“Dismorfismo“ deriva dalla parola greca “dismorfia” che significa bruttezza, in particolare del volto. Il termine dismorfofobia fu coniato nel 1886 da Morselli per descrivere una sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nella norma. La gran parte dei soggetti con questo disturbo sperimenta grave disagio per la loro supposta deformità, descrivendo spesso le loro preoccupazioni come “intensamente dolorose”, “tormentose”, o “devastanti”.
I soggetti affetti da questo disagio passano molte ore al giorno a pensare al loro “difetto” e a controllarlo, al punto che tali preoccupazioni possono divenire particolarmente invasive assumendo caratteristiche ossessivo-compulsive.
Il disturbo da Dismorfismo corporeo insorge tra l’adolescenza e la prima età adulta (10-20 anni). La patologia risulta più frequente nel sesso femminile (rapporto femmine –maschi di 2:1)
La causa del disturbo in questione è considerata multifattoriale e i fattori psicosociali, evolutivi e psicologici hanno un ruolo molto importante. Anche i dati sulla famiglia possono essere utili, in quanto il disturbo può essere familiare e aver colpito
altri membri e sembra spesso assomigliare al disturbo ossessivo compulsivo. Lo studio circa gli aspetti neurobiologici del disturbo è ancora in fase di sperimentazione e allo stato attuale non è presente alcun modello neurobiologico che possa descrivere in maniera adeguata il contenuto eterogeneo dei pensieri intrusivi e dei componenti tipici nei disturbi dello spettro ossessivo compulsivo.
A causa della pervasività del disturbo esso è anche causa di suicidio. Infatti un recente studio pubblicato sul Journal Of Clinical Psychiatry (David, 2010) ha valutato 200 soggetti affetti da disturbo da dismorfismo corporeo in merito al possibile rischio di suicidio. Ben il 78% di questi ha riferito di aver pensato in passato a togliersi la vita ed il 27,5% aveva messo in atto uno o più tentativi di suicidio. Nel 70% dei casi la motivazione del tentato suicidio era proprio non riuscire a sopportare il presunto difetto corporeo.
- Ecco alcuni effetti che può causare il dismorfismo:
Depressione: in quanto il soggetto si sente depresso con marcata deflessione del tono dell’umore a causa della convinzione di essere deforme.
Fobia sociale: Un altro disturbo in comorbilità con quello da dismorfismo corporeo è quello della fobia sociale. Infatti il paziente tende ad isolarsi rispetto alla società per paura di critiche o prese in giro riguardo alla sua immaginaria o minima diversità corporea.
Disturbi dell’alimentazione: La somiglianza esistente tra il disturbo da dismorfismo corporeo e i disturbi alimentari come la bulimia e l’anoressia è evidente. Tutti quanti concentrano l’attenzione sul proprio aspetto ed è quindi possibile trovarli (non frequentemente) in comorbilità nello stesso soggetto. L’anoressia e la bulimia sono incentrate sulla questione del peso, mentre il dismorfismo si focalizza più su una singola parte del corpo.
Disturbi di personalità: ossessivo-compulsivo e paranoide in quanto i pensieri intrusivi possono peggiorare l’attenzione continua verso il corpo del paziente.
E’ interessante approfondire il concetto di anomalie dell’esperienza corporea,chiamato anche desomatizzazione. Molti pazienti, infatti, con disturbo di depersonalizzazione lamentano anomalie nel modo in cui sperimentano il proprio corpo. Per comprendere meglio le diverse sfaccettature di tali anomalie corporee potrebbe essere utile suddividerle in diversi concetti correlati:
• Sentimenti di mancanza di padronanza del proprio corpo: incapacità di sperimentare una relazione tra il proprio corpo e il sé e sperimentano parti del corpo o la sua totalità come aliene. Frasi tipiche dei pazienti possono essere: “Non sento di avere un corpo”. Alcuni pazienti, i più gravi, compiono atti di autolesionismo in quanto il dolore provocato dalle pratiche autolesive viene preferito alla terribile esperienza di estraneità corporea.
• Sentimento di “perdita della capacità agente”: i pazienti sperimentano le loro azioni come automatiche e robotiche.
• Sentimenti di disincarnazione: questo termine fa riferimento all’esperienza in cui il sé si trova al di fuori dei confini fisici del corpo. I pazienti lo descrivono in genere come la sensazione di “non essere lì”, senza nessuna chiarificazione relativa allo spazio.
• Le distorsioni somatosensoriali: questa espressione fa riferimento a vere e proprie distorsioni percettive del corpo. Infatti alcuni pazienti lamentano che alcune parti del loro corpo, soprattutto le mani, sono diventate più grandi o più piccole o che i loro corpi sembrano più leggeri (“come se camminassi su una nuvola”). Tali disturbi percettivi non sembrano accompagnati da cambiamenti corrispondenti nello schema corporeo.
• Amplificazioni dell’osservazione di sé: tale espressione fa riferimento alla sensazione di sentirsi un osservatore distaccato del proprio comportamento. I pazienti spesso la descrivono come una sorta di scissione della loro consapevolezza soggettiva in due menti: una che osserva e mentre l’altra vive l’esperienza.
Il trattamento del disturbo da dimorfismo corporeo è reso difficile dalla mancanza di una corretta coscienza di malattia da parte dei soggetti che, non riconoscendo l’origine psicologica dei loro sintomi, rifiutano di sottoporsi a trattamenti specifici.
Questo disturbo può essere trattato con farmaci psichiatrici, psicoterapia o con una combinazione delle due. La farmacoterapia consiste nell’uso di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRIs).
Per quanto riguarda la psicoterapia prenderemo in considerazione le tecniche più contemporanee che fanno riferimento alla tecnica basata sulla mindfulness e sulla terapia in psicologia emotocognitiva.
Un’ altra terapia utilizzabile è quella basata sulla mindfulness. Questo è un termine ripreso dalla lingua Pali, che significa “attenzione consapevole”; secondo Kabat-Zinn (psicoterapeuta americano forte sostenitore di tale tecnica), mindfulness è porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente ed in modo non giudicante.bat Zinn,
Applicare le tecniche di mindfulness consente di svincolare la propria mente dalle abituali fonti di stress e di sofferenza emotiva: semplicemente concentrandosi su di sé, è possibile osservare con attenzione la quantità infinita di automatismi, pensieri disfunzionali e comportamenti stagni che la nostra mente, in caso di situazioni di d isequilibrio per noi difficili da gestire, tende a metterci davanti, ogni volta allo stesso modo. La mindfulness permette alle persone di lavorare su di sé divenendo di volta in volta più consapevoli dei problemi del loro corpo o della loro mente.
Un altro trattamento è quello basato sulla psicologia emotocognitiva. Essa, il cui fondatore delle teorie è il dott. Baranello, interviene sui loop disfunzionali che sono alla base del mantenimento di un problema. Le modalità disfunzionali messe in atto dal soggetto e/o dal suo ambiente (comprese cure non efficaci) per tentare di risolvere il problema potrebbe in realtà essere patogenetiche, ovvero generare, mantenere o aggravare il disturbo. Lo psicologo lavora proprio sui processi di mantenimento della sintomatologia scardinando, in genere in tempi brevi, ciò che sostiene e potrebbe aggravare il disturbo. A differenza dei vecchi metodi psicologici di tipo analitico non c’è una focalizzazione al passato della persona né un’attenzione a cercare di comprendere pseudo cause inconsce. Tutta l’attenzione dello psicologo ad indirizzo di psicologia emotocognitiva è focalizzata sul qui-e-ora ovvero su ciò che oggi mantiene il problema e su ciò che nel futuro potrebbe aggravarlo. Sappiamo che i processi che hanno generato il problema sono reversibili e lo psicologo agisce proprio su questa possibilità di reversibilità automatica dell’organismo.
Tutto questo oggi avviene in tempi estremamente brevi, senza farmaci, e con altissime aspettative di efficacia.
Piera Di Salvo