GENNAIO - FEBBRAIO - MARZO 2024
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Taormina

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“Città delle Emozioni”: venerdì 12 giugno apre il sindaco Bianco con Franco Battiato e Carmen Consoli

CATANIA. Venerdì 12 giugno, alle 9,30, nel Salone Bellini di Palazzo degli Elefanti il convegno internazionale “Catania Città di emozioni”. Il via alla due giorni, che vedrà la nostra città al centro di un dibattito di altissimo livello per introdurre innovazioni a Catania e farne innalzare il livello di qualità della vita, sarà dato dal sindaco Enzo Bianco che parlerà sul tema “Le emozioni come risorsa per il territorio“. Seguiranno gli interventi di Franco Battiato e Carmen Consoli con le loro testimonianze su come si lavora con le Emozioni; di Calogero Firetto neo sindaco di Agrigento e di Michelangelo Giansiracusa, giovane primo cittadino di Ferla in provincia di Siracusa, che con le loro esperienze contribuiranno a ragionare sullo spazio urbano della città partendo dalle Emozioni; di Amergio Restucci, rettore dello Iuav di Venezia e di Giandomenico Amendola ordinario di Sociologia Urbana.
Nel pomeriggio i lavori proseguiranno nell’Aula Magna del Rettorato in piazza Università e saranno aperti alle 15 dal rettore Giacomo Pignataro. Seguiranno gli interventi di Dennis Frenchman docente di Pianificazione urbanistica al Mit di Cambridge nel Massachusetts (Stati Uniti), Carlo Olmo ordinario di Storia dell’Architettura al Politecnico di Torino, Cristiana Mazzoni ordinario di Progetto architettonico e urbano alla Ensas di Strasburgo, Carlo Colloca docente di Analisi sociologica all’Università di Catania. In conclusione ci sarà una testimonianza dello chef stellato Pino Cuttaia. Il convegno continuerà anche nell’intera giornata di sabato 13 giugno.

Il Convegno servirà ad individuare e mettere in atto un metodo che consenta alle emozioni prodotte dalla città di tradursi in fatti concreti che possano contribuire ad innalzare il livello di qualità della vita di ciscun catanese

Venerdì 12 giugno. Palazzo della Cultura: in mostra i “Cunti” dell’Accademia di Belle Arti

“Cunti” è il titolo della mostra degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania che sarà aperta domani, venerdì 12 giugno alle ore 18, nel Palazzo della Cultura. L’esposizione, a cura di Giovanna Lizzio, Marilisa Yolanda Spironello e Viviana Tarascio, si basa su un progetto di relazione tra luogo, memoria e immaginazione.
Gli orari di apertura sono: da lunedì a sabato dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, domenica dalle 9 alle 13. L’ingresso è libero.

Venerdi 12 giugno. Palazzo della Cultura: incontro con gli artisti di “Eterogenesi della forma

Venerdì 12 giugno alle ore 19.30, nel Palazzo della Cultura, è in programma l’Aperitivo con gli artisti di “Eterogenesi della forma. Esperienze di pittura e scultura all’inizio del XXI secolo”.

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             5 Ritratto Ines De CastroInês de Castro! “Perché parlare di Inês de Castro in un giornale on line, che già dall’intestazione, Sicilia Felix, pare interessarsi solo del proprio “particulare”? Ammesso, ma non concesso, che quest’organo d’informazione s’interessi del suo “particulare”, la storia di Inês de Castro ci riguarda. Si potrebbe dire che questa storia di eros e thanatos, oltre che a commuoverci per la sua drammaticità, rientra nella nostra specificità storica.
Infatti, tra gli antenati e parenti dei protagonisti di questa tragica storia d’amore, si trovano dei sovrani che hanno regnato sulla Sicilia, poiché Alfonso IV, re di Portogallo, era figlio di quella Elisabetta o Isabella, proclamata santa, a sua volta figlia di Pietro III d’Aragona e di Costanza II, regina di Sicilia, proprio quei sovrani che hanno regnato dopo aver cacciato gli Angioini a seguito dei Vespri Siciliani. I figli di questa coppia reale e fratelli di Isabella, regina di Portogallo, a loro volta hanno regnato sulla nostra isola: Alfonso III, Giacomo II e Federico II, alternativamente lodati e biasimati da Dante!
Successivamente, nel 1412, con l’accordo di Caspe, Eleonora, nipote di Inês, e Ferdinando I, il giusto, regnarono sull’Aragona e la Sicilia. Questi ultimi sono i genitori di Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, di cui qualsiasi commento sembra superfluo in questa occasione.
       Ma chi era questa Inês che ha acceso la fantasia d’innumerevoli scrittori, autori di teatro, musicisti, registi e artisti di qualsiasi branca? Poco si sa circa la data e il luogo della sua nascita. Il dato certo è che era figlia illegittima di Don Pedro de Castro, gran signore di Galizia. Lei appare sulla scena della Storia nel 1340 al seguito di Costanza di Castiglia, che andava in sposa a Pedro, erede del Portogallo. Ma arrivata la novella sposa, il principe resta folgorato dalla straordinaria bellezza della damigella d’onore, chiamata allora “collo di alabastro” per la sua carnagione, e “collo di airone” per le sue fattezze fisiche.
Le attenzioni del principe sono corrisposte. E ciò inquieta la corte che allontana Inês dal Portogallo.
Ma, nel 1345, Costanza muore di parto e Pedro riporta Inês in terra lusitana, vivendo definitivamente insieme a lei, lontano dalla corte. Intanto la coppia ha quattro figli e, dopo aver errato per varie città, alla fine si stabilisce a Coimbra nel palazzo reale annesso al monastero di Santa Clara.
Pare che le religiose di questo monastero si siano lamentate a causa dello scandalo, inoltre, pare sempre che i fratelli di Inês, descritti come uomini ambiziosi e senza scrupoli, avessero una forte influenza sul principe ereditario e che lo istigassero contro il re di Castiglia per conquistare il trono; infine, ma non meno importante per affari di discendenza: tutto ciò ha creato seri problemi di ordine socio-politico, oltre che morale. Pertanto alcuni ministri premevano su Alfonso IV, affinché la donna venisse eliminata.

      E, il 7 gennaio 1355, durante un’assenza del figlio, il re emette sentenza di morte contro Inês, non potendo immaginare che quella esecuzione ha stroncato una vita, ma ha fatto nascere un mito.
    Pedro, appresa la notizia dell’orribile morte della donna amata, si ribella contro il re suo padre e scatena una guerra civile nel paese, distruggendo soprattutto i possedimenti dei suoi consiglieri. Salito al trono due anni dopo, fa catturare i ministri del padre che avevano voluto la morte di Inês, fa strappare, a carne viva, il cuore, simbolo dell’amore, bruciare i loro corpi e disperdere le ceneri nel Tago. Successivamente dichiara di aver sposato Inês segretamente, per paura del padre, proclama lei regina del Portogallo e i figli infanti (cioè, aventi diritto di successione al trono). Poi fa riesumare i resti mortali, e dopo averli fatti rivestire pomposamente con abiti regali, da Coimbra, dove giacevano, li fa traslare solennemente in processione nell’abbazia di Alcobaça, la più antica e più maestosa di tutto il Portogallo, dove già giacevano alcuni membri della famiglia reale, e dove aveva fatto preparare due avelli (tra le cose più belle di tutta la scultura funeraria iberica).
Sul sarcofago destinato ad accogliere le spoglie di Inês fa porre una statua che la rappresenta giacente, mentre gli angeli la incoronano regina. Mentre nel proprio, Pedro ha fatto scolpire l’enigmatica dichiarazione d’amore: “Sino alla fine del mondo”. Fin qui la Storia!
La vera storia di Inês resta avvolta in quell’alone di mistero che circonda gli eroi e le eroine. L’unica data certa è quella della sua morte, trascritta in un libro del monastero di Santa Cruz di Coimbra, dov’è anche scritto: “decolata fuit”. Tutto il resto è mito poiché i primi storici che hanno riferito i fatti ne hanno parlato circa un secolo dopo l’accaduto, basandosi sulla tradizione orale. Inoltre, essendo cortigiani, dovevano tramandare qualcosa in modo che fosse gradito al sovrano di turno. E, in questo caso, il re non era un diretto discendente di Pedro e di Inês, ma di un altro figlio illegittimo di Pedro, nato dopo la morte di Inês. Pertanto, c’era tutto l’interesse nel delegittimare il proclamato matrimonio segreto e quell’amore “sino alla fine del mondo”, facendo passare tutto ciò per una strana bizzarria del sovrano. Oltretutto non esisteva, o non hanno fatto trovare, alcun documento pertinente a tutto ciò.
Lasciando da parte la Storia con i suoi possibili intrighi, ritorniamo alla “fabula” che vuole che i due amanti, il giorno del giudizio finale, ossia della resurrezione della carne, uscendo dalle rispettive tombe, poste attualmente nel transetto della chiesa l’una di fronte all’altra, possano subito incrociarsi con i loro sguardi e abbracciarsi definitivamente per l’eternità! È superfluo far notare che questa fantasiosa scena finale, per l’eternità “sino alla fine del mondo”, ricordi quella dantesca di Paolo e Francesca.
A partire dal Cinquecento, sotto l’influenza della cultura italiana e la conoscenza di Dante e di Petrarca, Inês esce dal suo “purgatorio”, durato oltre un secolo e mezzo, per ascendere a quel trono che è il regno immortale della poesia, e Inês, da donna intrigante, assurge a simbolo dell’amore puro, sacrificata alla Ragion di Stato. Dopo essere passata dal patibolo, ormai regina della gloria letteraria, Inês ha toccato, lungo questi cinque secoli, le migliori sensibilità ed intelligenze europee. Innumerevoli sono le opere letterarie e non che hanno narrato questa vicenda.

          Fuori dalla penisola iberica, dove ogni anno fioriscono sempre nuove opere d’arte, a partire dal Settecento con Antoine Houdar de la Motte il mito passa in Francia, e da qui si è diffuso nel resto dell’Europa. Mentre nella terra d’oltralpe si sono interessati autori del livello di Victor Hugo e Henry de Montherlant, in Italia, tra i nomi più conosciuti si ricordano Pietro Metastasio, Giovanni Greppi e Davide Bertolotti. Durante il nostro Risorgimento, Inês è assurta a simbolo di libertà contro qualsiasi ingiustizia ed oppressione, per cui altri letterati, poco noti, e musicisti hanno tratto ispirazione dalla sua tragica vicenda. Numerosi sono i balletti e oltre una decina i melodrammi italiani, quasi tutti dimenticati.
Però nel 1996, fuori della nostra penisola, al festival di Edimburgo, ha trionfato ancora una volta il melodramma: Inés de Castro di John Clifford, messo in musica da James MacMillan. Mentre al teatro lirico di Jesi, nel 1999, per ricordare il bicentenario della nascita di Giuseppe Persiani, a cura del M° Paola Ciarlantini è stata riproposta la Ines de Castro del musicista recanatese, con libretto di Salvatore Cammarano, interpretata da Maria Dragoni, opera lirica italiana tuttora reperibile in commercio.

                                  SALVATORE  STATELLO

Il sarcofago di Ines

Il sarcofago di Ines

0 Ines De Castro

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Il Museo Egizio di Torino ha rifatto il look confermandosi uno dei musei più prestigiosi al mondo, secondo solo a quello del Cairo, per importanza e numero di reperti provenienti dall’Egitto. Torino consolida così il suo primato di culla della cultura egiziana. Il Museo egizio, considerato una meraviglia mondiale, ha riaperto i battenti con un nuovo allestimento museale ricco di sorprese che proiettano il visitatore in un esperienza culturale di grande suggestione. Per realizzare gli interventi, molto di più di un semplice restyling, sono stati necessari quasi cinque anni di lavori (scanditi da una grande clessidra, alta tre metri, posizionata in Piazza San Carlo) ed un budget di 50 milioni di euro. Nel corso dei lavori, il museo è rimasto sempre aperto, nonostante ospitasse uno tra i cantieri più grandi d’Europa. Una grande sfida vinta con grande successo.
L’inaugurazione è avvenuta il primo aprile, strategicamente un mese prima dell’Expò di Milano, alla presenza del Ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini il quale ha definito il Museo “uno strepitoso successo mondiale con allestimenti moderni che interpretano magnificamente la nuova filosofia di concepire i musei i quali devono essere realizzati con ampi spazi in grado di permettere un ottima fruizione delle opere esposte dove venga valorizzata anche la parte didattica con dettagliate spiegazioni riguardanti i reperti”.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita al Museo

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita al Museo

Giovedì 15 maggio è stato un giorno speciale per il Museo Egizio. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha visitato l’Egizio esprimendo grande compiacimento per il restailing realizzato.

             

                Il nuovo percorso museale, realizzato sul progetto scientifico elaborato dal Direttore del Museo Christian Greco e da otto curatori con differenti specializzazioni, si sviluppa cronologicamente su un area, quasi raddoppiata, di 10.000 mq. e si articola in quattro piani collegati da un sistema di scale mobili che nell’idea dello scenografo Dante Ferretti dovrebbero richiamare un ideale percorso di risalita lungo il Nilo. Sono 3300 i reperti esposti che coprono un arco di tempo che va dal 4000 a.c. al 700 d.c.
Tra le molte novità vi è da segnalare un’area tematica di grande impatto, la Galleria dei Sarcofagi, che ospita al secondo piano alcuni fra i più bei sarcofagi del Terzo Periodo Intermedio e dell’epoca tarda (1100 – 600 a. C) molti dei quali restaurati presso il Centro di Restauro della Venaria Reale con il contributo de Gli Scarabei, associazione dei sostenitori del Museo Egizio. Questo allestimento si giova dei risultati raggiunti dal Vatican Coffin Project, un sofisticato protocollo di indagine applicato per la prima volta su sarcofagi dell’antico Egitto. Al progetto, coordinato dal Reparto Antichità Egizie dei Musei Vaticani, in collaborazione con il Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro dei Musei Vaticani, partecipano il Museo Egizio, il Rijksmuseum van Oudhen, il Museo del Louvre, e il Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France.
Per il pubblico che visita il museo è come vivere un viaggio nel tempo che si conclude al piano terra fra le statue monumentali, nelle sale allestite dallo scenografo Dante Ferretti, in quella che Champollion, il noto studioso decifratore dei geroglifici, definì “una meravigliosa assemblea di re e divinità”. Dante Ferretti è inoltre autore de l “Percorso Nilotico” che accompagna il pubblico nella salita, con le scale mobili, alle sale espositive dal primo al terzo piano.
I visitatori dell’Egizio possono  fruire di ricostruzioni virtuali di alcuni contesti archeologici realizzate nell’ambito della collaborazione scientifica fra Museo Egizio e Istituto IBAM del CNR. E’ possibile vivere l’esperienza della scoperta grazie a video 3D che, basandosi su preziosi documenti di scavo e fotografie d’epoca, ridanno vita alla tomba di Kha, alla tomba di Nefertari e alla cappella di Maia, tutte e tre scoperte da Ernesto Schiaparelli, tra i primi direttori di questo Museo, agli inizi del ‘900.
Ogni sala, è stata concepita per instaurare un dialogo costante con il mondo esterno, in particolare con un pubblico eterogeneo e con la comunità scientifica internazionale, ponendosi come un punto di riferimento per la ricerca. A testimoniare l’attenzione verso di loro le sei lingue, numero destinato a crescere, le videoguide e i testi di sala tradotti non solo in inglese ma anche in arabo per sottolineare lo stretto legame con la terra da cui le collezioni dell’Egizio provengono.
La collezione
Il Museo Egizio di Torino è, come quello del Cairo, dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico. Molti studiosi di fama internazionale, a partire dal decifratore dei geroglifici egizi, Jean-François Champollion, che giunse a Torino nel 1824, si dedicano da allora allo studio delle sue collezioni, confermando così quanto scrisse Champollion: «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino».
Numerose sono le collezioni che si sono sovrapposte nel tempo, alle quali si devono aggiungere i ritrovamenti effettuati a seguito degli scavi condotti in Egitto dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1900 e il 1935. In quell’epoca vigeva il criterio secondo cui i reperti archeologici erano ripartiti fra l’Egitto e le missioni archeologiche. Il criterio attuale prevede invece che i reperti rimangano all’Egitto

2 XY Sarcofagi neri
La Biblioteca
Costituita sul nucleo originario di un fondo librario formato presso il Museo a partire dal 1824, anno di nascita, la Biblioteca Museo Egizio, fortemente specializzata in testi di argomento egittologico, ha oggi pochi eguali a livello internazionale ed è divenuta nel corso del tempo un punto di riferimento per gli studiosi di tutto il mondo. Il patrimonio librario conservato e disponibile per la consultazione comprende: 7400 volumi monografici, 2100volumi di periodici, 171 opuscoli, 182 tesi di laurea, microfilm e il fondo bibliografico della Biblioteca Botti (circa 500 volumi tra monografie e periodici). La Biblioteca costituisce un supporto all’attività di ricerca scientifica del Museo Egizio ma la consultazione è aperta a tutti.
Non è previsto alcun tipo di prestito esterno dei volumi, consultabili unicamente in loco.
Fatte salve le leggi vigenti e le esigenze di conservazione, gli utenti possono, inoltre, ottenere riproduzioni dei documenti in formato sia cartaceo sia digitale, secondo tariffe stabilite. E’, infine, a disposizione del pubblico un PC da cui accedere gratuitamente al sito OEB ( Online Egyptological Bibliography).

X Sala museo_egizio

Il Restauro
Il restauro dei reperti è sponsorizzato da Gli Scarabei, Associazione dei Soci Sostenitori del Museo Egizio di Torino. In meno di tre anni di attività Gli Scarabei hanno sponsorizzato importanti interventi di restauro per un importo di 80.000 euro focalizzati in particolare sulla Tomba di Kha, uno dei capolavori del Museo Egizio, e consistenti in operazioni delicatissime come la rimozione di vecchi interventi, il consolidamento e la stabilizzazione dei tessuti e la pulizia dei reperti.
L’attività degli Scarabei si estende a numerosi altri tesori a rischio come la preziosa maschera di cui si mostrano alcuni scatti prima e dopo l’intervento di restauro.
XY STATUARIO

La Storia
Il Museo delle Antichità Egizie venne fondato nel 1824 dal re Carlo Felice con l’acquisizione di una collezione di 5628 reperti egizi riunita da Bernardino Drovetti. La sede del Museo è da allora nel palazzo che nel XVII secolo l’architetto Michelangelo Garove aveva costruito come scuola dei Gesuiti, noto come “Collegio dei Nobili”, e che nel XVIII secolo era diventato sede dell’Accademia delle Scienze. Il 6 ottobre 2004 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha conferito in uso per trent’anni i beni del Museo alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, presieduta da Evelina Christillin di cui fanno parte la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT. L’egizio di Torino è’ annoverato tra i primi 10 musei più visitati d’Italia e tra i primi 100 al mondo. Nel 2014 sono passati per le sale del palazzo di via Accademia delle scienze oltre 567mila visitatori.
Il primo oggetto giunto a Torino è la Mensa Isiaca, una tavola d’altare in stile egizittizzante, realizzata probabilmente a Roma nel I secolo d.C. per un tempio di Iside e acquistata da Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630. Nel 1724 Vittorio Amedeo II di Savoia fonda il Museo della Regia Università di Torino, presso il palazzo dell’Università in Via Po, cui dona una piccola collezione di antichità provenienti dal Piemonte. Nel 1757, Carlo Emanuele III di Savoia, per arricchire il Museo dell’Università, incarica Vitaliano Donati, professore di botanica, di compiere un viaggio in Oriente e di acquistare in Egitto oggetti antichi, mummie e manoscritti che potessero illustrare il significato della tavola stessa. Gli oggetti raccolti dal Donati, tra cui tre grandi statue, giungono a Torino nel 1759 e sono esposti nel Museo della Regia Università, dove dal 1755 è collocata anche la Mensa Isiaca.
Nel 1824 re Carlo Felice acquista una collezione di 5628 reperti egizi di Bernardino Drovetti. Questi, di origini piemontesi, aveva seguito Napoleone Bonaparte durante alcune delle sue campagne militari e per i suoi meriti l’Imperatore lo aveva nominato Console di Francia in Egitto. Drovetti, grazie alla sua amicizia con il viceré d’Egitto, Mohamed Alì, riuscì a trasportare in Europa gli oggetti raccolti. La collezione venduta dal Drovetti al sovrano Carlo Felice è costituita da 5.268 oggetti (100 statue, 170 papiri, stele, sarcofagi, mummie, bronzi, amuleti e oggetti della vita quotidiana). Giunta a Torino, è depositata presso il palazzo dell’Accademia delle Scienze (dove si trova tuttora) progettato nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini come scuola gesuita.
Mentre la Collezione Drovetti è disimballata, Champollion arriva a Torino e nell’arco di qualche mese di febbrile attività ne produce un catalogo, nonostante i disaccordi circa la conservazione dei reperti con il primo direttore, Giulio Cordero di San Quintino. Nel 1832, le collezioni raccolte presso il Museo dell’Università sono trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Alla guida del Museo si succedono Francesco Barucchi e Pier Camillo Orcurti. Dal 1871 al 1893 il direttore è Ariodante Fabretti che, coadiuvato da Francesco Rossi e Ridolfo Vittorio Lanzone, elabora il catalogo delle opere allora conservate. Nel 1894 la guida del Museo passa a Ernesto Schiaparelli che organizza scavi in numerosi siti egiziani, tra cui Eliopoli, Giza, la Valle delle Regine a Tebe, Qau el-Kebir, Asiut, Hammamija, Ermopoli, Deir el-Medina e Gebelein, dove le missioni sono proseguite dal suo successore, Giulio Farina. L’ultima acquisizione importante del Museo è il tempietto di Ellesija, donato all’Italia dalla Repubblica Araba d’Egitto nel 1970, per il significativo supporto tecnico e scientifico fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani, minacciati dalla costruzione della grande diga di Assuan.
Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 3.300 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessità conservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico (vasellame, statue frammentarie, ceste, stele, papiri) e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.

                                       ROSARIO MESSINA

 

Drovetti

Bernardino Drovetti

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Foto di Michela Perrone e della pagina di Face Book del Museo Egizio

 

 

MUSEI: EGIZIO TORINO, NUOVO ALLESTIMENTO SCAVI SCHIAPPARELLI      XY I Sarcofagi    XY Piramide (foto Michela Perrone)

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2 La Piramide di Presti“Benvenuta a Stesicorea!” Una voce calda, avvolgente, morbida e determinata allo stesso tempo, mi raggiunse attraverso le scale, ampie ma ripide, di una casa antica del centro di Catania. Stavo per incontrare Antonio Presti, il mecenate della Luce, come ho imparato a chiamarlo. L’artista mecenate lo conosciamo , dai tanti eventi da lui promossi in tutta la Sicilia, uno per tutti il “Rito della Luce” creato per Librino, un quartiere periferico di Catania. Lo contattai telefonicamente, per la prima volta, qualche mese fa per partecipargli il mio disappunto agli “ostacoli” che gli avevano impedito di realizzare l’ultima edizione del suo amato “Rito della Luce” programmato per il 21 dicembre scorso a Librino. Sentii subito, dal tono della voce e dal calore umano che arrivava dal cellulare, una sottile e tangibile delusione per l’incapacità di alcuni esseri umani di comprendere l’importanza della difesa della cultura dell’essere. Percepii una pudica, celata, richiesta di condivisione, quasi con-passione, per quella vicenda che lo faceva sentire solo e deluso. Quelle parole mi suscitarono un indecifrabile e viscerale senso di appartenenza ai suoi ideali e valori: era come se ci fossimo conosciuti da sempre! Dopo vari tentativi di incontrarci andati a vuoto per reciproci impegni, quel pomeriggio di inizio primavera lo chiamai, sperando di trovarlo a Catania per chiedergli un incontro. Così fu. “Si, sono a Catania ed ho del tempo libero, ti aspetto alle 18”. Quella voce carica di pacato entusiasmo, adolescenziale freschezza frammista ad autorevole maturità e conoscenza dell’animo umano, mi riempiva di curiosità per l’imminente incontro. Le aspettative non andarono deluse!

Ma chi è Antonio Presti veramente, oltre il personaggio che pagine e pagine di giornali hanno raccontato? Chi stavo per incontrare?

Mi ero documentata in modo impeccabile sul suo impegno sociale e culturale, approfondendo le mie conoscenze….. Antonio Presti, artista mecenate, ha avuto l’intuizione e il coraggio di cambiare il concetto di arte e accoglienza turistica, in una terra di gattopardiana impronta, dove tutto cambia affinché nulla cambi, esprimendo il meglio delle risorse umane della nostra terra. Nato a Messina, ad un certo punto della sua vita decide di dedicare tutto se stesso, compreso il suo patrimonio personale, per far trionfare l’arte in tutte le sue forme. È impegnato da anni a creare una coscienza legata alla cultura ma soprattutto ad uno spirito etico, che si forma proprio attraverso un rapporto viscerale con la bellezza.

        Nel 1982 costituisce l’Associazione Culturale Fiumara d’Arte della quale è presidente. Dopo aver iniziato a studiare ingegneria edile all’Università di Palermo interrompe gli studi per portare avanti l’impresa del padre scomparso, un azienda a Castel di Tusa specializzata nella produzione di materiali per la costruzione di strade. Tuttavia, ben presto, matura l’idea che l’attività ereditata dal padre non rappresenta il suo futuro. Capisce che è importante dare un senso all’esistenza e sceglie l’arte come dimensione che permetta di dare continuità alla vita. Decide così di dedicarsi anima e corpo alla sua vocazione di “artista”. L’arte e l’etica diventano i due obiettivi conduttori di tutte le sue scelte. In ricordo della figura paterna, immagina un percorso artistico che esprima continuità tra la vita e la morte, a simboleggiare la conservazione della memoria attraverso l’arte contemporanea. Nasce così il Parco scultoreo di Fiumara d’Arte. Volendo dedicare alla memoria del padre un monumento, si rivolge allo scultore Pietro Consagra, che crea per l’occasione la scultura “La materia poteva non esserci”, la prima opera che, nel 1986, inaugura Fiumare d’Arte, un museo a cielo aperto. Presti immagina di non farne un semplice fatto privato, ma di donare la scultura alla collettività collocandola alla foce della Fiumara di Tusa, un letto di un antico fiume che in un tempo lontano scorreva tra i monti Nebrodi per ventuno chilometri fino all’antica Halaesa. Da quel momento la creatività, la passione per l’arte e l’amore per la bellezza diventano irrefrenabili per Antonio Presti. Altri nomi si aggiungono alla rosa degli artisti di fama internazionale, ed altre opere arricchiscono quello che il 6 gennaio 2006, dopo 25 anni di battaglie, viene riconosciuto il Parco di Fiumara d’Arte con la legge Regionale n. 6/06 denominata: “Valorizzazione turistica-fruizione e conservazione opera di Fiumara d’Arte“.
Tra i prestigiosi artisti che arrivano a Fiumara d’Arte incontriamo Paolo Schiavocampo, al quale Presti commissiona l’opera una “Curva gettata alle spalle del tempo”, posta sulla strada che porta a Castel di Lucio. Successivamente Hidetoshi Nagasawa crea la “Stanza di barca d’oro”, sul torrente Romei, Antonio di Palma dà vita alla scultura “Energia mediterranea”, mentre “Il labirinto di Arianna” è opera di Italo Lanfredini. Si aggiungono negli anni “Monumento per un poeta morto” (finestra sul mare) di Tano Festa, “Il muro della vita”, opera di quaranta artisti ceramisti provenienti da tutta Europa. Nel 1991, Presti inaugura l’Atelier sul mare, un albergo a Castel di Tusa, affidando a vari artisti la realizzazione delle camere. Da subito l’albergo diventa un albergo-museo d’arte contemporanea unico al mondo, dove poter trascorrere le proprie vacanze culturali e ricreative, all’interno del Parco di Fiumara d’Arte. La realizzazione di 20 delle 40 camere dell’Atelier sul Mare viene affidata ad artisti di fama internazionale. I nomi delle camere sono già un invito a sognare ad occhi aperti. “La stanza della pittura“, “La stanza della terra e del fuoco“, “La stanza del mare negato“, “La stanza dei portatori d’acqua“, “La stanza del rito della luce“, “La stanza del profeta“, “Energia“, “Trinacria“, “Mistero per la luna“, “Sogni tra segni“, “La bocca della verità“, “Il nido“, “Su barca di carta mi imbarco“, sono solo alcuni nomi evocativi della bellezza e della magica atmosfera che si respira all’interno delle camere. La dedizione per la bellezza ed un viscerale impegno sociale e culturale spingono Presti, nel 2009, a donare a Librino la “La porta della bellezza”, prima opera monumentale del museo all’aperto “Terzocchio Meridiani di Luce”. Il 21 marzo 2010 al Parco Fiumara d’Arte si aggiunge una nuova scultura, la “Piramide-38° parallelo”, imponente opera di Mauro Staccioli, che diventa da subito punto d’incontro di scolaresche del territorio del Parco dei Nebrodi e di quello delle Madonie, ma anche punto di riferimento di chi condivide con Antonio Presti, ogni anno per il solstizio d’estate, il Rito della Luce, al quale viene affidato l’illuminazione delle coscienze per un mondo migliore.

Queste, ed altre notizie, le avevo già lette e con questi pensieri continuai a salire le scale della sua casa di Catania. Non potevo immaginare che quell’incontro avrebbe ridato vigore ed entusiasmo al mio percorso evolutivo. Sull’ultimo scalino, nella penombra, mi accolse una sagoma imponente ma eterea, che si spostava continuamente davanti alla porta d’ingresso spalancata, facendo da contraltare alla luce fioca e rarefatta di quell’androne che lasciava intravedere le grandi finestre esposte sulla strada. Una vigorosa stretta di mano seguita da un abbraccio ampio e avvolgente, il sorriso di chi sa come accogliere gli ospiti. Facemmo pochi passi raggiungendo una saletta arredata in modo essenziale, da dove si intravedevano altre sale attigue abbellite con stampe e quadri appesi ai muri. Ad attenderci un grande tavolo ricolmo di libri e giornali, e due poltrone un pò datate ma comode, dove sedendomi mi  sentii finalmente e inspiegabilmente a casa. Ebbi l’impressione che fossimo due amici che si erano persi di vista da un po’ di tempo. Ci scambiammo opinioni concitate, come se attendessimo quell’incontro da tanto tempo. Tra una battuta sul modo di fare politica in Sicilia ed un commento sul reciproco impegno culturale, che concordavamo essere stancante ma fonte di rinnovo emozionale e psichico irrinunciabile, quasi fosse adrenalina allo stato puro, lentamente affiorava nello sguardo di quell’amico ritrovato un senso di delusione sull’”andazzo delle cose nella nostra terra”. Tra una battuta e l’altra vedevo emerge l’indole battagliera di chi non intende arrendersi alla miopia umana, forte della propria visione della vita, scevra dai consueti schemi sociali, espressione di un’intelligenza che non si lascia imbrigliare dalle catene del conformismo, consapevole che solo credendo fermamente in ciò che si fa si ha l’opportunità di portare a compimento il proprio senso della vita.
Con grande stupore per la contrapposizione tra l’età cronologica che intuivo e la giovinezza di spirito di chi progetta l’inizio di un percorso finalizzato ad un futuro migliore da condividere con i propri simili, mi ritrovai davanti ad uomo visibilmente e miracolosamente rimasto “bambino”. Spiazzata per la sorpresa di intravedere quel fanciullino che, nonostante le vicissitudini della vita, la gloria degli umani riconoscimenti per avere voluto lasciare all’umanità opere di inestimabile valore, e per il suo impegno sociale, umano ed artistico, sia riuscito a mantenere intatto lo stupore, l’entusiasmo e l’innata capacità comunicativa di una essenza non ricattabile dai consensi sociali. Antonio cominciava a parlarmi del suo prossimo progetto, ideato, custodito, accarezzato come in un sogno lucido, quello di trasferire la Fondazione Fiumare d’Arte e le sue opere da Castel di Tusa a Taormina, alle Rocce, uno sperone di terra incantevole e incontaminato, antistante Isolabella, “luogo da preservare e proteggere dagli umani appetiti”, condivididemmo. A mano a mano che le parole della nostra comunicazione si intrecciavano in una visione comune del senso dell’esistenza, l’artista mecenate veniva fuori, tra affanni e speranze, tra desiderio di trasferire la sua Fondazione Fiumara d’Arte sulla riviera ionica, e la consapevolezza dei limiti che spesso la pochezza umana pone nel riconoscere i grandi e le grandi idee. Antonio si trasformava, sotto i miei occhi incantati per tanta coinvolgente passione per quello che sognava di realizzare, e come un fiume in piena cominciava a parlarmi di un’isola abitata da farfalle di ogni dimensione, dalle ali pittate dai più svariati e scintillanti colori , specie provenienti da tutto il mondo. Seguivo mentalmente l’esplosione di colori sullo sfondo azzurro del cielo e del mare di Isolabella, l’immaginazione ormai sbrigliata inseguiva quegli esseri alati multicolori, che riempiono gli occhi e il cuore di gioia appena ne incontri uno, figuriamoci un’intera isola abitata da farfalle leggiadre e luminose! Mi perdo nei suoi cangianti occhi verde muschio, che cambiavano colore a secondo delle emozioni che esprimevano, e ritornai bambina! Le ore passavano, e non riesco più a ricordare, forse attardandomi ad ammirare il giardino esotico delle Rocce che intanto Antonio aveva appena finito di descrivermi, come mi ritrovai alle pendici dell’Etna, in uno di quei paesini così lindi e freschi che sembra di stare in Trentino. “Mi piacerebbe – disse improvvisamente – ripartire da qui”. Sobbalzai, non ancora abituata alla semplice bellezza di un borgo abitato da poche anime, dove il tempo sembrava essersi fermato, e il rintocco delle campane accarezzava l’udito, come il profumo delle rose l’olfatto, e i vasi di gerani e ortensie la vista. “La bellezza dell’essere va coltivata e custodita nei bambini. Che bello sarebbe poter lavorare con i bambini, e i genitori, di un piccolo paesino sperduto tra boschi e gli scorci reconditi della selvaggia bellezza dell’Etna. Educare i bambini a vedere la luce dell’invisibile, per renderla visibile solo agli occhi del cuore. Bisogna affidare il futuro delle nuove generazioni alle reti delle scuole, ai bambini che trasferiscono ad altri bambini il bell’essere che imparano a vedere con gli occhi dell’anima. Affidare la continuità di queste iniziative di risveglio delle coscienze a chi ha imparato ad amare incondizionatamente il luogo dove è nato. Guidare i piccoli ad acoltare il silenzio, e a vedere la bellezza e la luce interiore con gli occhi chiusi ……”. Chiusi gli occhi anch’io, e mi abbandonai allo spettacolo dell’anima che Antonio mi dipingeva con magistrale semplicità, tra il reale e fantastico, tra il sogno e l’innocente entusiasmo di chi ha il cuore puro come una colomba, ma abbastanza esperienza per avere la smaliziata visione dell’entourage culturale dove opera. Nelle sue parole, la concretezza di chi sa quello che vuole e come ottenerlo, consapevole dei grandi cambiamenti epocali che l’umanità sta attraversando. Mi riconoscevo nelle sue parole, nel suo impegno distaccato e partecipato allo stesso tempo. Quanti anni e quanto lavoro avevo fatto con la mia piccola associazione Mea Lux, creata per far emergere la scintilla divina di cui ciascun essere vivente è portatore. Come la sua Fondazione, avevo gettato tanti piccoli semi, meno grandi dei suoi, ma disseminati con lo stesso amore incondizionato per questa isola piena di contraddizioni. La luce, l’evanescente consistenza, la bellezza rarefatta dei paesaggi dell’anima, che Antonio Presti trasferisce a chi ha la fortuna di incontrarlo, non li dimenticherò mai. E allora Antonio, mi chiedo e ti chiedo: “a furia di vedere tante brutture i nostri occhi si sono chiusi alla vita, abituandosi al buio della rassegnazione? Quante volte ancora dovremmo vedere stagioni di luce negate da uomini di poco spessore che, inconsapevoli, rallentano il vero progresso dell’umanità? Il vero progresso è fatto di crescita spirituale e fiducia nel proprio potere personale di cambiare le sorti dell’umanità, risvegliandosi a nuova vita!
Oltre quello che ci siamo detti durante il nostro incontro, immagino un dialogo futuro, fatto di progettazioni costruttive. C’è già un primo appuntamento, il consueto raduno a Motta d’Affermo, ai piedi della magica Piramide posta sul 38° parallelo, per il rito del solstizio d’estate il 21 giugno prossimo. Notte di solstizio, notte magica, notte cruciale di astri, celebrata, temuta e osservata fin dalle più antiche civiltà. Il giorno uguale alla notte. La vita uguale alla morte. Il ciclo della natura che si ripete puntuale in questo giorno, ogni anno, così come quello umano, magnificando il superamento della dualità, fondendo le contrapposizioni nell’Uno Cosmico.
In una terra fatta di luci e ombre è una fortuna che ci siano ancora persone come Antonio Presti. L’entusiasmo con il quale Antonio partecipa agli altri la bellezza  e la gioioa della vita, le relazioni autentiche, la semplicità e la gioia dell’esistenza, la condivisione delle risorse culturali del nostro patrimonio isolano, contribuiscono a far risplendere di luce propria questa bellissima terra! La trasmutazione alchemica, di cui l’alchimista Antonio Presti conosce i reconditi segreti di realizzazione, può costituire il faro da seguire affinché Fiat Lux!

Il 21 giugno 2015 alla Piramide-38° parallelo……….. chi ha occhi per vedere vedrà.

                             Angela Lonbardo

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Le ciliegie delizie del mese di giugno
1 CiliegeDa nord a sud dell’Italia, la ciliegia è indicata in molti dialetti col termine “cerasa” che deriva dal latino “cerasum” che significa appunto ciliegia.

Le ciliegie sono composte per l’80% circa da acqua, zuccheri, proteine (piccola percentuale), vitamine A e C, potassio, fosforo, calcio, ferro, sodio e magnesio. Da evidenziare la presenza del levulosio, uno zucchero che non ha controindicazioni per i diabetici.
La ciliegia fresca ha proprietà depurative e disintossicanti, oltre a quelle diuretiche  e lassative che fanno della ciliegia un frutto molto utile in caso di gonfiore a livello addominale. Grazie alla presenza dei flavonoidi, in combinazione con le vitamine A e C, l’assunzione di ciliegie stimola la produzione di collagene, apportando così innumerevoli benefici alla nostra pelle. Da sottolineare la presenza di acido malico, che, con le sue proprietà, è in grado di favorire la digestione degli zuccheri e l’attività epatica.

 

 

La ricetta del mese

Crostata meringata alle ciliegie

250 g di pasta frolla (comprata o preparata con 175 g di farina, 75 g di burro) 450 g di ciliegie fresche lavate e snocciolate ( i peduncoli non buttateli sono ottimi diuretici se ne fate una tisana), 50 g di zucchero, 5 g di maizena, 1 dl di vino bianco, 2 albumi, 80 g di zucchero.

Rivestire una teglia da 20 cm di diametro con la frolla, passare in frigo per 30 minuti. Nel frattempo mettere le ciliegie in una casseruola con lo zucchero e fare scaldare 10 minuti a fuoco dolce finchè si saranno ammorbidite.
Accendete il forno a preriscaldarlo a 200°

Cuocere la frolla in bianco (coprendo la frolla con una stagnola a coprendola con dei fagioli) per 10 minuti, poi rimuovere la carta e proseguire la cottura per altri 5 minuti.

Mescolare la maizena con 6 cucchiai di acqua fino ad ottenere una pasta liscia unitela alle ciliegie insieme al vino, cuocere il tutto per pochi minuti e dopo che si è intiepidita versare il composto sulla frolla.

Per la meringa: In una ciotola montare a neve ferma gli albumi con lo zucchero, poi con una sacca da pasticcere formare delle rosette sulla crostata, quindi passare in forno a 150° per 30 minuti.

Servire tiepida.

Buon appetito

Pinella Di Prima

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           Castiglione di Sicilia. Si svolgerà domenica 14 giugno 2015 a partire dalle ore 10,00 nella Chiesa di S. Giovanni Bosco di Verzella (Castiglione di Sicilia-Catania) la consegna dei premi della tredicesima edizione del Concorso letterarioAntonio Filoteo Omodei”. La manifestazione culturale èorganizzata dall’Accademia Internazionale Il Convivio in collaborazione con il ‘Museo Valle Alcantara’ e coinvolgerà autori che giungeranno da varie località d’Italia, d’Europa e delle Americhe. La giornata ha come slogan: cultura, tradizioni e natura. Infatti, la cerimonia di consegna dei premi dà la possibilità di poter conoscere la storia dell’hinterland alcantarino attraverso la ricca testimonianza custodita nel “Museo Valle Alcantara” e la mostra fotografica di luoghi caratteristici allestita per l’occasione.

            La tredicesima edizione del concorso ha avuto una ricca adesione, con ben 627 partecipanti. La giuria presieduta da Carmela Tuccari era composta da: Pina Ardita, Lucia Paternò, Maristella Dilettoso, Sabato Laudato, Antonia Izzi Rufo, Sonia Rodriguez Sanchez (Spagna), Carolina Monteiro (Portogallo), Nunzio Trazzera, Cinzia Oliveri, Beatrice Torrente.
La kermesse culturale dedicata a uno degli autorisiciliani più importanti del ‘500, Antonio Filoteo Omodei, si apre con la presentazione del saggio storico “Il codice autografo delle Rime di Antonio Filoteo Omodei” di Angelo Manitta e Giuseppe Manitta. Anche questa edizione si caratterizza per l’internazionalità e l’intervento di ospiti d’onore: dal Brasile giungeranno a Verzella la poetessa Alba Maria De Lourdes di San Paolo e la scrittrice Clonice Bourscheid di Porto Alegre. Ad arricchire la cerimonia i due musicisti, Salvatore Coniglio e Maurizio Salerno, e il percorso artistico degli alunni della scuola “Progetto infanzia” di Mascalucia – CT.

         Dei premiati saranno presenti: De Rubeis Alessandrina, San Donato V.C. (FR); Caponiti Domenica, Pozzallo (RG); Civello Palma, Palermo; Barbera Michele, Menfi –AG. Sciacchitano Giovanna, Palermo; Rizzo Caterina, Pizzo C.(VV); Di Salvatore Rosa Maria, Catania.Cangelosi Pierangelo, Palermo. Tagliani Caterina, Sellia Marina (CZ); Mangiaracina Ignazio, S. Margherita Belice; Baglieri Giusi, Catania; Bellia Liliana, Catania. Guarneri Cirami Alberto, Caltagirone; Cozzubbo Paola, Dottore Paola, Asolo (TV);Giarre; Bono Angela Salvatrice, Catania; FornariMariangelaBellaria –RN; D’Angelo Sergio, Ragusa. Consoli Santo, Catania; Cangelosi Calogero, Palermo.Mangano M. Luisa, Acicastello; Privitera Francesca, Mascalucia CT. Urru Rosalba – Maria Luisa Robba, Palermo; Di Vincenzo Salvatore, Santa Domenica – ME. Mendola Sebastiano, Lentini (SR); Barbagallo Gaetana, Catania; Vasta Angela, Catania, Gueli Raffaele, Chiaramonte Gulfi – RG; Mantineo Antonino, S. Domenica V. – ME; Vadalà Teresa,Messina; Foti Nuccia, Reggio Calabria;Malambrì Giovanni, Messina;Albano Giovanni, Lipari; Toscano Carmelina,Biancavilla – CT; Ugo Fierro (Messina); Nunzio Spitalieri S. Giovanni La Punta (CT); Leonardo Tumminello, Santa Margherita Belice (PA), Antonella Oriolo, Catanzaro; Domenico Virdò, Arzona – VV; Angela Alibrandi, Messina; e Salvatore Serra, Borgovodice (Lt).

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Il cantautore Sandro Di Bernardo

Il cantautore Sandro Di Bernardo

Giardini Naxos (ME). In attesa dell’uscita ufficiale del nuovo album di Sandro Di Bernardo,”Sudditi e Rose“, domenica 14 giugno all’Advanced Music Club di Giardini Naxos (Via IV novembre n. 235), il cantautore siciliano terra’ un’anteprima unplugged insieme a Flavio Gullotta e Francesco Fruda‘. Il disco prodotto da Ottavio Leo e cantato quasi per intero in dialetto siciliano, attinge a piene mani dal patrimonio folkrock americano anni 70, ma trasuda anche influenze mediterranee e cantautorato di casa nostra. Un album bello e nostalgico dove la Sicilia e’ un continuo punto di partenza e punto di ritorno.

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Sabato 13 Giugno ore 18:00

AMORE E FOLLIA
DI ORLANDO
Copione elaborato da Alessandro e Fiorenzo Napoli
sulla base dell’Orlando Furioso e dei canovacci di tradizione

nell’ambito della Rassegna di Opera dei Pupi di scuola catanese 2015

presso

TEATRO MUSEO MARIONETTISTICA F.LLI NAPOLI
Centro Commerciale PORTE DI CATANIA
Stradale Gelso Bianco (CT)

INGRESSO LIBERO FINO AD ESAURIMENTO POSTI

Info: 347/0954526; 347/3034600; 095/7513076

SINOSSI
Ben note sono le vicende di Orlando che diventa pazzo e furioso per amore di Angelica e del coraggiosissimo Astolfo che a cavallo dell’Ippogrifo si reca sulla luna per recuperare il senno perduto dal cugino. Nella tradizione catanese dell’Opera dei Pupi, il legame che univa strettamente le sorti dei due cugini veniva fatto risalire indietro ad un’avventura che essi avevano vissuto da giovinetti. Astolfo era stato rapito nell’incanto della voluttuosa maga Voltiera. Orlando riusciva a liberare il cugino dall’incanto, rimproverandolo di aver trascurato per amore i suoi doveri di cavaliere. Alla maga Voltiera, che si vedeva privata del suo bell’Astolfo, non restava che proferire una terribile profezia e operare un incantesimo: “Orlando, tu che tanto disprezzi l’amore di donna, un giorno t’innamorerai, andrai ramingo per il mondo e pazzo sarai per una donna saracena! A te, o Astolfo, tolgo la forza e ti resta il coraggio!”. La vicenda ariostesca di Orlando ed Astolfo diventava all’Opra catanese lo sviluppo di quell’episodio della loro giovinezza. Nel copione che abbiamo elaborato con Fiorenzo Napoli, intendiamo recuperare questo gioco di corrispondenze incrociate. Rispetto all’originale trama ariostesca, l’altra grande differenza che l’Opera dei Pupi catanese proponeva era la seguente: Orlando non impazziva all’improvviso quando vedeva incisi sui tronchi degli alberi i segni palesi dell’amore di Angelica e Medoro, ma già da prima dava intermittenti segni di squilibrio, scambiando l’identità di cose e persone e immaginando ancora vivi e presenti cavalieri da lui precedentemente uccisi. Accompagnava il paladino il famiglio Peppininu, la maschera tradizionale dell’Opra catanese, che come Sancio Panza con Don Chisciotte cercava di far ragionare Orlando o ne mitigava i pericolosi furori. Proprio nel contrappunto di un Orlando sublimemente folle per amore e di un Peppininu umanissimo affezionato al suo “principale” consiste la poesia della rappresentazione della pazzia di Orlando all’Opra catanese, che tutta intera vogliamo riproporre al pubblico di oggi. Dopo che Astolfo recupera sulla luna il senno di Orlando, solo grazie a Peppininu i paladini trovano il modo di far annusare l’ampolla al furiosissimo conte. Peppininu escogita la giusta maniera di immobilizzare Orlando e si mette d’accordo con Rinaldo, che i pupari catanesi, a differenza del poema ariostesco, vollero presente al momento del rinsavimento. Lo spettacolo recupera gli spunti di riflessione e le complessità scenotecniche della messinscena tradizionale, suggerendo per bocca di Peppininu il dubbio che trapela dalle ottave di Ariosto: ma la furia guerriera di Orlando non è forse una follia più pericolosa di quella d’amore? (Alessandro Napoli)

2  OrlandoX   1 Orlando dei F.lli NapoliX

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Catania. Mercoledì 10 giugno alle ore 17,30 al Monastero dei Benedettini  Officine Culturali e la Casa Editrice Edizioni di Storia e studi Sociali in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umanistiche e l’Istituto di Archeologia dell’Università degli Studi di Catania presenteranno il nuovo libro di Sebastiano Tusa, il noto archeologo oggi Soprintendente del Mare della Regione Sicilia. Sicilia Archeologica focalizza, da una serie di prospettive, i caratteri dell’isola dal Paleolitico all’Età del Bronzo, nei contesti del Mediterraneo. L’archeologo introduce gli argomenti trattati con tre scritti: un saggio autobiografico che evidenzia le radici di una scelta professionale maturata non senza problematiche esistenziali; un testo sulla storia dell’evoluzione epistemologica del pensiero scientifico inerente l’identità italica, tanto dibattuta soprattutto nel periodo tra le due guerre, da un inquadramento storico-filosofico-archeologico sul Mediterraneo; un saggio su Paolo Orsi, doveroso tributo trattando di preistoria e protostoria siciliane.
Di particolare interesse sono i saggi dedicati allo spinoso tema della religiosità dei popoli primitivi della Sicilia che ha appassionato e diviso generazioni di studiosi non soltanto in Sicilia. Argomento talvolta evitato talvolta abusato per spiegare ciò che l’archeologia didascalica e descrittiva non riesce a comprendere con le armi della comparazione etno-antropologica.
L’autore tratta inoltre dell’insorgenza agro-pastorale in Sicilia, ossia della transizione tra le società di cacciatori e raccoglitori e quelle di agricoltori e pastori. Il centro della ricerca è dedicato alla costa orientale della penisola di San Vito lo Capo, dove si trova la gigantesca Grotta dell’Uzzo.
Nel saggio conclusivo l’archeologo propone delle spiegazioni sulle reali radici etniche del popolo siciliano, convinto comunque che il carattere più distintivo della Sicilia sia quello del sincretismo antropologico, data la notevole ricchezza di strati, sostrati e parastrati popolazionali che questa terra di spiccata accoglienza ha nei millenni accumulato, dimostrando di non essere soltanto un’isola, ma un arcipelago di culture, religioni, popoli e tradizioni.
Alla presentazione, introdotta dal Direttore Magnano San Lio (Dipartimento di Scienze Umanistiche) e il dott. Francesco Mannino (Presidente di Officine Culturali), saranno presenti oltre all’autore Prof. Sebastiano Tusa (archeologo, Soprintendente del Mare, Regione Sicilia), il Prof. Edoardo Tortorici (docente di Topografia Antica), il Prof. Massimo Frasca (docente Archeologia Magna Grecia, direttore scuola di specializzazione di Archeologia), il Prof. Daniele Malfitana (direttore IBAM CNR), il Dott. Francesco Privitera (dirigente responsabile U. O. 1 Museo Regionale di Catania), il Prof. Massimo Cultraro (docente Archeologia Egea, Università Palermo) e il Dott. Carlo Ruta (direttore di Edizioni di Storia e Studi Sociali, saggista).

La presentazione si terrà al Coro di Notte del Monastero dei Benedettini di Catania alle ore 17:30.

Sebastiano Tusa. Laureato in lettere con tesi in paletnologia presso l’Università La Sapienza di Roma nel 1975. Perfezionato in Archeologia orientale presso La Sapienza di Roma nel 1985. Idoneo nel 2000 al concorso per professore ordinario della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cagliari, settore L01Y, Preistoria e protostoria. Docente a contratto di Paletnologia presso il Corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli dal 2000. Docente a contratto di Archeologia Subacquea presso il Corso di Laurea in Archeologia Navale dell’Università degli Studi di Bologna, sede staccata di Trapani, dal 2001 al 2012. Direttore del Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani (2000-2004). Soprintendente del Mare della Regione Siciliana dal 2004 al 2010 e dal 2012. Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani dal 2010 al 2012. Direttore della rivista «Sicilia Archeologica». Dal 1972 ha partecipato e/o diretto missioni e ricerche archeologiche in Italia, Iraq, Iran, Pakistan, e Turchia. È attualmente direttore delle Missioni Archeologiche in Sicilia, Libia e Giappone. Ha condotto numerosi scavi archeologici in Sicilia, Lazio e Campania. Autore di circa 600 opere, tra monografie e saggi scientifici e divulgativi.

Locandina Libro TusaXX

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       Catania.Sapienza e conoscenza tra Oriente ed Occidente” è il titolo dell’incontro culturale svoltosi presso il Centro “Herbolarium Museum” di Catania. L’incontro è stato condotto dialetticamente dai due relatori, la prof.ssa Pia Vacante e Leandro Gullino, ed è stato arricchito dalle immagini artistiche curate da Vincenzo Bonaccorso e dalla musica di Marco Scandurra, musicista dell’orchestra giovanile nazionale. Nel corso della serata è stata analizzata la visione filosofica arcaica in Oriente ed in Occidente allo scopo di evidenziarne i punti di contatto.
Secondo un certo filone di studi, la matrice linguistica e culturale indoeuropea si diversificò in base ai diversi stanziamenti territoriali delle popolazioni ariane, fondendosi appunto con le lingue e le tradizioni locali.
Soffermiamoci su India e Grecia.
       Nel 2200 a. C. circa, gli indoeuropei penetrarono nell’India del nord dando origine ad una produzione filosofico – mistica che trovò espressione nei Veda, summa del pensiero induista arcaico e nel Vedanta (ultima parte dei Veda), le cosiddette Upanishad, che fiorirono tra il 700 e il 300 a. C. Nel 2000 a.C. circa cominciò la migrazione anche nella penisola balcanica, dove di lì a poco ebbe inizio la cosiddetta età del mito. Nel 600 a.C. in Grecia nasceva la Filosofia con i Presocratici, il cui Pensiero verrà poi sistematizzato ed amplificato da Platone, massimo interprete e sintetizzatore dell’antica cultura indoeuropea. Entrambe le realtà culturali, la greca e l’induista, pur nell’apparente diversità, conservano una medesima visione della realtà: la struttura cosmogonica, il problema dell’Uno e del Molteplice, il tema della Conoscenza, il mito della Biga Alata, che viene formulato da Platone ma si ritrova identico nella Katha Upanishad, la Reincarnazione, la simbologia del Cuore e del Sole. L’argomento trattato, ha sicuramente ampliato le conoscenze “comuni”, infatti difficilmente viene sottolineata questa interdipendenza culturale nello studio della filosofia antica effettuato nei licei. La particolare conoscenza della prof. ssa Vacante è dovuta anche dal fatto che, da parecchi anni, si dedica alla traduzione di testi antichi scritti in sanscrito, l’antica lingua degli indoariani, può così comparare gli scritti dei filosofi greci e quelli filosofici (upanishad) delle tradizioni indiane dal punto di vista filologico e simbolico. Al confronto dialettico tra i due relatori è seguito un intenso dibattito col pubblico presente in sala.

                 Liliana Cosentino

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