Salvatore Taglioni è stato un danseur di fama internazionale, nato a Palermo nel 1789, da genitori ballerini: Carlo e Maria Petracchi. La famiglia, di origine piemontese, si spostava secondo i contratti di lavoro. Il loro figlio maggiore, Filippo, infatti, era nato due anni prima a Milano. Salvatore presto è stato avviato alla danza alla scuola di Napoli e poi a Parigi, dove si è perfezionato alla scuola di Jean-François Coulon, debuttando all’Opéra, nel 1806, insieme alla sorella Luisa.
Dopo le nozze, con la danseuse Adélaïde Perrault, ritornò in Italia dove ebbe prestigiosi incarichi, un po’ in tutta la penisola, ma soprattutto al S. Carlo di Napoli, dove fu nominato maestro di perfezionamento delle Scuole di Ballo, annesse ai Reali Teatri.
Come si ricorda dalla Storia, questi sono anni turbolenti per tutta la Penisola italiana, e Taglioni, formatosi nella Parigi napoleonica, aveva respirato la nuova aria di libertà, presente anche nella Napoli di Gioacchino Murat. Quindi era molto sensibile alle nuove problematiche storico-politiche, che si riflettono nelle sue opere, le quali rientrano a pieno titolo nella letteratura patriottica. Anche col ritorno dei Borbone, continuò a mantenere il suo incarico al Teatro S. Carlo. Dopo i tumulti del 1848, fu condannato alla fucilazione, ma fu ferito gravemente e salvato. Riabilitato, riprese il suo ruolo di ballerino e di maestro. Durante la sua carriera si cimentò anche come coreografo, avendo debuttato in questo settore in occasione de La Fille Mal Gardée, 1814. Molte sue opere s’ispirano ad argomenti storici e/o opere letterarie: Furio Camillo, Romanow, Alcibiade, Bianca di Messina, L’ira di Achille, Marco Visconti, Ettore Fieramosca, I Promessi Sposi, Faust, Il Ritorno di Ulisse, ecc.
Di esse, quella che vorrei portare all’attenzione, è il balletto Ines de Castro del 1831. Ma già nell’aprile del 1827, per il Teatro Alla Scala di Milano, con le scenografie di Alessandro Sanquirico e la musica di Placido Mandanici (un altro siciliano nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1799), Taglioni aveva messo in scena il balletto: Pietro di Portogallo, ballo storico in cinque atti. Taglioni e Mandanici ebbero una buona collaborazione sino a quando quest’ultimo si trasferì a Milano nel 1834, pur continuando ad avere rapporti di lavoro col teatro partenopeo. Già nel 1820, sempre a Napoli, Taglioni si era interessato alla storia portoghese con l’opera: I Portoghesi nelle Indie, ossia la conquista di Malacca. Ma a Milano, il suo Pietro di Portogallo fu stroncato, forse da voci malevoli, nonostante gli interpreti di primo piano. Di ciò ci resta un lungo articolo a firma di Gaetano Barbieri e di Giulio Ferrero, riportato nel volume Teatri, Arti e Lettere, del 1827. Ma la stessa opera, col titolo cambiato, Ines de Castro, nome della protagonista, rappresentata al S. Carlo di Napoli nel 1831, interpretata da Teresa Héberlé, ebbe invece uno strepitoso successo, tanto che il giovane sovrano, Ferdinando II, conferì a Taglioni il titolo di “coreografo a vita”. Il soggetto degli infelici amori di Ines e di Pietro di Portogallo, oltre che nell’arte di Tersicore, aveva conquistato il pubblico italiano nelle sue varie espressioni artistiche. La storia di questi sfortunati amanti, che ho avuto già occasione di presentare anche su queste pagine, era già nota e in quel momento Ines era il prototipo dell’eroina romantica lacerata tra la ragion di Stato, l’amore per il principe e per i suoi figli. Dunque, argomento altamente politico, come si è rivelato anche in altri autori che hanno scritto su questo soggetto sino all’Unità d’Italia.
Sulla famiglia Taglioni c’è da dire che è stata una grande famiglia di artisti, non solo nella danza, ma anche nella musica e nel canto. Infatti dei due figli di Salvatore, Luisa ha seguito le orme del padre, mentre il figlio Ferdinando è stato un buon musicista e ci ha lasciato un Corso di Estetica Musicale (1873). Mentre, il fratello Filippo è considerato l’iniziatore del balletto romantico, in occasione della rappresentazione della Sylphide, 1832 a Napoli, la cui interprete era la propria figlia Maria, una delle più grandi, o forse la più grande, ballerina dell’Ottocento.
Salvatore Statello