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Eros e sensualità nella poesia di Thammatibes

Il poeta Thammatibes era un principe thailandese, vittima di una tragica storia d’amore, vissuto nel XVIII secolo, tra il 1715  e il 1755[i], ed è stato un innovatore nelle varie arti, soprattutto nella poesia. Per suo volere si è avuto il tempio Wat Phra Sri Sanpet, che era anche il tempio della casa reale di Ayutthaya, antica capitale del Siam. Per questo suo amore per l’arte, il bello e le innovazioni, a parere di Montri Umavijani, si può considerare un principe del Rinascimento siamese. Era anche un soldato che partecipava alla vita militare, dunque anche alla guerra, insieme a suo padre, re Boromakot. Durante una lotta di successione, avendo sconfitto e ucciso l’avversario, il re prese prigioniere la moglie e le figlie del nemico. Una di esse, Sangwal, era già stata promessa in sposa a Thammatibes, però, fatta prigioniera, Boromakot ne fece una delle sue concubine. A questo punto, Thammatibes e Samgwl furono separati per vent’anni. Ma il principe, grande amatore, non si rassegnò all’onta del padre che gli aveva preso la donna già promessa ed amata. Pare che i due giovani continuassero ad amarsi reciprocamente, comunicando con scambi epistolari, ed avendo incontri furtivi. Durante questo periodo, il nostro principe-poeta scrisse le più belle poesie d’amore, e proprio queste lo hanno tradito, nonostante il linguaggio metaforico e la sua bellezza. L’amore dei due fu svelato proprio dalla poesia e tra intrighi di palazzo. Gli amanti furono accusati di adulterio e condannati a morte per flagellazione. Si suppone che ai loro corpi siano stati negati i riti religiosi, anche se le loro ceneri sono state conservate, in due chedi o stupa[ii], l’uno accanto all’altro, presso il tempio Wat Chai Wattanaram, anche questo legato alla famiglia reale.

Nella poesia del Principe Thammatibes, la lingua thai si è sviluppata al massimo della sua pienezza. Nessun altro poeta thai ha scritto più come lui. La sua poesia evoca la grandezza del regno di Ayutthaya. Sotto molti aspetti, essa si può considerare il canto del cigno del regno»[iii], poiché alcuni anni il Siam fu invaso dai Birmani ed Ayutthaya fu distrutta.

Senza inoltrarci nell’ampia produzione poetica di Thammatibes, si prendono in considerazione solo i canti[iv], che ci sono pervenuti nella traduzione in inglese da parte di Montri Umavijani, col titolo Royal Barge Songs,  che si sarebbero dovuti tradurre, come dice Alessandro Bausani[v], Canzoni  di Battellieri. Ma in omaggio a Giacomo Leopardi, nell’edizione curata da chi scrive, sono stati titolati soltanto Canti. Queste poesie composte sul ritmo delle melodie dei vogatori, potrebbero sembrare opere popolari, che venivano cantate, al ritmo del rullio dei remi, in occasione del viaggio-pellegrinaggio che la corte reale, in battello, compiva da Ayutthaya al santuario di Saraburi, lungo il fiume Pa Saak, per rendere omaggio alla reliquia di Buddha: l’impronta lasciata dal suo piede. Ma il poeta, essendo persona molto colta, ha creato una poesia alta, confermata anche dal Bausani[vi]. Secondo lo schema della tradizione siamese, ogni canto è introdotto da una quartina detta kloang, che sintetizza il tema sviluppato nelle quartine successive dette garp.

I Canti sono dodici, ed ognuno di essi scandisce le ore del giorno durante il tragitto di andata e ritorno, e in essi sono declinate anche le varie emozioni suscitate nell’animo del poeta da quanto egli osserva durante la navigazione.

La mattina presto venivano intonati i canti dei battelli reali, mentre la processione si apprestava a lasciare la capitale. Verso mezzogiorno si sentivano lungo il fiume il canto dei pesci. Poi nel pomeriggio, quelli dei fiori quando i battelli cominciavano a scivolare lungo il fiume, costeggiato da ricche e verdi foreste. Infine, la sera, al tramonto del sole quando il paesaggio diventava montuoso e pittoresco, i vogatori intonavano il canto degli uccelli. “Seduto sul suo trono brunito”, il Principe godeva dei suoi canti che descrivevano sia il mondo esteriore sia quello interiore, i suoi sentimenti»[vii]. E proprio in questi “sentimenti” vi è la rievocazione della donna amata, con pensieri carichi di sensualità e di eros.

Le immagini viste venivano trasfigurate dal poeta, in modo che, metaforicamente, gli ricordassero la sua donna. Quella donna assente, come nelle opere di altri grandi poeti (Beatrice, Laura, Silvia), ma che anche qui è presente più che mai, ispiratrice della poesia, in questo caso nelle più intime pieghe delle manifestazioni erotiche e sensuali.

Il Canto dei Battelli, ad apertura, fa da proemio agli altri, dove si canta che «Il Principe Reale viaggia sull’acqua / sul battello chiamato Re Kaew, / insieme alla scorta e al corteo». Tutti i battelli, ondeggianti sul fiume, hanno un nome, e nelle quartine successive vengono descritti nelle loro caratteristiche.

Dopo l’euforia della partenza e l’ammirazione del corteo, subentra nel principe la nostalgia per la donna assente.

Ed ecco che i pesci, ogni singola specie, ricordano all’amante uno dei momenti trascorsi accanto all’amata. «Vedendo vari pesci che nuotano, / l’uno accanto all’altro», il poeta soffre perché la sua donna non è con lui. Se i pesci «Golden Pian sono bellezze dorate», la donna col suo scialle dorato è più graziosa degli animali natanti. Ma egli osserva che «I Pesci Keepaway fuggono dagli uomini», e ciò con dispiacere gli ricorda; «come la mia amata fugge da me».

Ben presto ai pesci, quasi antropologicamente, vengono attribuiti altri sentimenti umani. «Perché i Bruised Cheek sembrano tristi?», si chiede il poeta. E cosa può rievocare questa silenziosa tristezza se non quei momenti particolarmente felici, proprio quelli quando «le tue guance sono doloranti di baci»: quei baci scambiati con tanto ardore, da provocare dolore. Mentre «I Pesci Suffer sembrano sempre afflitti / come quando sono lontano da te». I pesci continuano ad evocare momenti d’intensa sensualità, e il canto si chiude con un senso di mestizia e di desiderio frustrato.

Ripartendo, nel pomeriggio, dal santuario, si vedono «molti alberi in fiore / che emanano un dolce profumo…». Ed ecco che l’odore di questi fiori risveglia le sensazioni olfattive e rievoca il «profumo simile» a quello della sua donna. Anche in questo canto non mancano ricordi di momenti trascorsi insieme: così come «quando sorridevi / con la seducente bocca semichiusa». O i gialli petali della magnolia, riportano alla memoria la contemplazione della «bella signora / più dorata d’una Magnolia». Mentre i grappoli e le ghirlande floreali rievocano le lanterne preparate per lui o appese al suo capezzale. Però, anche questa fragranza non rasserena l’animo del poeta: «penso a quei fiori secchi / e mi sento triste». Se i fiori ormai andati simboleggiano la fine e lasciano tristezza, non manca tuttavia il profumato ricordo di qualche momento che prelude all’eros: «Delicato mi arriva il profumo dei Rampoey, / penso al tuo viso dal dolce aroma, / quando seduto cingevo la tua esile vita; / non mi stancavo allora l’intero giorno. / […] Lentamente e silenziosamente, / il sole tramonta: / il crepuscolo cede il posto alla notte; / continuo a pensare al tuo viso».

Ormai il pellegrinaggio sta per concludersi e il giorno volge alla fine: è sera. E la sera rievoca ricordi e desideri, talvolta, inconfessabili. E Thammatibes dedica la sua riflessione poetica al Canto degli uccelli. Egli si identifica con un uccello solitario, lontano dallo stormo. «Un uccello è solo, / come me…». A questo punto, il ricordo di Giacomo Leopardi è d’obbligo, anche se i due poeti sono distanti nel tempo e nello spazio. I Salika sono felici in compagnia, «invece, io sono tanto disperato / perché non posso vederti». Ed ancora la grazia di altri volatili gli ricorda quella della sua amata, mentre nell’osservare la danza dei pavoni, gli «sembra di vederla ballare». Altri uccelli rievocano momenti più intimi: «I Pappagalli cantano dolcemente con voce melodiosa, / stando sempre in coppia sopra un ramo, / come quando anche noi stiamo insieme / e ti stringo a me, come sempre».

Chiaramente presente è l’eros, anche se ancora velato dal detto e dal non detto: nel Canto d’amore, tratto da Kaki e il Garuda: «Stupito dal tuo agile corpo, / accarezzavo il tuo collo e il tuo mento. / Scivolavano i tuoi vestiti, / mentre accarezzavo i tuoi seni seducenti». Ma anche qui, alla fine, la donna viene idealizzata e purificata dagli elementi erotici, ormai bellezza metafisica, è «Come fiore di paradiso, / […] bella nel corpo e nell’anima…».

A chiusura di questo discorso ci viene incontro il Bausani, che, nell’opera citata, ci propone un passo possibilmente tratto dal canto in lode dell’amplesso sessuale, talmente l’eros ormai è senza veli: «Nel nido d’amore, nel palazzo dorato / sono felice, bella Kaki, allacciato a te nell’amore / e con forza, o eccitatrice di voglie, sempre di nuovo / penetro in te estasiato. / Pieno di voluttà e di passione ti accarezzo le guance / tasto la forma dei seni tuoi simili a fiori / t’abbraccio, prendo il tuo corpo, o bellissima / e giaccio d’un tratto su di te, in gioia di carne. / O Kaki, tenerissima e snella! / Umile mi saluti levando le mani / e chini il capo e mi adori, / […] Un uccello giubila di voluttà, / è felice, felice, felice! / Concordi si allacciano ancora / scambiando lieti giochi d’amore. / Due esseri sono felici nell’avida unione dei corpi / nella suprema voluttà dell’abbraccio si gettano l’uno sull’altro, / poi riposano uniti, abbracciati /due sono uno. / […] Un drago marino, estasiato e fuor di sé dall’amore / nuota eccitato nelle onde, / due esseri si avvincono assieme: / possa la nostra gioia durare in eterno[viii].

Da questi versi emerge la potenza erotica di cui è ricca la poesia di Thammatibes, che dimostra ancora una volta come sentimenti e passioni umane siano universali e uguali in ogni tempo e sotto ogni latitudine.

                         Salvatore  Statello

[i] il 28 agosto 2005, si è svolta la commemorazione della sua scomparsa. A questa cerimonia si riferiscono le foto qui pubblicate.

[ii] I chedi o stupa sono delle piccole strutture, rispetto alla pagoda principale, a forma piramidali o coniche, che fanno parte di un tempio e che, generalmente, custodiscono le ceneri di qualche personaggio importante.

[iii] Thammatibes, Canti, Centro Mondiale della Poesia e della Cultura ‘Giacomo Leopardi’, Recanati (MC), traduzione dall’inglese di Pinella Puglisi, saluto d’apertura di Franco Foschi, introduzione di Montri Umavijani, prefazione di Salvatore Statello, giugno 2005, p. 6.

[iv] Ibidem, p. 1.

[v] Alessandro Bausani, La Letteratura del Sud-Est Asiatico, Sansoni – Accademia, Firenze, 1970, p. 136.

[vi] Cfr. Ibidem, p. 136.

[vii] Thammatibes, op. cit., p. 5. A proposito di quest’opera, ripubblicata anche a cura del Circolo Socio-Culturale ‘Il Faro’ di Riposto-Catania, marzo 2012, e subito dopo on line sul sito della medesima Associazione. In questa occasione si vuole esprimere il rammarico, che on line si trovano molti passi riproposti su Gocce d’inchiostro, stille di Poesia, senza virgolettare le espressioni e citare le fonti. È chiaro che siamo di fronte ad un’appropriazione indebita, dunque di plagio. Poiché è stato lo scrivente a portare e curare, come detto sopra, la poesia di Thammatibes in Italia!

[viii] A. Bausani, op. cit., pp. 137-138.

Cerimonia religiosa per commemorare il Poeta

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Chedi con  le ceneri di Thammatibes

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