Giovanni II di Portogallo

Cataldo Parisio, meglio conosciuto come Cataldo Siculo Parisio, è stato un umanista vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Chiamato alla corte di Lisbona intorno al 1485, come precettore di Giorgio, figlio illegittimo, ma dilettissimo, del re Giovanni II, a cui il nostro filosofo doveva “commentare l’Etica di Aristotele”, e dei figli dell’alta nobiltà lusitana, non più rientrato in Sicilia nonostante gli inviti di Bessarione Malvezzi e di Lucio Marineo, è stato ben presto dimenticato in patria. Si hanno sue prime notizie in Italia nel XVIII secolo nella Bibliotheca Sicula di Antonino Mongitore dove, a causa di un errore di lettura del titolo di una sua opera, viene chiamato: Cataldo Aquila Parisio. L’errore di questo doppio cognome si è protratto a lungo, dando adito da noi a fantasiose ricostruzioni di possibili ascendenze nobiliari. Lo stesso dicasi per un suo presunto nome, Giovanni, che in alcune citazioni portoghesi si trova tuttora di cui né gli ultimi studiosi portoghesi fanno alcun cenno né vi è traccia negli incunaboli consultati.
Premesso questo, tenendo conto degli studi più recenti di Francesco Tocco, pare che Cataldo Parisio sia nato a Sciacca intorno al 1455. Dopo essere stato allievo di Costantino Làscaris si è trasferito al Nord per completare i suoi studi. Lo troviamo a Padova, dove ha insegnato retorica; a Bologna, dove discepolo del Filelfo, pronunciò un’orazione in lode della città e a Ferrara dove il 21 febbraio 1484 ottenne il titolo di dottore in utroque jure. La fortuna non gli è stata favorevole, come si evince dalle sue epistole, nel trovare protezione presso un mecenate italiano, e così è ritornato a Sciacca, dove ebbe l’incarico di magistratus della città. Di questo periodo e con questa funzione, intorno al 1484 e il 1485, è la lettera inviata al viceré di Sicilia per chiedere aiuto contro la pirateria saracena che saccheggiava la città e i suoi dintorni. Le opere dei pirati vengono descritte con particolari raccapriccianti. Urgeva pertanto l’aiuto del viceré, Lupo de Urreia, perché i cittadini da soli non potevano far fronte alle continue scorrerie dei berberi. Si trova ancora un’orazione ai iudices in magna regia curia di Palermo per chiedere giustizia di “un’orrenda uccisione” di un cittadino saccense mentre attraversava un fiume tra Sciacca e Caltabellotta, ad opera di manigoldi. Non mancano lettere a parenti ed amici siciliani, tra cui ad Andrea Barbazza, Lucio Marineo, ad un tale Antonio di Militello, a Marco di Enna, in cui il nostro umanista discetta di grammatica, ad un tale Pegaso Taurominitano, con cui parla di problemi economici, ed una lunga lettera ad un tale Prospero, rabbino di Trapani, già trasferitosi in Portogallo a causa delle persecuzioni, per invitarlo alla conversione alla fede cristiana. Questo scritto è illuminante sull’atroce persecuzione degli Ebrei, alla fine del Quattrocento, nelle Penisola Iberica e nei territori da questa dipendenti. Numerose sono ancora le epistole a personalità portoghesi e italiane.
Nelle funzioni di segretario del re Giovanni II e di Emanuele I dopo, pronunciò varie orazioni e scrisse lettere diplomatiche ai vari regnanti dei paesi europei, ai papi Innocenzo VIII, ad Alessandro VI, a suo figlio, il cardinale di Valenza, Cesare Borgia, e a molte personalità civili ed ecclesiastiche. Non mancano pure lettere ai discepoli ed amici piene di premure, ma anche cariche di astio verso gli avversari. Vivendo in Portogallo nel periodo delle grandi navigazioni, scoperte di nuove terre e conseguenti conquiste, Cataldo aveva sperato vanamente, dopo il fallito tentativo di Angelo Poliziano, di scrivere un’epopea sulle gesta degli eroi lusitani. Per questo motivo si era rivolto a più riprese al re Emanuele, sollecitandolo di affidare l’incarico per immortalare le gesta dei portoghesi, facendo capire indirettamente che lui, Cataldo, era l’unico all’altezza di tale compito. A tale scopo ha lasciato varie lettere indirizzate ai condottieri e ai navigatori chiedendo notizie delle loro imprese.
Pare che sia morto povero dopo il 1516. Della penuria dei suoi mezzi di sussistenza si ha notizia dalle diverse lettere, nelle quali si lamenta di coloro che lo avevano dimenticato, o che, perlomeno, non gli prestavano la dovuta attenzione. Infatti doveva sollecitare il pagamento della pensione regia e/o delle lezioni, scrivendo: “non vivo di aria e di vento, come le api, ma mangio e bevo come gli altri uomini…”. E continua il nostro filosofo con amara ironia: “Oh cosa degna di lode eterna! Cataldo, che per tanti anni ha servito i re del Portogallo non in cose piccole e mediocri, ma in grandi ed ardue, (adesso) mendica il pane”. E consapevole di questa strana fortuna dei poeti, aveva scritto in un proverbio: “Misera è la condizione dei poeti: essi celebrano gli elogi degli altri, ma deplorano la loro miseria”; vergando infine il proprio epitaffio amaramente scrisse: “Qui giace Cataldo oratore, vate giureconsulto, / con lui morta giace Calliope. / Mentre celebrava re, cavalieri, regni e trionfi, / moriva di tristezza, di freddo, di febbre e di fame!”. Per quanto riguarda invece la data della sua scomparsa, in un volume edito nel 1516 veniva ricordato come il più grande latinista vivente in Portogallo. Nel paese di adozione, periodicamente sono state pubblicate le sue opere, in latino evidentemente, quale oggetto di studio; e addirittura nel 1988 per commemorare il quinto centenario dell’introduzione della stampa in Portogallo, in copia fac-simile è stato pubblicato il suo epistolario, contenente il primo volume edito 21 febbraio 1500 (data che ritorna due volte, anche se a distanza di anni, nella biografia del nostro umanista), e ricordato come il primo testo di argomento profano pubblicato in Portogallo!, e il secondo volume di un decennio dopo.
La questione più importante, per cui gli viene prestata tanta attenzione, è perché egli è riconosciuto come colui che ha introdotto le dottrine umanistiche in Portogallo grazie al suo insegnamento e alle opere da lui lasciate: epistole, poemetti vari, epigrammi, epitalami ed altro. Infatti, gli studiosi portoghesi datano l’inizio dell‘Umanesimo nel loro paese nel 1485, ipotetico anno dell’arrivo di Cataldo Parisio in terra lusitana. Ed una lunga lettera indirizzata al marchese Fernado Meneses, padre del discepolo Pietro, che gli ha sponsorizzato la pubblicazione del primo volume delle epistole, è considerata il manifesto dell’Umanesimo in Portogallo per la difesa degli antichi autori del latino classico contro quello medioevale difeso dagli ecclesiastici, definiti “theologiculi”.
Concludo con quanto ha scritto Américo da Costa Ramalho, il più grande studioso del Parisio, da poco scomparso, nell’introduzione all’edizione dell’epistolario del 1988: «In Portogallo, il suo contributo all’introduzione dell’Umanesimo e alla crescita del nostro Paese (il Portogallo) adeguata a livello della cultura letteraria dell’Europa più progredita, a partire dall’Italia, il suo ruolo nella europeizzazione culturale dei Portoghesi è stato di grande significato»!
E in Sicilia? Nemo propheta in patria!

                                             Salvatore Statello

Cataldo Parisio secondo paulo barbosa
Cataldo Parisio secondo paulo barbosa

Di Dott. Rosario Messina

Email: direttore@siciliafelix.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *