Tanti i legami tra la Sicilia e l’Ungheria.
La sposa di Re Matthias Corvinus (1443 – 1490), fu Beatrice d’Aragona, figlia del Re delle due Sicilie. Tramite Beatrice, Re Matthias divenne grande ammiratore della cultura italiana e mecenate delle arti. Vari umanisti italiani soggiornarono a Buda e in altri palazzi reali. Si pensi che anche Leonardo fu sotto il loro patrocinio. La coppia reale rese famosa Buda dal 1458 al 1485, tanto che umanisti italiani ebbero a dire: “Firenze è la più bella città in pianura, Venezia sul mare, ma Buda è la più bella sulle colline”.
A Visegrad, mentre ci si riposa tra le acque sulfuree nelle Terme dell’omonimo Hotel, si possono contemplare anche riquadri dei mosaici che hanno resa famosa la Villa del Casale di Piazza Armerina. Alcune scene di caccia, riprodotte sulle pareti che circondano le varie piscine e jacuzzi, e i due leoni del Palazzo dei Normanni di Palermo, accompagnano i massaggi che le acque sulferee, provenienti da 1.100 metri di profondita’, operano sul corpo e sullo spirito.
Visegrad, 50 km da Budapest, e’ una storica e antica cittadina ungherese. Ancorano vi si possono ammirare i ruderi del Palazzo di Re Matthias sulle sponde del Danubio, che proprio in quel punto forma una doppia curva, oggi patrimonio dell’UNESCO, un vecchio Castello reale e un panorama mozzafiato.
Ma e’ Budapest la grande attrazione dell’Ungheria.
Solcata dal Danubio, sulle cui acque si specchiano il Parlamento, il Palazzo Reale e tanti altri edifici storici, Budapest è una città quanto mai affascinante. Occupata durante la storia da tartari, turchi, da Sacro Romano Impero e più tardi da austriaci, tedeschi e russi, semidistrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, bersagliata dai cannoni russi nel 1956, esercita sempre un suo fascino intimo che ammalia il visitatore.
Conta due milioni di abitanti, divisi tra Buda e Pest, unite dai tanti ponti di un Danubio le cui acque scorrono tranquille, attraversando non solo la città ma gran parte dell’Europa centrale. Buda, con il suo castello è adagiata sulle colline, mentre Pest si estende sulla pianura sottostante. Abitare a Buda è un prestigio che non si puo’ quantificare in termini economici. Oltre al castello-Palazzo Reale, sede della Galleria Nazionale e del Museo storico, quì si erge l’imponente e meravigliosa Chiesa neo-gotica di Matthias, dedicata a Nostra Signora, nota come la Chiesa dell’Incoronazione – Francesco Giuseppe vi venne incoronato con la Sacra Corona d’Ungheria -. Accanto c’è il Bastione dei Pescatori, con una splendida veduta su tutta Budapest. Cinque strade, che si snodano nel distretto del Castello e una volta popolate da tedeschi, ungheresi, italiani, ebrei e, più tardi, turchi, formano la Buda medioevale, meta preferita dei turisti. Questo distretto e la vallata del Danubio fanno parte del Patrimonio Culturale Mondiale delle Nazioni Unite.
Mentre si discute in questa citta’ di importanti problemi europei dall’epocale ondata immigratoria, come e’ accaduto recentemente al Convegno dei Giornalisti Europei, il visitatore o il giornalista può dare sfogo anche ai propri occhi: sognare, seguendo le onde calme del Danubio, meglio se su uno dei tanti bateau-mouches che lo solcano in ogni direzione, ammirare i suoi innumerevoli ponti illuminati nella notte, mentre si gode di un banchetto genuino al lume di candela, gustare il gulyas o semplicemente una palancsinta o un langos, prendere un caffè o una bibita al centro o in periferia, soffermarsi nei negozi eleganti in Vaci Utca, divertirsi nei vari night-clubs che popolano le strade storiche e, soprattutto, incontrare persone cordiali e affettuose. Fuori in provincia, in città come Pecs, Szombathely – Sabaria per i romani, il luogo dove è nato S. Martino -, o in piccoli paesi, quali Sarvar, Buk, anch’essi famosi per i loro bagni termali, o Kòszeg quasi al confine con l’Austria, o intorno al grande Lago Balaton, si trova sempre un’umanità calda e una terra simile alla nostra, anche se il territorio, per gran parte una vasta pianura, ha sue caratteristiche tipiche.
Budapest, dalle ampie strade e piazze, punteggiate di verde, collegata da una fitta rete di tram, autobus e metro, è famosa anche per le sue acque termali, che formano i bagni di Tabàn e Vìzivàros o quelli aristocratici dell’hotel Gellért, che glorificano il veneziano Gerardus, divenuto il precettore del Principe Imre, figlio di Re Stefano, agli inizi del secondo millennio. Una visita al bagno turco del Pascià di Budapest – aperto per uomini dal mercoledì al lunedì e per le donne, il martedì, mentre dalle 22.00 alle 04.00 è accessibile a tutti gli adulti -, all’estremità del Ponte Elisabetta, è un’esperienza da non perdere.
Ovunque in Ungheria si trova sempre un’umanità calda e una terra simile alla nostra, anche se il territorio, per gran parte una vasta pianura, ha sue caratteristiche tipiche. L’umanità comunque dei “magiari”, dal secolo VIII A.D., quando si sono insediati qui, ad oggi, testimonia un’aristocratica personalità, che pur avendo sofferto tanto attraverso la storia, non ha mai perduto la sua dignità essenziale che nobilita questa popolazione, ben diversa, per lingua e costumi, dalle altre del centro Europa.
Enzo.farinella@gmail.com
Ungheria: una nazione affacsinante dal triste passato
Mentre giornalisti europei discutono a Budapest problemi dell’Unione, visioni della storia di questa nazione si avvicendano alle onde del suo Danubio.
L’Ungheria, l’ex Provincia Romana della Pannonia – superficie: kmq 93.093 e popolazione: 11 milioni -, oggi di nuovo una Repubblica parlamentare, uscì sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale. Il Trattato di pace di Versailles del 1920 la privò di circa due terzi del territorio, prima più grande dell’Italia, lasciandola economicamente stremata e in balia della nascente Germania nazista e dell’Unione Sovietica. Nel nuovo ordine deciso dalle due dittature totalitarie non ci fu posto per un’Ungheria indipendente.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’Ungheria libera e con un proprio Parlamento, fece sforzi enormi per non cadere nell grinfie di Hitler. Ma il 18 marzo 1944, questi invitò il Premier ungherese Miklos Horthy in Germania e, profittando della sua assenza, il giorno dopo ne ordinò la premeditata occupazione. Per cinque mesi gli ungheresi furono sotto il Terzo Reich, durante il quale ben 437,402 ebrei ungheresi, vennero inoltrati verso i campi di sterminio di Auschwitz e la maggior parte non fece mai ritorno.
Nel frattempo, il 27 agosto 1944, le truppe sovietiche attraversavano il confine e la nazione intera divenne teatro di guerra e poi preda dell’occupazione sovietica. Le due superpotenze si batterono con ferocia e Budapest fu il baluardo da difendere e conquistare. L’assedio russo a questa città durò dal Natale 1944 al 13 febbraio 1945. Tutti i suoi ponti vennero fatti saltare dai nazisti, gli edifici pubblici dannegiati, 30.000 case distrutte e la città divenne inabitabile.
Iniziava così la dominazione sovietica con il placet della Commissione di Controllo degli Alleati. Due formazioni politiche sorsero allora in Ungheria: la prima voleva una nazione indipendente e democratica; l’altra, guidata dal Partito Comunista Ungherese, prediligeva il tipico sistema sovietico. Nelle elezioni parlamentari del 1945, 57% votò a favore della prima, mentre i Comunisti ottennero solo il 17% dei voti. Ma, nonostante tale successo elettorale inequivocabile, la Commissione di Controllo degli Alleati non permise la formazione di un governo senza la partecipazione dei comunisti, anzi pretese che il Ministero degli Interni e, quindi, la polizia politica, andasse a loro. Con il braccio forte della polizia politica, il Blocco di Sinistra usò tutti i mezzi possibili, dagli assassini politici alle intimidazioni e alle torture, per impadronirsi del potere. Quando, nel 1947, la situazione politica internazionale si calmò, il Partito Comunista consolidò la dittatura totale in Ungheria. Essi rapirono in pieno giorno il Segretario generale del Partito dei Piccoli Possidenti, Bela Kovacs, e subito dopo organizzarono un colpo di stato contro il Premier Ferenc Nagy, forzandolo a dimettersi e sciogliendo il Parlamento. Nelle elezioni che seguirono in quello stesso anno, nonostante indimidazioni e frodi di ogni genere usate dai comunisti, solo il 22% della popolazione votò per loro. I sovietici comunque avevano decretato già la fine della democrazia ungherese, rimasta sospesa per oltre 40 anni, a favore della dittatura totalitaria, con tutte le conseguenze del caso, quale abolizione della proprietà privata, nazionalizzazione delle industrie, della pubblica istruzione, della cultura, delle finanze e dei servizi sociali. Essi realizzarono questa ambizione eliminando la “reazione clericale”. La Chiesa aveva allora una grande influenza in tutta l’Ungheria. Secondo il censimento del 1949, 70% della popolazione, cioè ben sei milioni e mezzo, era cattolica. Il loro leader, il Card. Mindszenti, fu imprigionato prima dai nazisti e poi, dopo il 1948, dai comunisti. All’inizio del 1948 le oltre 6.500 scuole cattoliche – 5.000 di queste, scuole elementari, – sono state nazionalizzate. Il 26 dicembre dello stesso anno il Cardinale Jozsef Mindszenti, Primate della Chiesa cattolica e Arcivescovo di Esztergom, venne arrestato e condannato, come “reazionario”. La cella in cui è stato detenuto per anni, la si può oggi visitare in una delle strade principali di Budapest, la famigerata Via Andrassy, nel cui n. 60 la polizia politica sfogava le sue ire con ogni tipo di tortura. Con il Pastore anche molti fedeli vennero imprigionati. Nel tentativo di evitare il peggio l’episcopato ungherese fu costretto nel 1950 ad accettare un “concordato” in cui riconosceva il sistema politico vigente e il governo della Repubblica Popolare Ungherese. Nel 1951 fu introdotto il Bureau della “Chiesa Statale” con “preti-pacifisti”, ligi alla politica dello Stato comunista, rappresentati nel Fronte Patriottico Popolare e nel Parlamento.
L’internamento di cittadini, sospettati di non condividere le idee del governo, costituisce una delle pagine più nere di questa dominazione rossa. Tra il 1945 e 1948 oltre 40.000 persone sono state internate in Ungheria nei campi di Recsk, Kistarcsa, Tiszalok e Kazincbarcika con migliaia di prigionieri condannati ai lavori forzati, soprattutto nelle miniere di carbone e ferro. Varie dozzine di campi minori funzionavano nelle provincie, mentre altri campi chiusi nella parte orientale della nazione, hanno “ospitato”, a partire dal 1948, intere famiglie.
Il trattamento di simili persone, ammucchiate in sotterranei o in catapecchie senza servizi igienici o altre elementari facilità, sorvegliati da uomini armati della polizia politica, uno davanti ogni cella, soprattutto nella famigerata Via Andrassy di Budapest, comprendeva: interrogazioni notturne, privazione di sonno e spesso anche di cibo e acqua, torture fisiche e psicologiche, faccia e naso contro il muro, braccia stese orizzontalmente a volte fino a 10 o 12 ore, percorse con mazze ecc. Niente cambi di biancheria o bagni o tovaglie, sapone, carta igienica, dentifricio… Le abluzioni giornaliere non potevano superare i 30 secondi. Nella cella una lampada, posizionata all’altezza degli occhi, brillava notte e giorno. Le celle di punizione erano peggiori con spazi di cm. 50×60 ed alte 180cm.
Un’altra pagina nera della dominazione comunista venne scritta nel 1956. Il 23 ottobre, gli studenti manifestavano a Budapest e in altre città a favore di quanto stava succedendo nella vicina Polonia. Ben presto il malessere sociale degli ungheresi venne diretto contro il regime totalitario comunista. Quando la polizia politica aprì il fuoco letale su dimostranti inermi a Debrecen e al Centro televisivo di Budapest, quella che fino allora era solo una protesta, divenne una vera rivoluzione, che chiedeva un’Ungheria indipendente, libera e democratica. Il 28 ottobre, la leadership politico-militare sovietica dovette capitolare. La rivoluzione nominò un suo Primo Ministro nella persona di Imre Nagy, che subito dichiarò il cessate il fuoco e, il giorno seguente, le truppe sovietiche cominciarono a ritirarsi dalla capitale ungherese. La famigerata polizia politica venne abolita e libere elezioni indette. Ma il 30 ottobre l’Unione Sovietica annunziò che intendeva cambiare la sua relazione con le “fraterne nazioni socialiste” e 24 ore dopo ordinò alle sue truppe di debellare la lotta per l’indipendenza ungherese, mandando rinforzi.
Il Governo ungherese allora si ritirò dal Patto di Varsavia, proclamò la neutralità dell’Ungheria e chiese l’assistenza dell’ONU. Ma l’aggressione sovietica continuò. Il 4 novembre i carriarmati sovietici sottomisero brutalmente i rivoluzionari. Mosca nominò allora un governo-fantoccio nel nome del Partito Rivoluzionario dei Lavoratrori e dei Contadini, guidato da Janos Kadar, che mise in atto ogni possibile mezzo dittatoriale e terrorista per chi protestava contro l’occupazione militare sovietica.
Così, 15 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Ungheria venne profanata e Budapest ridotta in macerie. Ventimila furono i feriti ed oltre 2.500 persone perirono, di cui 2.000 solo nella capitale; 200.000 circa hanno dovuto abbandonare la patria; in 15.000 sono stati arrestati; 5.000, tra cui 860 ragazzi e ragazze, deportati dalla KGB nell’URSS, come prigionieri di guerra; 229 sono stati giustiziati. Nel 1961 Kadar decise l’internamento di oltre 10.000 persone che non offrivano molte garanzie in caso d’emergenza. Questa misura è rimasta in vigore fino alla cadutra del comunismo, avvenuta nel 1990. Nel 1958, il Primo Ministro Imre Nagy e tre altri esponenti della Rivoluzione sono stati condannati a morte e giustiziati. Secondo documenti ungheresi e sovietici, i soldati e i civili deportati in circa 1.000 Gulag sovietici dall’attuale Ungheria sarebbero stati 700 mila, di cui 300.000 sarebbero periti di fame e freddo o per la brutalità delle guardie, le esecuzioni sancite dalle autorità russe con processi-farsa, le condizioni inumane con 10-12 ore di lavoro forzato al giorno, in zone lontane dal campo fino a 12 km da percorrere a piedi.
Il Card. Mindszenti è stato liberato dalla rivoluzione del 1956. Quando le truppe sovietiche hanno riconquistato Budapest con i loro carri armati, il Cardinale si rifugió nell’Ambasciata americana di piazza Szabadsag, dove rimase confinato per 15 anni, finchè emigrò nel 1971. Morto quattro anni dopo, le sue ceneri furono riportate in patria nel 1991 e custodite nella Basilica di Esztergom. La sua causa di beatificazione è in corso.
Oggi la lezione del 1956 rimane viva: In quell’ottobre il popolo ungherese provò a se stesso e al mondo intero che non si può essere sottomessi per sempre; ci si deve ribellare anche contro poteri ritenuti invincibili quando l’oppressione e il terrore diventano talmente opprimenti da minare l’identità di una nazione e la sua stessa esistenza. Con il loro coraggio e sacrificio, i combattenti per la libertà ungherese hanno inflitto una ferita mortale al grande impero sovietico. Solo nel 1990, gli ungheresi tornarono a votare in libere elezioni per eleggere democraticamente il loro Parlamento. La visita di Papa Giovanni Paolo II in Ungheria nel 1991 ha simboleggiato la fine di 40 anni di persecuzione religiosa.
Di tutto questo rimane una vaga memoria nell’Ungheria di oggi, soprattutto tra i giovani. Il Governo socialista impopolare di Gyurcsany è passato all’economista Gordon Bajnai, tra accuse di curruzione atavica. Oggi Victor Orban, Primo Ministro ungherese, guida la sua compagine democratica all’interno dell’Unione Europea di cui fa parte dal 2004. Da nazione soggetta a dominazione straniera fino al 1990, l’Ungheria dal 1 Gennaio 2011, ha guidato con orgoglio la compagine europea degl allora 27 Stati-membro. Il baratro economico in cui naviga questa nazione è ancora grave. L’Ungheria, libera e indipendente, è però una realtà indiscussa.
Enzo.farinella@gmail.com