Intervista a cura di Mimma Cucinotta e Rosa Maria Lucifora*
Nato a Santa Teresa Riva, dottore in “Lettere e Filosofia”, sacerdote salesiano dal 1968, don Paolo Cicala ha fatto della scuola e dei giovani il fulcro della sua lunga attività pastorale, insegnando, animando, dirigendo e presiedendo i più importanti Istituti Salesiani di Sicilia – il San Luigi a Messina, il San Francesco di Sales a Catania, il Ranchibile a Palermo. È stato inoltre Direttore della Congregazione dei Salesiani, al cui servizio svolge a tutt’oggi delicati compiti di formazione e coordinamento: è tra l’altro delegato ispettoriale di Sicilia per le Scuole Salesiane e Presidente delle Scuole Cattoliche. Sacerdote sapiente, ‘padre’ severo per giovani e meno giovani, si relaziona al prossimo con uno stile di viva cordialità ispiratogli da una rara sensibilità umana.
Conoscendone la devozione appassionata a Maria, Madre di Dio e Madre Nostra, abbiamo voluto intervistarlo sulla questione delle apparizioni della SS. Vergine a Medjugorje: la più delicata in effetti, tra quelle suscitate dalle Mariofanie nei secoli, se non altro perché ancora controversa e non apertamente riconosciuta dalla Chiesa.
Intervistare Don Paolo Cicala ci è parso particolarmente opportuno sia per la fermezza dottrinale del Padre, sia perché da poco si è concluso il XXXIV Festival della Gioventù.
Don Paolo da sempre guida i suoi fedeli, giovani e meno giovani, nel pellegrinaggio presso quel Santuario, e da sempre con commossa dedizione vi assiste le anime.
Sulle controversie che hanno segnato la storia di Medjugorje non ci soffermeremo, se non per rilevare che, come spesso accade, la chiusura e dunque l’ostacolo al riconoscimento di autenticità dalle alte gerarchie ecclesiastiche è stata accesa e tenuta viva dai Vescovi locali.
Un meccanismo perverso – se possiamo dirlo – ben noto a chi – come le intervistatrici – abbia a mente – per esempio – i pregiudizi della Santa Sede in periodi in cui i Pontefici erano male informati da Vescovi locali e visitatori autorevoli, ma maldisposti.
Dopo anni travagliati, confortati dal sostegno di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI dopo, e inaspriti dall’iniziale diffidenza di Papa Francesco, l’orizzonte è sereno: nel 2020, appena nominato Vescovo di Mostar, Mons. Petar Palic interverrà al Festival dei Giovani. Tutto è cambiato, anche agli occhi di Sua Santità che, nel frattempo, ha proceduto a informarsi con mezzi propri – come si suol dire, ed ha iniziato a inviare segnali positivi sin dal 2017. Pur non rimuovendo tutti i ‘paletti’, ha gradualmente aperto fino al riconoscimento dell’autenticità di alcune delle apparizioni e favorito la devozione a quello che oggi è, a tutti gli effetti, Santuario Mariano.
A beneficio del lettore inquieto di fronte a tutto questo, rileviamo che non altro sostanzialmente è l’avvio di altri luoghi santi della Cristianità divenuti tali ai piedi di Maria: nessuno ignora le tribolazioni di Santa Bernardette, mistica di Lourdes, o dei Tre Pastorelli di Fatima e quelle di Lucia l’unica ‘costretta’ a reggere il testimone nel percorso di una vita longeva e difficile.
Ci pare il caso di premettere all’intervista stessa alcune brevi riflessioni, che hanno ispirato le nostre domande. Inizieremo ricordando come in molti scritti e omelie Papa Benedetto XVI contribuisse alla lucida sintesi della Mariologia del Concilio Vaticano II; ci ha colpito in particolare un libro famoso – Gesù di Nazareth – che ha affascinato credenti e non: un’attenzione particolare vi viene prestata al silenzio di Maria. Un paradosso farvi appello – si potrebbe pensare – da parte di chi vuole invece riflettere sui messaggi. Così è bene chiarire cosa sia questo silenzio nella lucida prospettiva di un teologo d’eccezione, quale Joseph Ratzinger che, nel senso di ascolto, di meditazione sulle ‘richieste’ del Signore: a partire da Lc. 2,19, Maria si fa paradigma di obbedienza sì assoluta, ma anche avveduta e consapevole, realizzata non senza ‘intelligenza’.
Tale silenzio – Papa Francesco lo ha sottolineato in innumerevoli occasioni del suo Angelus – è fede ed è preghiera, e caratterizza la figura della SS. Vergine da quando esprime all’Arcangelo Gabriele il “Fiat Voluntas Dei” (Lc. 1,43), alla dolorosa veglia ai piedi della Croce, al Cenacolo, dove riceve lo Spirito Santo insieme con gli Apostoli.
– E Maria è anche al centro del mistero pasquale, giacché la Resurrezione conferma la natura divina di Gesù, mentre compie la pienezza della rivelazione per i discepoli che, riconosciuto lui, hanno conosciuto Dio (Gv. 14,20; 20,28).
Fin dai primi secoli e per sempre, è questo che spinge la comunità cristiana a interrogarsi sul ruolo di Maria, sulla posizione che si è guadagnata nella Chiesa celeste con quel primo assenso al concepimento verginale ed all’abbandono fiducioso in Dio. Fiducioso, ma non passivo, come mostra sin da Cana, con quel “vi dirà cosa fare”: un modello di discepolato ora ritirato e orante, ora immerso nel beneficare. Lei, la Madre di Dio – Theotokos, la piena di Grazia, è anche la piena di grazie, colei che, secondo una tradizione popolare non accolta nel Nuovo Testamento, ma molto antica (almeno del II s.) ha meritato la Dormizione, ossia l’Assunzione: ed è interessante ricordare che lo straordinario epilogo di una vita straordinaria è un transito ai Cieli, ossia una Pasqua, la cui devozione riunisce molti Anglicani a Cattolici e Ortodossi.
– Santa ‘ecumenica’, dunque, che in piena continuità tra le Scritture è additata (sovente in modo ingenuo) quale inesauribile mediatrice di miracoli ed autrice di apparizioni. Ora, se è vero che giustamente le gerarchie ecclesiastiche si atteggiano a cautela di fronte a narrazioni del passato e del presente, quali autentiche e verificate, quali forse credibili, quali assolutamente ‘mitologiche’, è anche vero che occorre lasciarsi guidare dal principio che il dono prezioso di Maria alla Chiesa non si intende senza seguire – ed è ancora Papa Ratzinger ad affermarlo in più occasioni e senza esitazione – il filo che lega le Scritture e la teologia ad una tradizione ‘popolare’ che, passando di madre in figlia, di padre in figlio, tiene saldi i legami tra Oriente e Occidente cristiani. Essa le apre nei secoli spazi ampi di venerazione e affetto, la sente vicina ai tribolati, ai bisognosi, ai ‘piccoli’, presenza costante ed attenta alla ‘salute’.
– Con errore degno di indulgenza, la persona semplice dimentica spesso che Maria intercede presso Cristo, e che è lui, non lei stessa, a guarire, liberare, alleviare gli affanni, consolare, sottrarre ai pericoli; ma è proprio Maria ad ammonire, a rettificare, sollecita com’è della salvezza dell’anima: ha senso perciò dire che tra i tanti, troppi, ‘messaggi’ a lei attribuiti nelle innumerevoli apparizioni – a Medjugorje, o altrove – possono essere autentici soltanto quelli basati sulla fedeltà alla Parola, alla conversione del cuore, al servizio ai fratelli, alla preghiera. Di altro Maria non parla né vorrebbe parlare: stare ai suoi piedi non mira certamente a ottenerne ‘segni’ tangibili, ma ad impetrarne di intangibili, ricevuti nella silenziosa meditazione che “spalanca le porte” dell’anima allo Spirito Santo.
D.Memori dell’approccio ‘pratico’ all’attività pastorale, che tanto vicino lo ha reso ai giovani, chiediamo anzi tutto a Don Paolo un pensiero per i giovani…
– R. Per educarli veramente, per tenerli fedeli a Cristo negli anni a venire, bisogna adeguarsi ai tempi, in effetti. E per farlo basta farsi guidare da un principio, semplice e sublime, di Don Bosco: non è sufficiente amare i giovani, occorre che si accorgano di essere amati. E ciò si realizza condividendo quelli che sono i loro interessi e aiutarli ad interpretarli secondo i valori del cristianesimo. Questa la ‘piattaforma’ per interagire con i giovani, amore e condivisione, fermezza e intelligenza.
Desideriamo ascoltare il suo parere sul tema delicato dell’autenticità delle apparizioni mariane a Medjugorje, sulla quale a distanza di quasi 50 anni la Chiesa non si è ancora pronunciata ufficialmente. La nostra ‘curiosità’ nei suoi confronti nasce dal fatto che da molti e molti anni lei si reca al Festival dei Giovani – anzi, adesso è appena tornato – e sceglie quei luoghi per le sue meditazioni spirituali, spesso in periodo pasquale. Ma perché a Medjugorje e perché proprio in quel periodo?
– R. Più che di ritiro parlerei di pellegrinaggio. Il modello è antico, con esempi notissimi in quelli di Sant’Jago de Compostela e soprattutto in Terra Santa. Già il Cristianesimo più antico ha sperimentato questa realtà. Non c’è in gioco solo lo spostamento fisico, non è – certo – privo di importanza fare quei 10, 20, 100 o 200 Km. Ma se del tempo dello spostamento fisico si approfitta per la meditazione, ecco che quello ‘spostamento’ diventa anche spirituale, permette di accostarsi al Santo. Perché in quei luoghi, poi? È semplicissimo, perché da quasi 50 anni Maria vi appare, ogni giorno. Sono persuaso che ciò avvenga perché l’uomo ha smarrito il senso stesso dell’essere a questo mondo, e la Madonna vuol ricordarglielo, richiamandolo alle cose fondamentali. In sé, il pellegrinaggio ha questo scopo fondamentale; quanto alla scelta del tempo, scaturisce dalle caratteristiche peculiari di questo periodo dell’anno liturgico: Pasqua celebra la passione, morte e resurrezione del Signore, e il culmine dell’esperienza per il pellegrino è nel Sacramento della Riconciliazione, che rinnova in ogni persona questa parabola. Qui è la totalità dei sacramenti, la preparazione alla Pasqua del Signore, ed all’anima di ogni persona. Così, occorre riflettere che la Madonna non pone se stessa al centro della sua apparizione, né a Medjugorje, né a Fatima o a Lourdes o altrove. Maria come madre è unicamente e profondamente relazionata al Figlio, e così il Figlio che si è fatto Uomo ha un legame indissolubile con la madre che lo ha generato come tale. In questo Medjugorje non è dunque diversa da altri Santuari mariani: il suo è specificamente un input alla riconciliazione, alla conversione interiore. La simpatia per il luogo, o l’empatia con chi vi si reca, sono marginali di fronte alla necessità dei ‘conti’ con la propria coscienza.
In definitiva, lei ci sta dicendo che la Madonna chiama, qui come altrove alla Confessione e alla Penitenza. Sembrano cose un poco ‘fuori moda’
– R. In realtà, tirar fuori la parte meno bella di sé non è facile, e infatti nessuno lo fa se la spinta gli viene dall’esterno; invece, se essa nasce dall’interno, se risponde a una ‘chiamata’, è tutto molto diverso. Questo succede a molti – non a tutti – che si mettono in via per il pellegrinaggio, in qualche modo più o meno aperto, più o meno mediato, essi avvertono nell’intimo un ‘campanello’. Perché poi la mediazione venga spesso da Maria non è difficile da spiegare: Ella svolge per noi una funzione paragonabile, per metafora, a quella di un segnale stradale, indica la direzione verso Gesù. Il suo messaggio ripete quello di Cana: la richiesta a Gesù, “non hanno più vino”, ossia, non più “gioia di vivere”; e il comando ai servi: “fate quello che vi dirà”. Un messaggio cui segue, notoriamente, l’inizio della vita pubblica di Gesù, ma che da subito mostra come i Suoi miracoli possano essere ottenuti per mezzo di Maria. A Lui Ella affida gli uomini, ed a Lui esorta gli uomini ad affidarsi.
Ebbene ancor oggi a chi va in pellegrinaggio a Fatima, Lourdes, o appunto a Medjugorje, la Madonna dice “fate quello che vi dirà”. Con questo messaggio, Ella è presente in mezzo a noi sebbene non la si scorga. – e qui un’altra metafora: la Madonna noi possiamo sentirla, come in un appartamento nel quale una sottile parete o un drappo dividono gli ambienti. Non vediamo un’altra persona, ma ne udiamo i passi.
Don Paolo a questo punto sente di evocare un altro paragone.
L’immagine affettuosa della sua mamma impegnata nelle faccende domestiche quotidiane: i piccoli rumori, caratteristici di queste incombenze erano per lui di conforto, e completa il paragone: allo stesso modo noi udiamo i passi della Madonna, ne percepiamo la presenza, se il nostro cuore è in ascolto.
In Siciliano abbiamo una bella espressione, che abbiamo sentito tutti dai nostri genitori: «Ascuta figghiu, ascuta». Così nella Bibbia: shema Israel! Ascolta Israele: una raccomandazione che torna 365 volte, e non a caso. Una volta al giorno per tutto l’anno. Noi abbiamo perso la capacità di ascoltare Dio: siamo figli della nostra era tecnologica. L’uomo crede di aver raggiunto il massimo della potenza, ha sostituito se stesso a Dio; ha la fiduciosa convinzione di potersi mettere al centro dell’Universo, grazie alle straordinarie frontiere della sua tecnologia. E la Madonna richiama questo fatto fondamentale.
A questo punto, prima di passare ad altra domanda (un poco ‘impertinente’) osserviamo che anche i sacerdoti, magari avveduti e dotti, ma indispettiti dalla ingenuità della devozione popolare per Maria trascurano un passaggio invece ben sottolineato da Don Paolo, certamente avveduto e dotto, ma non indifferente alla bellezza salvifica del sentire popolare. La Santa Vergine non ci chiama per sé, non si manifesta per sé, ma per Gesù, per raccomandare che la fedeltà al Vangelo sia piena e costante, per ognuno secondo le proprie possibilità. Ciò sfugge a quanti – e sono i più – vivono la fede con una certa superficialità, e del resto ne vengono distratti dalla rilevanza mediatica della Mariofania, e di questa in particolare, generatasi nell’era della multiforme e multi-pervasiva comunicazione die social e delle emittenti televisive. Una condizione che ha assai spesso indotto a confondere i fatti essenziali con il contorno, i commenti fatui e non, e distolto l’attenzione dal senso del messaggio, talvolta fino al ridicolo. E citiamo qui un certo ‘giornalista’ che con un malinteso zelo si è reso facile bersaglio agli strali degli scettici, ha recato molto più danno che beneficio alla santa immagine di Maria “piena di grazia” e mediatrice di grazie.
– R. Si ha l’impressione che certe volte la religione e certe manifestazioni vengano incluse nelle categorie dello spettacolo: fa audience, e attira l’interesse e le critiche su chi ne parla ad ogni costo e in modo superficiale. Io – per fare un esempio – ho avuto a che dire con questo tristemente noto ‘giornalista’ che si pone su questa linea. Racconto il fatto: mi trovavo a Medjugorje proprio in periodo pasquale; in un angolo un sacerdote impartiva benedizioni ai fedeli, e si ebbe un caso di riposo dello spirito. Si definisce così un momento di allentamento della tensione interiore, quasi mistico, che a volte si verifica in chi ha vissuto proficuamente l’esperienza della Riconciliazione e la somatizza con qualche attimo di rilassamento del corpo. Il cameramen del suddetto accorse a filmare la persona che, appunto, era in questa condizione estremamente privata, e che, quindi, non desiderava essere ripreso dalle telecamere, facendone segno invano. Io – per usare un’espressione ‘fiorentina’ – me lo sono impaiato, vale a dire l’ho redarguito fermamente per questa intrusione nello spazio intimo di una persona.
– Ridiamo tutti di questa espressione gergale siciliana, osservando che in fin dei conti l’Italiano letterario inizia ufficialmente il suo percorso storico con la Scuola Poetica Siciliana.
Ma quello obietta: “noi non lo pubblichiamo”; e io di rimando: perché lo filma, allora? Insomma siamo alla religione come spettacolo – non che io voglia giudicare – sono convinto però che questa tendenza sia nociva non solo alla privacy, ma in definitiva anche alla distinzione tra quello che conta e quello che non conta. Colgo l’occasione della sua domanda per osservare che proprio a causa di tale spettacolarizzazione molti sono scettici nei confronti di Medjugorje, e mi riferisco in modo particolare a sacerdoti: anche io, la prima volta che mi ci sono recato, nutrivo una punta – e più – di scetticismo; nutrivo dentro di me dubbi. Ma ci sono andato: desideravo sapere, desideravo capire. La risposta che ho ricevuto non è stata di ordine materiale, ma di ordine esperienziale, di ‘grazia’ oso dire: il mio atteggiamento interlocutorio mi suggeriva di non visitare la zona montana, meta prediletta per le riflessioni dei pellegrini. Temevo per la mia salute insidiata – lo avevo da poco appreso – da una brutta malattia. Durante la notte ho avvertito dentro di me un cambiamento profondo: mi sentivo nello stato d’animo di chi attende la venuta di una persona amica; mi sembrava risuonasse nella mia mente uno dei più frequenti messaggi della Madonna a Medjugorje. “Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia”. E avvertivo quel messaggio rivolto a me, quasi come a destinatario ‘unico’, e ne ebbi il dono delle lacrime. Gioia e pace sono il dono per chi va a Medjugorje con aspettativa di esperienza spirituale e non di fenomeni. La visita turistica, la curiosità, non portano a nulla. L’effetto è quello – lo ripete spesso la veggente Vicka – di pace interiore, preghiera, confessione che conduce alla ‘conversione’. Queste le pietre miliari del cammino, che può essere aiutato con lo strumento del digiuno. La confessione da noi è un Sacramento in disuso, sia perché i sacerdoti sono pochi e hanno poco tempo, e purtroppo sovente frettolosi nell’assolvimento del loro ministero. D’altra parte, è per questo che i fedeli non hanno fiducia che sia davvero necessaria, o persino che sia un Sacramento autentico. Spesso si insinua anche in quelli meglio intenzionati la serpeggiante ‘apostasia’ dell’Europa Occidentale, che pure è stata ‘culla’ del Cristianesimo. Eppure, chi giunga lì, è colpito dalle interminabili code di gente che vuole confessarsi: è improbabile che ciò sia frutto di condizionamenti esterni – parroci, guide spirituali, amici, etc. – perché chi si confessa si mette in gioco, è spinto – come già dicevamo – a rivelare la parte più segreta e meno onorevole di sé. È – ritengo – l’atmosfera di spiritualità a favorire un moto spontaneo della coscienza. Durante un ritiro pasquale – una decina di anni fa – mi unii al gruppo dei sacerdoti che amministravano il Sacramento della Confessione; ad ogni pellegrino chiedevo la ragione della venuta e, nella maggior parte dei casi, la risposta era proprio il desiderio di aprire il cuore e di predisporsi alla Riconciliazione. La frequenza di questa risposta a tutta prima mi sorprese, perché mi sarei aspettato che la ragione prima fosse la Madonna: ma Lei – compresi pian piano – si limitava – se così posso dire – a indicare la via per Cristo. Ci si sente chiamati da Maria, ma chiamati a Cristo non a Maria. È questa una realtà che nessuno, se non il sacerdote attento all’ascolto, può cogliere.
Molti, soprattutto gli anziani, toccati nel cuore confessano peccati remoti nel tempo, che non hanno mai osato scoprire prima, sperimentando la profonda emozione che un pentimento lungamente meditato e un perdono lungamente sperato comportano. Una ‘conversione’ insomma. Mi è rimasto vividamente impresso il caso di una signora ultra-ottantenne che finalmente ebbe il coraggio di confessare gli aborti giovanili, dopo aver vissuto una lunga vita tormentata dal dramma interiore – perché non ci sono dubbi che, per una donna, l’aborto sia tale.
In un’altra e più recente occasione, legata al mio cinquantesimo anniversario di Sacerdozio, pregai il Signore di concedere una ‘pioggia’ di benedizioni a quanti del mio ministero abbiano beneficiato e beneficino in qualsiasi modo: quasi in risposta alla mia richiesta, quel pomeriggio diversi penitenti iniziarono la loro Confessione ammettendo di non praticarla di 50 anni, o addirittura di essere rimasti lontani dalla Chiesa per 50 anni. Alla fine, la ricorsività di quella cifra mi colpì: avevo chiesto al Signore benedizioni per il mio cinquantesimo anniversario di Consacrazione … E ne beneficiavano persone mai conosciute prima, alle quali non avevo potuto portare aiuto durante la separazione, ma che adesso potevo assistere nel ritorno in seno alla comunità cristiana. Davvero siamo umili strumenti della volontà del Signore!
Dunque, l’ascolto, la docilità al volere del Signore, la conversione, sono il ‘cuore’ di Medjugorje come di ogni altro santuario mariano: pace e gioia ne sono i doni, ma nulla è senza preghiera. Noi abbiamo dimenticato la preghiera, ma essa è il ‘respiro dell’anima’. Preghiera – si capisce – non basata sulle formule, ma sul rapporto diretto, immediato, con Dio: non è preghiera la recita di litanie, o di rosari, se non c’è cuore. Ed è perciò che la Madonna insiste in tutti i suoi messaggi sul punto che occorre pregare con il cuore, non importa con quali parole.
Vengo a un altro punto, che potrebbe sembrare marginale, e lo è se valutato con la semplice ragione, non però se lo si guarda da una prospettiva di preghiera interiore: a Medjugorje Maria raccomanda spesso il digiuno due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì, secondo una pratica caduta in disuso per noi Cattolici, che a stento digiuniamo il venerdì, ma non per molti Ortodossi, che la seguono ancora: non è un digiuno assoluto, ma una dieta essenziale, di pane e acqua, con astensione da tutti gli altri cibi, per due volte la settimana, da vivere con senso di sacrificio in ‘riparazione’ – come si diceva una volta – ossia ad ammenda delle proprie mancanze, o anche di quelle altrui. Una forma di preghiera insomma, ma gradita al Signore se animata da fede, speranza e soprattutto carità
– Don Paolo torna sulla Confessione:
– Persone che hanno perso la fede e l’hanno poi recuperata, o si sono convertite per un ‘trauma’ di qualche sorta, sentono di non aver compiuto con pienezza il passo prima di una Confessione profonda, che conduce appunto alla Riconciliazione con Dio. Non si tratta di “dire al prete i fatti propri” – come il luogo comune recita – ma di accostarsi a un Sacramento.
Temo che la responsabilità della sottovalutazione sia anche di chi amministra questo Sacramento e non lo presenta bene o non lo amministra come si deve. Bisogna capire e far capire che la penitenza è in effetti il clou. Ma sembra che nessuno voglia farla, forse perché per lo più è formale, mentre sarebbe importante fosse frutto di una presa di coscienza e fosse coerente con le ‘disfunzioni’ interiori alle quali si deve porre rimedio.
– Mi piace sottolineare che un aspetto basilare di tutte le apparizioni mariane – e qui ricorre al paradigma di Fatima, molto simile a quello di Medjugorje – Maria si rivolge con insistenza e preoccupazione agli uomini, e non li chiama “peccatori”, ma “figli”. Talora li definisce “i miei figli che non conoscono l’amore di Dio”. Intende quasi scusarli di un comportamento del quale non sono consapevoli.
E Don Paolo poi ritorna su “se sapeste quanto vi amo piangereste di gioia”, osservando: il Cristianesimo è religione della gioia: il Vangelo Giovanni in quello che è definito il discorso sacerdotale o anche il discorso dell’addio (capp. XIII-XVII) mette in evidenza questo aspetto profondamente umano di Gesù: Egli sente il bisogno di comunicare con i suoi Apostoli, di provare gioia con loro, e di trasmetterla loro, perché possano trasmetterla a loro volta. “Vi ho detto queste cose affinché la vostra gioia sia piena” (Gv. XV 11).
A tal proposito, mi sento di raccomandare a tutti una miglior conoscenza della Parola, che certo – si può intendere appieno solo sotto una guida competente, ma anche la lettura personale imprime un segno positivo, se la si pratica con attenzione. Ricordo che essa è indicata a Medjugorje come uno, anzi come il primo, dei cosiddetti 5 sassi di Davide, ossia; il santo rosario, che avvicina al cuore di Maria, certo, ma non è una preghiera mariana, è piuttosto una preghiera cristologica. Ben lo intende chi rifletta come i misteri siano i misteri della Vita di Gesù e come Maria vi abbia parte, ma non ne sia protagonista assoluta; l’Eucaristia in condizioni spirituali ideali, preparate dall’adorazione – ecco il terzo sasso – nel silenzio perfetto del cuore; il digiuno e la penitenza e – quinto sasso – la Confessione. Questi i 5 capisaldi della spiritualità di Me. Trovo emozionante vedere ogni anno al festival migliaia di giovani venuti da ogni parte del mondo, pur sapendo che il raduno comporta questo ‘protocollo’ che essi sono prontissimi a seguire. Guardarli pregare e digiunare, adorare in silenzio, ascoltare la Parola con devozione, confessarsi e alla fine comunicarsi, è come assistere ad una rinnovata Pentecoste, ed è sempre per me un’emozione e un’occasione di grande speranza.
– D. Quindi, c’è un filo che lega tutte le apparizioni mariane – Fatima, Lourdes, Guadalupe – ed è la fedeltà alla Parola di Cristo. Ciò in effetti spiega perché un Pontefice santo, tanto devoto a Maria, abbia voluto aggiungere quelli della Luce, ai Misteri che già si meditavano. E non credo sia un caso che questa esortazione a meditare sulla diffusione della Buona Novella, sulla gioia pura che essa suscita nel cuore anche di chi è più disperato, sia venuta dal Pontefice che più è stato caro ai giovani e che, a nostro avviso, più e meglio li ha compresi. Di qui forse dovremmo partire per realizzare l’ecumenismo che, allo stesso tempo, è il più difficile, specie oggi, per le tensioni politiche; e più facile invece per la comunanza perfetta di un patrimonio di fede che si basa sui Sacramenti, sul Nuovo Testamento e sulla devozione ai Santi, e su quella a Maria, Madre di Dio e Madre Nostra, soprattutto. Ci riferiamo naturalmente agli Ortodossi, pensando che a valorizzare ciò che ci unisce dovrebbe spingere non il mero zelo religioso, ma anche la necessità di una pace giusta fra Ucraina e Russia.
– R. In realtà la posizione geografica di Medjugorje è strategica, e sin dall’inizio delle apparizioni Maria ha invocato la pace da quella collina, volendo annunciare e deprecare quella guerra fratricida che si preparava, e forse altre, che sono seguite. Maria del resto potrebbe aiutare anche al dialogo con i Musulmani, che riconoscendo Gesù come Profeta, riconoscono l’importanza di sua Madre e guardano a Fatima, essi pure, come a luogo santo.
– D. Da messinesi, abbiamo una domanda ‘curiosa’ sulla Madonna della Lettera, patrona della città e protagonista di una bellissima leggenda.
Madonna della Lettera a Messina
La Santa Vergine, onorata da una schiera di cittadini convertiti al Cristo dalla predicazione di San Paolo (intorno al 62 d. C.) avrebbe inviato una lettera di maternità spirituale e benedizione, conclusa dalla celebre formula: Vos et ipsam civitatem benedicimus!
– R. Ecco, è una Madre che scrive ai figli, non importa affrontare la questione della storicità, ma il senso mariologico. Ieri Maria ‘scriveva’, oggi diffonde la sua voce sui social ed ogni ‘messaggio’ si apre con Draga diezo, Cari figli. E si conclude con: Grazie per aver ascoltato. Il bisogno di relazionarsi con i figli è una costante dell’amore di Maria per l’umanità. Accogliamo dunque con fede e gratitudine quella benedizione antichissima, benché, forse, non proprio così antica come vorrebbero i più ingenui.
A proposito dei messaggi della Madonna – incalza Mimma Cucinotta – leggevo la posizione polemica di Papa Francesco – soprattutto sui messaggi, non tanto sulle apparizioni in sé. Più volte, ai giornalisti, il Papa ha rivolto l’avvertimento che Maria non è una postina. Benché in verità si riferisse non solo a Medjugorje, ma anche a Fatima, o altrove. Don Cicala, lei ci faceva notare la responsabilità dei sacerdoti, ma potremmo dire più in generale dei religiosi: molti, indubbiamente con buone intenzioni, enfatizzano il monito “non avrete altri segni”, allo scopo di evitare il proliferare di miracolismi. Però, nei secoli altri segni ce ne sono stati per mezzo di grandi Santi, e soprattutto per mezzo di Maria, che non appare solo nei Santuari ufficialmente riconosciuti, ma può apparire anche nelle borgate, nelle casupole, e parlare e lacrimare. Non sempre è vero, ma a volte è vero.
R. Il Papa vuole sottolineare probabilmente non la necessità di distanziarsi dal clima di fede che si crea a Medjugorje o l’autenticità delle apparizioni, ma piuttosto mettere in guardia dagli eccessi e dai fuorviamenti della comunicazione mediatica. E del resto, nel tempo la posizione del Pontefice, inizialmente ostile, si è modificata grazie – lo accennavamo anche nelle nostre riflessioni – a mediatori più attendibili.
Medjugorje Pasqua 2023 D. Cicala
Ed è giusto ricordare che il merito, per l’inizio di questo percorso di chiarificazione, va alla fondatrice di Nuovi Orizzonti), Chiara Mirante. Ma – direi – che il merito maggiore va ai suoi immediati precessori, Papa Ratzinger, profondamente mariano nella sua teologia, e San Giovanni Paolo II, costantemente affidato a Maria, madre dell’umanità di Cristo: proprio lui ha definito Medjugorje “il più grande confessionale del mondo”, rimpiangendo di non poter essere lì a confessare. Perché questo rammarico, che è poi un incoraggiamento ai sacerdoti perché lo facciano senza risparmiarsi, a Medjugorje e nelle loro sedi, credo di averlo spiegato prima. Ma saperne di più è possibile per chi cerchi, anche in rete, il pensiero di quel Santo Pontefice che si votò a Maria in quel suo Totus Tuus.
E concludo, cari figli, con la benedizione di Gesù e Maria.