liquid Tension Experiment per citare alcune delle sue collaborazioni), nel quale spicca il suo approccio innovativo agli strumenti musicali, essendo stato inoltre uno dei pionieri dell’uso del contrabbasso elettrico e il creatore di una tecnica per suonare il basso con le bacchette, è accompagnato nel progetto Stick Men da Markus Reuter alla chitarra (The Crimson ProjeKct e Europa String Choir), musicista ambient sperimentale, specialista del tapping e progettista di strumenti musicali, e Pat Mastelotto, virtuoso batterista noto per la sua militanza nei King Crimson, storico gruppo rock progressive britannico che ha fortemente influenzato intere generazioni di artisti.

Dopo il grande successo del tour post-pandemia, che ha rilanciato l’attuale formazione attuale con 72 concerti all’attivo nel biennio 2022-2023 tra Stati Uniti, America Latina e in Giappone, per promuovere i due ultimi lavori in studio della band gli Stick Men hanno abbracciato anche un rapido tour italiano, che ha visto il Teatro Auditorium dell’Unical come prima delle due uniche tappe del sud Italia, arrivando in Calabria per la prima volta in assoluto e regalando al pubblico presente in sala più di un’ora e trenta di spettacolo, intervallato da una buona dose d’umorismo dei tre musicisti.

Dopo le parole di apertura di Fabio Vincenzi, direttore del Teatro Auditorium Unical, e di Marco Verteramo, direttore dell’Agenzia MKLive, le coinvolgenti atmosfere a metà tra progressive rock e progressive metal, sviluppate in un complesso mix ritmico a tratti sfumante nello stile libero della jam e dell’improvvisazione, hanno mostrato un Tony Levin anche nell’insolita veste di cantante.

In successione all’inarrestabile incalzare del rock funkeggiante, progressive e jazz dei brani dei due ultimi album della band, Tentacles (2022) e Umeda (2023), l’encore con la doppia cover dei King Crimson ha concluso quella che è stata un’esperienza di suoni e atmosfere unica nel suo genere.

Ricordando che la kermesse, in collaborazione con l’Università della Calabria, il CAMS Centro Arti Musiche e spettacoli e con il sostegno del Ministero della Cultura, proponendosi di rendere più fruibile la musica di qualità nella realtà urbana, permette per tutti gli appuntamenti un costo ridotto del biglietto per studenti, docenti, ricercatori e personale dell’Università della Calabria.

Attendiamo il prossimo appuntamento della rassegna Jazzamore del 15 dicembre, col progetto Euphonia Suite di Eugenio Finardi, Mirko Signorile e Raffaele Casarano.

        Francesca Librandi

Tony Levin

Tony Levin

Gli Stick Men

Gli Stick Men

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“Valore della Poesia nella contemporaneità tra Letteratura e Psicoanalisi” il Convegno promosso da Agape Caffè Letterari d’Italia e d’Europa e Ast. Un importante confronto tra psicoanalisti e umanisti. “Quando la poesia è metafisica il tempo della storia non si racconta. Si abita…Il contributo di Pierfranco Bruni tra i maggiori interpreti del mondo letterario

28 Ottobre 2023 di Maria Chiara Luca

 

Il Prof. Pierfranco Bruni

Il Prof. Pierfranco Bruni

Ascoli-Piceno, ottobre 2023 – “Quando la poesia è metafisica il tempo della storia non si racconta. Si abita…” Il Professor Pierfranco Brunitra i maggiori esponenti della scena letteraria attuale, insignito del riconoscimento per l’esaltante percorso professionale, a chiusura della prima edizione del Convegno internazionale “Valore della Poesia nella contemporaneità tra Letteratura e Psicoanalisipromosso da Agape Caffè Letterari d’Italia e d’Europa e Ast.

Un importante confronto tra psicoanalisti e umanisti ospitato a Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno, dedicato a Mario Pazzaglia (1925 – 2017 – autore dell’Antologia della Letteratura Italiana, Professore emerito di Lingua e Letteratura italiana presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, Presidente e Fondatore dell’Accademia Pascoliana).

Moderato da Angelo Marco Barioglio Direttore U.O.C di Psichiatra Territoriale AST Ascoli Piceno e scrittore e Gaia Baroni Psichiatra Territoriale e Poetessa il Convegno è stato articolato in due sessioni e declinato dagli interventi di numerosi relatori per diverse sezioni, dalla Cultura accademica, Cultura e Scienze, Comunicazione etica, Cultura sociale, Cultura inclusiva e arte alla Letteratura.

Il tavolo dei relatori

Il tavolo dei relatori

 

Per quest’ultima,Un viaggio metafisico nella poesia il contributo in un abstract di Pierfranco Bruni: “Quando la poesia è metafisica il tempo della storia non si racconta. Si abita. Si abita nell’esistenza oltre la cronaca e lungo un infinito e un orizzonte si tracciano le vie che dal cuore partono e al cuore ritornano. La poesia non è soltanto un linguaggio della scrittura. È la scrittura che diventa espressione del proprio essere. Comprendere. Esserci. Viversi. Cercarsi. Non dimenticarsi. Logos e memoria. L’isola che portiamo in noi è un linguaggio della lingua certamente. Ma è soprattutto quella metafisica che ci permette, o dovrebbe permetterci, di restare nel mosaico del nostro essere Fede [nella laicità dei sentieri] e Ragione”.

La locandina dell'evento

La locandina dell’evento

L'intervento del Prof. Bruni

L’intervento del Prof. Bruni

Un momento della manifestazione

Un momento della manifestazione

Consegna riconoscimenti

Consegna attestati evento

Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molti anni. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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Per la rassegna culturale “Impressioni di Settembre” martedì 12, alle 18:30 la Biblioteca comunale di Modugno (Bari) ospiterà l’incontro con Pierfranco Bruni. Per l’autore la vera innovazione di Benedetto XVI è la Tradizione che rivoluziona la modernità, ritenendo il relativismo la leggerezza e la fragilità contemporanea. In “Colmare il cuore” Bruni indaga, offrendo una visione del discutere tra la matrice di pensiero tra Giovanni Paolo e Benedetto marcando sulla discontinuità di Bergoglio, sullo sfondo del rapporto Fede e Ragione

Pierfranco Bruni con il libro

Pierfranco Bruni con il libro

Benedetto XVI, il pontefice della tradizione? Una discussione a tutto campo sul pontificato post Giovanni Paolo II. Colmare il cuore è un metafora che si apre a quella metafisica dell’anima alla quale Pierfranco Bruni ha dedicato tutti i suoi scritti letterari e filosofici. Proprio per questo il suo “itinerario con Benedetto XVI” porta proprio il titolo di “Colmare il cuore”. Sottolinea un dato esistenziale preciso nel momento in cui sottolinea che con Benedetto XVI che vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi

Martedì 12 settembre si terrà a Modugno (Bari) la presentazione del volume “Colmare il cuore” di Pierfranco Bruni, di recente pubblicazione, ovvero del 2023, pagine 144, edito da Pellegrini, euro 14.00, nel sottotitolo “Un Itinerario con Benedetto XVI” viene marcato un processo di transizione in epoche e ottiche di interpretazioni. Pierfranco Bruni non lascia al caso ma indaga facendosi portatore equilibrista tra fede e ragione. La ragione è la contestualizzazione dell’uomo storico che dilania ogni metafisica e sa di poter contare sull’ideologia. Il sacro non ha bisogno della storia, perché ha la fede. La fede è l’incontro, e se vogliamo lo scontro/conflitto tra la certezza e il dubbio in una ontologia dell’anima che è la salvezza.

Il cesellare costante di “Colmare il cuore” risiede e si amplia nella forte e profonda insistenza di Bruni sulla riflessione di fondo qui rappresentata proprio dal rapporto Fede e Ragione. L’autore ci offre una visione del discutere tra la matrice di pensiero e se legame si tratta tra Giovanni Paolo e Benedetto marcando sulla discontinuità di Bergoglio.

Bruni sottolinea infatti la discontinuità tra la chiesa di Benedetto e quella di Francesco su un “itinerario” che è un percorso sostanziale tra identità e tradizione. Per Pierfranco Bruni, infatti la vera innovazione di Benedetto è la Tradizione che rivoluziona la modernità, ritenendo il relativismo la leggerezza e la fragilità contemporanea. Un libro importante oltre la teologia stessa.

La copertina del libro

La copertina del libro

Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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Identità illiriche vivono sul tessuto non solo storico ma antropologico di San Lorenzo del Vallo in Calabria. Gli Albanesi in fuga dallo loro terra oppressa e occupata dall’invasore turco trovarono ospitalità nelle aree spopolate da forti e ripetuti terremoti tra il 1453 e il 1456. San Lorenzo e territori viciniori svuotati, si ripopolarono con l’arrivo dei profughi albanesi accolti dai feudatari locali del Regno di Napoli tra il 1469 e il 1481.San Lorenzo è stata una comunità vitale albanese le cui impronte sono un fatto profondamente culturale in un legame tra territorio e “abitato” che guarda ad una antropologia del vissuto

 A cura di Pierfranco Bruni – Antropologo già direttore Ministero Beni Culturali

Parto da un presupposto di riferimento. La storia si fa con i documenti e non perché mi è stato tramandato oralmente, ma perché è la scientificità che crea modelli di certezza storiografica. San Lorenzo era stato un centro con presenza greca e romana anche se il termine (o l’etimologia del casale) di Castrum Laurentum ha una netta derivazione romana (“antonina” da Antonino Pio), il cui feudo intorno al 1200 assume il nome di Sancti Laurenti. Un territorio che ha subito non solo conflitti di natura bellica (a cominciare dalla temperie romana) ma è stato anche afflitto da devastazioni telluriche). Il terremoto allontanò le popolazioni dai territori che erano stati colpiti in modo grave.

Infatti, tra il 1453 e il 1456 si verificò una situazione di spopolamento non solo del paese in questione ma di quasi tutto il territorio. Ci furono ripetuti terremoti in tutta la Calabria proprio tra il 1446 e il 1456. Quelli più disastrosi si verificarono il 1451, il 1453 e il 1456. Il casale di San Lorenzo venne completamente spopolato come altri casali viciniori. In tali circostanze, in relazione alla fuga degli Albanesi dallo loro terra oppressa e occupata dall’invasore turco e dopo l’immediata morte dell’eroe Giorgio Castriota Skanderbeg [1], in questi territori trovarono ospitalità proprio i profughi albanesi, i quali vi crearono delle vere e proprie comunità portandovi il loro rito, la loro tradizione, la loro storia.

Furono i feudatari locali ad ospitare gli Albanesi. Il Regno di Napoli accolse tra il 1469 e il 1481 queste ondate migratorie che provenivano dalla vicina Albania. A San Lorenzo del Vallo si formò uno dei nuclei più consistenti. San Lorenzo, che conservava ancora nella sua tradizione dei luoghi e dei nomi comuni alla cultura greca, divenne una comunità, a tutti gli effetti, albanese. Gli Albanesi vi si stanziarono intorno al 1479 ripopolando così il casale e rimasero a San Lorenzo sino al 1517. Dal 1517 in poi gli Albanesi cominciarono a dividersi distribuendosi nel contesto territoriale formando le comunità esistenti tuttora.

Crearono il loro agglomerato abitativo nella zona Sud del casale e qui circoscrissero un’area da adibire a cimitero. La zona interessata era intorno ai quattro punti di Via dei Greci, di Via Apollo, di Via Fischia e di Via Pipana. Le due ultime vie corrispondono, tra l’altro, a due sorgenti d’acqua. Quattro punti, lo si nota molto bene, che hanno una derivazione etimologica greca. D’altronde il termine Fischia è derivato dal greco Physca e richiama una città della Macedonia mentre il termine Pipana viene dal verbo pepino che equivale, in greco, a “far cuocere”.

San Lorenzo fu uno di quei paesi ripopolato dagli Albanesi. Gli Albanesi, giunti in Italia o meglio nell’allora Regno di Napoli non solo fondarono nuovi ceppi comunitari ma, (in molte occasioni dovute a situazioni di immigrazione – emigrazione e a circostanze storiche e geografiche) si trovarono nella situazione di ripopolare casali e centri che avevano rappresentato già dei riferimenti territoriali nelle epoche precedenti. Il caso, appunto, di San Lorenzo del Vallo. Identità illiriche vivono sul tessuto non solo storico ma antropologico di San Lorenzo del Vallo.
Un tessuto che ha assorbito diverse culture. Gli Albanesi si portarono dietro una profonda religiosità. San Lorenzo in quel tempo era già sede del Convento dei Frati Riformati e questo fu una garanzia anche culturale per gli Albanesi che credevano fortemente ai valori della Chiesa. È proprio in quell’area geografica (nei pressi dove sorgeva il Convento) che gli Albanesi si stanziarono. Indubbiamente, i feudi ecclesiastici rappresentavano per gli Albanesi un punto di riferimento.

San Lorenzo con la presenza degli Albanesi ebbe il rito greco. E lo mantenne sino al 1610. Fino a questa data il rito greco veniva praticato per alcune famiglie albanesi in San Lorenzo e veniva celebrata una messa dal sacerdote Nicola Nemojanni che proveniva da Spezzano Albanese. Dopo la chiesa dedicata a San Nicola, San Lorenzo ebbe la Chiesa di S. Maria delle Grazie, sita nelle strette vicinanze del Castello, di rito latino dovuta alla venuta del Beato Umile. Comunque, il rito greco, in San Lorenzo, non ebbe ripercussioni e dopo il 1610 il discorso si chiuse.

Uno spaccato storico di notevole importanza sia sul piano di una geografia fisica sia nell’articolato antropologico.
Intorno a questi anni San Lorenzo raggiunse una popolazione complessiva di 2000 abitanti. I nuclei familiari ammantavano a 362. Mentre nel 1543 San Lorenzo, secondo il Regio Numeratore, era una delle comunità albanesi più popolata nonostante l’avanzata emigrazione. I nuclei familiari erano, comunque, passati a 71. Nel censimento del 1543 sono già presenti le colonie albanesi distribuite nel territorio, manca però Spezzano Albanese, la quale avrà i natali negli anni successivi.

C’è da sottolineare che tra il 1479 e il 1521 (anno che segna la vera emigrazione degli Albanesi da San Lorenzo) venne eretta – non si hanno, comunque, notizie storiche certe – nel casale, una chiesa in nome di San Nicola. Un Santo che ha derivazioni che provengono dalla Penisola dei Balcani. In tale contesto nasce anche la nobiltà dei Gaudinieri, (proveniente da Acri dove tuttora esiste il Palazzo Gaudinieri oltre che a Spezzano Albanese) e dei Guaglianone prima.
Il 1521 è, dunque, l’anno decisivo per il lento abbandono degli Albanesi dal casale di San Lorenzo. Ma la vera emigrazione (che fu un trasferimento) si ebbe intorno al 1564.

Cosa avvenne in realtà? Nel 1532 Carlo V, dopo la caduta feudale della famiglia Caraffa alla quale era intestato il feudo di San Lorenzo, offrì l’investitura a Ferrante Alarcon della Valle Siciliana. Isabella, che era la figlia di Ferrante Alarcon, sposò Pietro Gonzales de Mendoza. Il primo figlio, frutto di questo matrimonio, morì prematuramente. Il secondogenito prese il nome , per salvare l’investitura, dello scomparso, ovvero: Pietro Antonio Alarcon della Valle Mendoza con l’aggiunta di Ferrante. Da qui il casato Alarcon della Valle Mendoza e la relativa aggiunta a San Lorenzo del termine della Valle e poi del Vallo. L’Alarcon puntò a popolare il suo feudo in Lucania imponendo agli Albanesi di San Lorenzo di trasferirsi a Palazzo San Gervasio.

Gli Albanesi, rimasti ancora a San Lorenzo, non accettarono questa impostazione. Infatti, non si allontanarono, disubbidendo così all’ordine dell’Alarcon. Si trasferirono, invece, nei pressi dell’attuale Santuario della Madonna delle Grazie in Spezzano Albanese, allora territorio di Terranova da Sibari. Questa comunità albanese sorse, chiaramente, successivamente a queste vicende, ovvero dopo il 1564. Comunque, non tutti i nuclei familiari lasciarono San Lorenzo. Alcuni nuclei rimasero e costituirono la nobiltà del paese.

Allontanati, gli Albanesi, nonostante la presenza di alcune famiglie i cui cognomi sono ancora presenti, San Lorenzo conobbe una fase difficile e nuovamente si popolò, tanto che nel 1571 contava appena 50 nuclei familiari e si creò una situazione di grande precarietà che durò nel corso degli anni. Il rito, la tradizione e la lingua degli Albanesi furono completamente abbandonati ma resta nell’immaginario di una popolazione e di una civiltà il senso delle radici e di una matrice che non facilmente può essere dimenticata.

San Lorenzo del Vallo fu un paese ripopolato dagli Albanesi e furono proprio gli Albanesi a dare al paese stesso una nuova anima e un nuovo assetto comunitario, in un contesto storico che segnò tutta la realtà geografica e culturale del Meridione.
Questa anima albanese è una testimonianza che resta come un tracciato indelebile nella coscienza di un paese e nella spiritualità di una popolazione.
L’eredità albanese che ebbe segni tangibili sino al XVII secolo è un processo nel quale l’intreccio tra identità, storia, appartenenza e territorio costituisce una chiave di lettura fondamentale.

San Lorenzo è stata albanese: una di quelle comunità vitali, le cui impronte non sono solo un fatto etico ma anche profondamente culturale.
Ed è qui che il legame tra territorio e “abitato” ha una sua specularità storica, che ben sa guardare e ascoltare gli elementi di una antropologia del vissuto.

La Chiesa di San Lorenzo del Vallo (Cs) Calabria

La Chiesa di San Lorenzo del Vallo (Cs) Calabria

Il Castrum

Castrum Laurentum

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pierfranco Bruni nato in Terra Calabria, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Antropologo, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e raffinato stile linguistico Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente alla Sapienza Università di Roma ed ha aapprondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle minoranze linguistiche.

Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni

Come Centro Studi Francesco Grisi porteremo avanti un progetto su Giuseppe Selvaggi (nato il 29 agosto del 1923 a Cassano Ionio, Cosenza, morto a Roma il 26 febbraio 2004) e l’incontro con Corrado Alvaro e Giuseppe Troccoli. Un incontro tra scrittori calabresi lungo i fili generazionali che hanno raccontato una terra di paesi tra mari e montagne. In una confessione rilasciata da Giuseppe Troccoli a Giuseppe Selvaggi, e da lui pubblicata in un articolo apparso su “il Tempo” dei 28 ottobre 1951, si parla di una Calabria che non c’è più ma di una Calabria il cui sentire nostalgico ci porta indubbiamente al tempo dei ricordi. Una calabria che intreccia vita, storia e letteratura…

A cura di Pierfranco Bruni

Giuseppe Selvaggi, Corrado Alvaro e Giuseppe Troccoli. Una calabria che intreccia vita, storia e letteratura.
In una lettera inedita in cui si parla di una Calabria dai piccoli casati e personaggi  che recitano, Corrado Alvaro è tra Giuseppe Selvaggi e Giuseppe Troccoli.

I DUE SCRITTORI

Un incontro tra scrittori calabresi lungo i fili generazionali che hanno raccontato una terra di paesi tra mari e montagne. Nel centenario della nascita di Giuseppe Selvaggi, nato il 29 agosto del 1923 a Cassano Ionio, Cosenza, morto a Roma il 26 febbraio 2004, si propone una lettera inedita di Troccoli indirizzata proprio a Selvaggi in riferimento a Corrado Alvaro.
Infatti in una confessione rilasciata da Giuseppe Troccoli (Lauropoli – Cosenza, 1901 – Firenze, 1962), uno scrittore che ha raccontato il tempo e i paesi del Sud, a Giuseppe Selvaggi, e pubblicata dallo stesso Selvaggi in un articolo apparso su “il Tempo” dei 28 ottobre 1951, si parla della Calabria, di una Calabria che non c’è più ma di una Calabria il cui sentire nostalgico ci porta indubbiamente al tempo dei ricordi. Troccoli aveva pubblicato il libro di racconti dal titolo: “Lauropoli”.
Alla domanda di Selvaggi che chiedeva:Come ha visto il suo paese natale per il romanzo Lauropoli, dalla Toscana?” Troccoli così rispondeva: “in maniera semplicissima: attraverso il ricordo suscitato in me, nel turbine della guerra, per legge di contrasto. Ero sfollato in un paese di montagna e specie dopo l’8 settembre, le notizie tragiche si susseguivano con crescendo pauroso”. Spaccati di storia e di letteratura. un intreccio importante.
E ancora Troccoli: “Sedato nel dolore che tutti soffrivano in quei momenti, costretto nei mesi successivi a starmene tappato in casa, trovai conforto e sollievo nel riprendere le pagine dei mio manoscritto, sapendomi con l’animo nell’epoca felice della mia fanciullezza. Così rividi, potrei dire, casa per casa, vicolo per vicolo, il mio paese natale, nei suoi personaggi, nella sua vita quotidiana semplice e molteplice a un tempo nella sua atmosfera tanto più incantata quanto più essa rappresentava un mondo insensibilmente passato per sempre”.
La favola della Calabria, vista da Firenze, dava l’immagine di una terra, come lo stesso Selvaggi annota, i cui segni sono mítici, antichi e favolosi. E con la Calabria Troccoli ebbe sempre un dolce rapporto. Oltre ai suoi testi ciò è testimoniato dalla corrispondenza che mantenne proprio con Selvaggi.

Ci sono lettere che risalgono al 1939. In una. datata Firenze, 24. 11. 1945, annota scrivendo a Selvaggi: Andrai in Calabria per Natale? lo sì. Passando per Roma, t’avvertirò se mai ci si possa vedere almeno alla stazione”.
Tra Troccoli e Selvaggi ci fu sempre un dialogo molto aperto. Vita e letteratura. Storia ed emozione.

PAGINA SCRITTADalle lettere di Troccoli a Selvaggi si può evincere anche lo stato d’animo con il quale il Troccoli lavorava e preparava i suoi libri. Erano rispettosi amici e si stimavamo.
Un breve epistolario che comunque ci dà la dimensione di un dialogo costante tra due intellettuali e tra due poeti che hanno segnato il corso letterario calabrese di questi anni.
In un passo di una lettera datata Firenze 3. 12. 1945 si legge: Spero rivederti a Roma al più presto. Mandami, per piacere, il recapito preciso di Alvaro, che mi saluterai alla prima occasione. (… ) lo sono intento all’ultima revisione dei miei manoscritti: Verga (studio) e L’ombra che nella mente posso (liriche)”.
In una dedica al Purgatorio dantesco Troccoli incide: “A Giuseppe Selvaggi, con affetto di compaesano e di amico”.
Era il 1951. Il sentimento di appartenenza è certamente un valore. Un valore forte che passa attraverso il recupero di quel tempo perduto che si fa identità.
In Selvaggi, appunto, Troccoli trovava quella “paesanità” che lo portava alle sue origini, alle sue radici, al suo mondo dell’infanzia e della fanciullezza.
Sempre nell’articolo dei 1951 (apparso su “il Tempo”) Selvaggi annotava, riferendosi a Lauropoli e in particolare ai personaggi che vi campeggiano, delle sottolineature che hanno un senso non solo letterario: “Tutte queste figure sono la Calabria , è fatta così la Calabria : un ammasso di figure umane contorte dalla miseria, dalla superstizione, dalla vanità dei piccoli casati paesani, dal dolore accumulato in secoli di rinunzie, contorte dalla necessità di andare lontano (…)”.

E ancora è importante questo inciso di Selvaggi al mondo di Troccoli, che era lo stesso mondo di Selvaggi: “i calabresi nel mondo: quegli esuli che siamo tutti noi fuori dalla Calabria, che con una rapidità assimiliamo quello che nelle altre regioni troviamo di utile alla nostra affermazione di uomini. Nasce così quello stacco evidente che un calabrese riesce a produrre nella propria vita e negli usi con un semplice viaggio oltre i monti della Lucania”.

 Un rapporto, allora, tra corregionali legati da un unico interesse che è quello dei senso di una appartenenza i cui valori di fondo diventano non solo testimonianza ma espressione letteraria. Un rapporto, inoltre, anche tra due generazioni. Generazioni che hanno vissuto l’età della diaspora e hanno raccontato il dolore della separazione, un dolore che si è fatto consapevolezza ma anche mistero. Ho parlato di questo e di altro, in riferimento a Giuseppe Selvaggi, in un libro edito alcuni fa e pubblicato dalla casa editrice Il Coscile. Come Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi porteremo avanti un progetto su Giuseppe Selvaggi istituendo anche un premio.

Selvaggi, giornalista del “Tempo”, del “Messaggero”, del “Giornale d’Italia”, incontrò Alvaro a Roma negli anni Quaranta del ‘900. Fece una delle sue prime interviste ad Alvaro nel 1945.
In Selvaggi il tempo della poesia resta sempre il tempo del viaggio.

Pierfranco Bruni è nato in Calabria, terra a cui è profondamente legato, ma vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Antropologo, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e raffinato stile linguistico Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente alla Sapienza Università di Roma ed ha aapprondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni

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Carla  Terranova

Carla Terranova

“Fascino Mediterraneo” il prestigioso concorso internazionale di bellezza ideato e promosso dalla Patron Carla Terranova, si prepara per l’evento conclusivo. Dopo diverse tappe, la kermesse si avvia alla tappa finale che si terrà il 27 maggio prossimo a Reggio Calabria. Sfileranno in passerella tanti concorrenti dal fascino mediterraneo che saranno valutati da una scrupolosa Commissione e da una qualificata Giuria nel corso di una serata ricca di eventi e momenti di intrattenimento.

“Fascino Mediterraneo” è oggi uno dei concorsi di bellezza più partecipati in Italia da donne e uomini di diverse età, grazie all’impegno, alla tenacia ed alla professionalità della Patron del Concorso che, per questa edizione ha scelto di realizzare la finale nella sua terra di origine.

Dopo la bellissima finale regionale dello scorso 14 gennaio, capitanata da Mary Catalano collaboratrice della Terranova, il concorso approda il 25 maggio a Reggio Calabria con un importante progetto che riguarderà non solo il “fascino Mediterraneo” ma anche la “Difesa della donna”. Il 26 maggio vi sarà l’anteprima del  concorso presso il ristorante “La luna ribelle”, dove tutte le modelle indosseranno abiti storici ispirati ai Greci della Magna Grecia  confezionati dalla  costumista Adriana Monaco.  Seguirà una sfilata di sessanta modelle realizzata sul lungomare attraverso il quale,  raggiungeranno l’”Arena dello Stretto” di Ciccio Franco  fino al Castello Aragonese.
Il 27 maggio presso la struttura  Sala Pitasi di Mossorrofa (Rc) si svolgerà la finalissima nazionale  del concorso. Si prospetta un grande afflusso di gente per la grande novità di organizzare l’evento per la prima volta a Reggio Calabria.

Le concorrenti provengono da varie regioni italiane: Calabria, Sicilia, Lazio,Umbria, Lombardia, Campania e Abruzzo.  Il Concorso prevede otto categorie: Miss, Lady, Ladypiù, Over, Curvy,  Mister, Baby e Teen- Agers.

A condurre la serata saranno professionisti affermati: Elena Presti e Alessandro Cassata. La  produzione è di Gianni Gandi del programma televisivo Gran Gala Italia.

I concorrenti già da giovedì’ 25 maggio, saranno in presenza presso “l’Hotel  Lungomare” di Reggio Calabria  per  aggiornamenti e prove. A dare un tocco di bellezza ed eleganza all’evento contribuirà anche la costumista  irpina Adriana Monaco la quale forte della sua professionalità’ renderà’ le modelle e i modelli  unici nei costumi d’epoca. La Monaco è alquanto nota in Italia ed all’estero per le sue belle creazioni sartoriali e d’epoca indossate da molti personaggi del mondo dello spettacolo e dello showbiz. Recentemente è stata premiata a Villa Domi a Napoli con un premio alla carriera. La serata del 27 maggio sarà animata dalle note musicali del cantante Raffaele. Il fotografo Alessandro Gallo, con grande professionalità  Immortalerà i modelli che sfileranno nel corso della serata.

Fascino Mediterraneo non sarà solo un palcoscenico di bellezza poiché nel corso della manifestazione saranno trattati anche temi sociali importanti. Vi sarà uno spazio dedicato al fenomeno del Femminicidio e alla Violenza di genere, temi cari per la Patron dell’evento e per la sua associazione no-profit.

A tal proposito ricordiamo che Carla Terranova  ha portato avanti i suoi progetti con grande passione e professionalità. Tra le sue realizzazioni ricordiamo anche  due suoi Film: Fascino” e   Il buio e poi la luce”  prodotti  durante il periodo pandemico  che hanno riscosso ampio successo  vincite nei film festival  di Roma e Calabria. Per la sua caparbietà molti giornali la presentano come la Rivoluzionaria” poiché non indietreggia mai davanti agli ostacoli ma “rivoluziona” con i suoi importanti eventi che puntualmente riscuotono ampi successi.

Riguardo il concorso “Fascino Mediterraneo” perché  quest’anno Carla ha deciso di portarlo a Reggio Calabria?. La Patron ha risposto così:” Ho voluto portare il mio concorso nella mia Regione mia (Taurianova) ricordando il pensiero del mio caro papà che mi ricordava sempre di non dimenticare mai le mie origini e che…. sono Reggina .  Questo concorso è un evento voluto con il cuore nonostante tante difficoltà dovute alla distanza ma oggi sono felice  perché so di lasciare un bel ricordo di Fascino Mediterraneo. E’ proprio vero, mi considero una rivoluzionaria perchè  lavoro con il cuore e la passione. Era questo il mio sogno da bambina: lavorare nel mondo dello spettacolo! Un lavoro non facile per chi non lo lavora con passione, pazienza, intelligenza assieme a tanta umiltà. Grazie e ancora grazie a chi mi sta seguendo  oramai da tantissimi anni.  I miei ringraziamenti vanno anche a tantissime persone  che mi seguono e mi hanno aiutato  in tanti mesi di lavoro . Grazie ai miei collaboratori  a tutti coloro che sono al mio fianco. Grazie!

                ROSARIO  MESSINA

Partecipanti di una passata edizione dell'evento organizzato da Carla Terranova

Partecipanti di una passata edizione dell’evento organizzato da Carla Terranova

Partecipanti alla passata edizione del concorso

Partecipanti della passata edizione del concorso

Concorrente premiata

Una delle concorrenti finaliste premiata

Una delle concorrenti finaliste premiata

Una delle concorrenti finaliste premiata

Carla Terranova

Carla Terranova

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Licusati (Salerno) – Conferito nel corso di una solenne cerimonia che si è tenuta, alla presenza delle Massime Autorità religiose, civili e militari presso il Santuario dell’Annunziata di Licusati, il Premio Internazionale Nassiriya all’Avv. Silvana Paratore già Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana con la seguente motivazione:”Fortemente impegnata nel settore del volontariato sociale ed in possesso di elevate virtù etiche e civili che hanno reso il suo operato esempio di solidarietà per le nuove generazioni, ha contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà “. 

Il premio patrocinato, tra gli altri, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal ministero della Difesa viene conferito a persone che si sono distinte nel campo sociale – è il premio di chi si impegna per gli altri, di chi non gira la testa dall’altro lato dinanzi alle difficoltà, è il premio di chi  vuole bene all’Italia-

Tra i premiati di quest’anno anche il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie On. Francesco Boccia, il magistrato Catello Maresca, i giornalisti sotto scorta Sandro Ruotolo e Michele Albanese ed il Contrammiraglio Fabio Agostini. 

La consegna dell'attestato

La consegna dell’attestato

I partecpanti alla cerimonia

I partecpanti alla cerimonia

L'attestato

L’avvocato Silvana Paratore con il Generale di Divisione dell’Arma dei Carabinieri Maurizio Stefanizzi Comandante della Legione dei Carabinieri della Campania

L'Avv. Paratore mostra l'attestato

L’Avv. Silvana Paratore con il Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano Francesco Paolo Figliuolo

L'avv. Silvana Paratore con il Ministro degli Affari Regionali del Governo On. Francesco Boccia

L’avv. Silvana Paratore con il Ministro degli Affari Regionali del Governo On. Francesco Boccia

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La quarta edizione della Traversata Solidale dello Stretto di Messina “Tancrede Swim Challenge… la sfida di un giorno la sfida per la vita” e la  prima edizione “Swim for Parkinson”

All’evento solidale presenti le telecamere di Linea Blu e della Rai

La sfida della traversata dello Stretto di Messina è stata ancora  vinta da Cecilia Ferrari, ma questa volta non era sola, assieme a lei si sono tuffati da Capo Peloro altri cinque atleti parkinsoniani, per poi giungere a Cannitello in ordine sparso, stanchi ma felici. L’obiettivo era quello di affrontare con successo l’ostacolo delle correnti e dei vortici dello Stretto, che è stato superato grazie al coordinamento del Comandante Giovanni Fiannacca, che ha curato l’azione delle venti imbarcazioni a supporto dei nuotatori e delle troupe televisive, alla regia della Capitaneria di Porto di Messina e al supporto logistico della Sezione messinese della Lega Navale. La manifestazione “Un Mare da Vivere… senza Barriere” dell’Associazione L’Aquilone Onlus di Messina, giunta alla XIV edizione, ha ospitato la quarta edizione della Traversata Solidale dello Stretto di Messina “Tancrede Swim Challenge… la sfida di un giorno la sfida per la vita”, dedicata al giovane Tancrede Roy di Boston (Usa), che sostiene i progetti sociali dell’Associazione L’Aquilone Onlus e la prima edizione di “Swim for Parkinson”. Il Presidente dell’Aquilone Onlus Rosario Lo Faro, si è mostrato soddisfatto per la perfetta riuscita dell’evento e per l’attenzione mediatica ricevuta: “Le telecamere della famosa trasmissione estiva del sabato pomeriggio assieme a quelle delle tre reti Rai nazionali, sono state il suggello ai nostri tre lustri di  volontariato, impegno e dinamismo  creativo. Questa edizione si è svolta col patrocinio della Fondazione Limpe per il Parkinson Onlus e l’Accademia Limpe – Dismov presieduta dal prof. Pietro Cortelli, Presidente della Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus, il quale ha dichiarato: “Sono contento per il successo ottenuto dai nostri atleti, in uno scenario unico, lo ripeteremo il prossimo anno con un numero superiore di pazienti, il messaggio ai 350.000 pazienti italiani è quello che si può sfidare lo Stretto, ma con la giusta motivazione e  preparazione”. Ospite d’onore della traversata la famiglia del giovane Tancrede Roy di Boston USA, per la grande fiducia e per il sostegno economico e morale dato all’Aquilone. Tancrede Roy ha letto un messaggio molto applaudito, rivolto ai nuotatori parkinsoniani, all’Aquilone  e alla bella Sicilia, che lo ha adottato e che non smetterà di amare, a seguire ha firmato un assegno di $ 18,300, destinato alle attività solidali dell’Aquilone”. Testimonial della XIV edizione dell’artista Alex Caminiti, per L’Aquilone, mentre nella prima edizione di “Swim for Parkinson della Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus e l’Accademia Limpe – Dismov”.  l’Associazione L’Aquilone”  e stata Cecilia Ferrari, assieme al campione olimpionico Massimiliano Rosolino. L’arrivo sulla spiaggia della Lega è stato salutato da un lungo applauso, Domenico Interdonato presentatore dell’evento ha chiamato tutti gli atleti sul palco per la consegna della medaglia, l’ attestato e maglietta. La consegna delle due opere alla famiglia Roy e al Presidente della LIMPE prof. Pietro Cortelli, è avvenuta in una pausa della consegna. Premiati per primi gli atleti parkinsoniani Maria Sivo, Anna Laura Maurin, Emanuela Oliveri, Marina Agrillo, Stefano Ghidotti e Cecilia Ferrari. Sul palco dei giardini a mare della Lega anche il Presidente dott. Luigi Albanese, che ha dato il benvenuto ai team provenienti da tutta l’Italia e si è detto commosso nel vedere lo sforzo fisico, dei nuotatori che nuotavano contro la malattia. Il primo pomeriggio è stato apprezzato dalla presenza dei tre “Ambasciatori del Gusto” messinesi: Lillo Freni della rinomata pasticceria Freni, Pasquale Caliri del Ristorante “Marina del Nettuno”  e Francesco Arena del panificio Masino Arena e con il concorso dell’azienda Arrigo Vini – Cantine Alagna di Marsala, presentata da Lorenzo Arrigo. Molto gradita la focaccia, i tortini di riso, la cassata e i dolci innaffiati da eccellente marsala, insieme sono riusciti a fare un gioco di squadra e a trovare il gradimento di tutti.

01 TRAVERSATA

I partecipanti

DA SIN. FRENI, CALIRI E ARENA

DA SIN. FRENI, CALIRI E ARENA

La traversata

La traversata

L'aquilone

L’aquilone

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