GENNAIO - FEBBRAIO - MARZO 2024
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Taormina

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Messina. Mercoledì 27 gennaio 2016, alle ore 10.00 presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lucio Barbera” di via XXIV Maggio, in occasione dell’annuale
celebrazione della Giorno della memoria, la Città Metropolitana di Messina organizzerà anche quest’anno una manifestazione per ricordare la Shoah, la deportazione e lo sterminio del popolo ebraico.

Il programma prevede un’interessante conferenza del prof. Giuseppe Restifo, docente universitario di Storia Moderna, dal titolo “Interrogarsi sul volto del potere”; nel corso della giornata commemorativa sarà proiettato il film “Memoria” di Ruggero Gabbai, imperniato su alcune significative interviste ai sopravvissuti ebrei italiani ad Auschwitz, a cura del Centro di documentazione ebraica contemporanea, che vuole essere un momento di riflessione con gli studenti delle scuole sull’immane tragedia dell’Olocausto.
All’evento organizzato da Palazzo dei Leoni saranno presenti alcune classi del Liceo Scientifico Statale “Giuseppe Seguenza” e del Liceo Scientifico “Archimede” di Messina.

1X La Shoah e la Memoria 2016

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CATANIA. Il Prof. Enzo Farinella presenta l’incontro culturale inttitolato: “Monaci Irlandesi in Europa e in Sicilia” in programma a Catania giovedi 28 gennaio alle  ore 16.30 nel salone dell’Associazione Sicilia Mondo in Via Renato Imbriani, 253.
Introduce Domenico Azzia, Presidente di Sicilia Mondo

Interviene Enzo Zappulla, Presidente Istituto Storia dello Spettacolo Siciliano

Seguira’ interludio musicale del Maestro Beppe Visi col suo mandolino

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“Faro doc abbinato al Maiorchino e ai prodotti tipici locali”, domenica 24 gennaio in programma il primo appuntamento con il Laboratorio del Gusto

Messina. L’associazione “Slow Food Valdemone” organizza il primo appuntamento con il Laboratorio del Gusto “Faro doc abbinato al Maiorchino e ai prodotti tipici locali”. La manifestazione è in programma domenica 24 gennaio, a partire dalle ore 10.30, nei locali dell’Enoteca Provinciale di San Placido Calonerò. Si tratterà di un percorso di conoscenza di alcune tra le più prestigiose eccellenze del territorio messinese, vini e piatti tipici di un comprensorio che vanta tradizioni di rilevanza regionale e nazionale. La giornata è dedicata, in particolare, ai ragazzi delle ultime classi delle scuole superiori e si pone l’obiettivo di far conoscere i prodotti attraverso un approfondito esame delle proprietà organolettiche e del legame con le tradizioni e la storia del territorio oltre all’analisi della loro rilevanza economica per l’inter tessuto sociale della provincia nell’ambito di una politica di rilancio della microeconomia locale.Nell’ambito del progetto di “Slow Food Valdemone”, che vedrà l’Enoteca di San Placido Calonerò quale location ospitante, il calendario degli appuntamenti sarà arricchito da altri due laboratori del gusto: il primo in programma lunedì 1 febbraio 2016 verterà sul Mamertino doc abbinato alla provola dei Nebrodi mentre il terzo laboratorio avrà luogo lunedì 15 febbraio 2016 e si svilupperà sul prestigioso Salina IGT abbinato a pietanze a base di capperi di Salina.

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GiardiniNaxos (Me). La FIDAPA di Giardini Naxos Presieduta dalla professoressa Rossella Siciliano ha consolidato un’altro tassello informativo notevole per il territorio , in concerto con Cittadinanza Attiva ha realizzato la notevole conferenza su nutrizione e benessere psicofisico . La conferenza ha preso avvio con il consueto cerimoniale FIDAPA da parte del cerimoniere professoressa Graziella Intersimone . Dopo gli inni ha preso la parola la Presidente di sezione Professoressa Rossella Siciliano declinando in maniera ottimale la tematica in oggetto , che in una visione olistica della persona affronta il problema del benessere come salute psicofisica dell’individuo durante le diverse tappe della vita dall’infanzia all’anzianità , per interiorizzare abitudini alimentari che possono condurre nel tempo ad un maggiore benessere della persona. La presidente ha ringraziato tutti gli intervenuti , la rappresentante del distretto segretaria Maria Ciancitto , la garante Stefania Luppino, ma in particolar modo la dott.ssa Alessia Barbagallo socia della mia sezione e oggi conferenziere eccezionale della conferenza di nutrizione e benessere che insieme all’ottima conferenziera dott.ssa Francesca Li Muli hanno tenuto una piacevole e interessante conferenza , congratulazioni sono state rivolte al giovane e gentilissimo dott. Davide Vinciullo informatore scientifico della Penta. Ha preso la parola dopo per alcune formalità informative la presidente di “Cittadinanza Attiva”  dott.ssa  Agata Polonia la quale nel commentare l’evento ha detto: “La nostra associazione è molto sensibile  a queste tematiche che hanno a cuore la salute del cittadino ed in particolare del malato. Occorre incentivare iniziative che contribuiscano alla prevenzione della propria salute a cominciare dalle tematiche che riguardano il cibo. Il binomio cibo-salute è la chiave di lettura di molte malattie perchè noi siamo quello che mangiamo. Occorre promuovere  un educazione alimentare a partire dalle scuole. Iniziative e conferenze come quella di oggi servono a far conoscere alle famiglie i rischi ai quali si va incontro quando si persiste in un alimentazione sbagliata protratta per anni. Noi dal canto nostro continueremo in futuro a promuovere questo genere di iniziative affinchè si possa diffondere una maggiore sensibilità nel prendersi cura del porprio corpo e della propria mente attraverso una sana nutrizione e stili di vita armonici“.   L’ottima conferenza si è conclusa con l’intervento della segretaria distrettuale Maria Ciancitto che si è congratulata per la scelta della tematica , per l’ottima conduzione dei lavori con la Presidente di sezione Rossella Siciliano che ha anche il ruolo di consigliera del distretto Sicilia, e che ha confermato ancora una volta la sua serietà il suo impegno e l’ossequio alle procedure dello statuto FIDAPA.

I relatori

I relatori

La prof. Rossella Siciliano

La prof. Rossella Siciliano

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Messina. Mercoledì 20 gennaio 2016, alle ore 17,30, la Feltrinelli Point di Messina (via Ghibellina 32) presenta il saggio “Archeologia degli Iblei”. Indigeni e Greci nell’altipiano ibleo tra la prima e la seconda età del Ferro, firmato da Massimo Frasca per le Edizioni di Storia e Studi Sociali. Con l’autore, parlano del libro Francesco La Torre, docente di Archeologia classica all’Università degli Studi di Messina, e Anna Maria Prestianni, docente di Storia greca all’Università degli Studi di Messina. Coordina il dibattito Fulvia Toscano, direttrice artistica di NaxosLegge.
In questa opera, attraverso la documentazione archeologica, Massimo Frasca esamina i processi di trasformazione che si colgono nella società indigena tra la prima e la seconda età del Ferro (VIII-VI secolo a.C.) nell’area geograficamente e culturalmente ben delineata dell’altipiano ibleo che, grazie anche alle indagini effettuate tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento da Paolo Orsi, costituisce uno dei territori meglio indagati della Sicilia.
L’arrivo dei Greci, che a partire 733 a.C., data di fondazione di Siracusa, si insediano lungo le coste orientali e meridionali della Sicilia, innesca profondi mutamenti nell’assetto sociale, politico, economico e territoriale delle comunità indigene della prima età del Ferro (facies di Pantalica Sud), che vivevano in piccoli villaggi sparsi su alture naturalmente difese, come Monte Alveria, Avola Antica, Pantalica e Monte Finocchito.
La rassegna particolareggiata dei dati archeologici restituiti soprattutto dalle necropoli e in parte anche dagli abitati di Monte Finocchito, Modica-Via Polara, Ragusa, Monte Casasia e Castiglione, consente all’autore di delineare il processo innescato dalla presenza greca sulla costa (fondazioni di Siracusa, Eloro, Maestro e Camarina) e nell’interno (colonie siracusane di Acre e Casmene), che determina, tra la fine dell’VIII e il VII secolo a.C., l’abbandono dei piccoli villaggi sparsi nel territorio e la formazione di centri emergenti, ubicati sulle alture dominanti il corso dei grandi fiumi, Marcellino, Tellaro, Irminio, Dirillo e Ippari, che costituiscono le principali vie di comunicazione tra la costa e l’entroterra.

Massimo Frasca si è laureato in Lettere Classiche, con una tesi sulla necropoli di Monte Finocchito, e specializzato in Archeologia Classica presso l’Università di Catania. Ha vinto una delle borse di Perfezionamento bandite dalla Scuola Archeologica di Atene e ha seguito le attività della Scuola in Grecia e in Turchia, partecipando allo scavo di Iasos. Ricercatore confermato dal 1981 al 2000, ha insegnato presso l’Università della Calabria e di Agrigento. Attualmente professore di Archeologia della Magna Grecia e Sicilia presso l’Università di Catania, ha conseguito l’abilitazione a professore ordinario di Archeologia Classica. Dal 2005 è direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica (ora Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici) dell’Università di Catania. Ha diretto numerosi scavi in Sicilia e in Italia meridionale ed è stato componente delle missioni archeologiche di Prinias (Grecia) e Iasos (Turchia). Dal 1987 fa parte della Missione archeologica italiana che opera a Kyme Eolica (Turchia), dove dirige gli scavi sulla Collina Sud. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Tra i principali temi di ricerca è lo studio della topografia e delle produzioni artigianali delle città greche e delle loro relazioni con le popolazioni indigene.

2x  Copertina libro

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"Trattamenti risarcitori dei dipendenti pubblici. Vittime del terrorismo, del dovere e della criminalità organizzata" .

Messina. Palazzo dei Leoni sabato 16 gennaio 2016, alle ore 9.30, ospiterà il convegno sul tema: “Trattamenti risarcitori dei dipendenti pubblici. Vittime del terrorismo, del dovere e della criminalità organizzata”.

L’incontro è organizzato dalla sede provinciale dell’Unione Nazionale Mutilati per Servizio (U.N.M.S.), con il patrocinio della Città Metropolitana di Messina.

Al meeting, dopo gli interventi iniziali del Commissario Straordinario della Città Metropolitana di Messina, Dott. Filippo Romano, e del Presidente nazionale dell’ U.N.M.S., Cav. Antonio Mondello, interverranno i relatori: Dott.ssa Maria Antonietta Cerniglia, Vice Prefetto Vicario di Messina; Dott. Francesco Famà; Avv. Carmelo Gullo, legale rappresentante della sede provinciale U.N.M.S. di Messina; Francesco Mangano, ispettore della Direzione Territoriale del Lavoro di Messina; Dott. Carmelo Di Bella, responsabile pensioni dipendenti delle pubbliche amministrazioni sede provinciale INPS di Messina.

Concluderà il convegno il responsabile e legale della sede Nazionale U.N.M.S., .

I lavori saranno moderati dalla giornalista Gisella Cicciò.

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I mosaici di Villa del Casale a Visegrad

Tanti i legami tra la Sicilia e l’Ungheria.
La sposa di Re Matthias Corvinus (1443 – 1490), fu Beatrice d’Aragona, figlia del Re delle due Sicilie. Tramite Beatrice, Re Matthias divenne grande ammiratore della cultura italiana e mecenate delle arti. Vari umanisti italiani soggiornarono a Buda e in altri palazzi reali. Si pensi che anche Leonardo fu sotto il loro patrocinio. La coppia reale rese famosa Buda dal 1458 al 1485, tanto che umanisti italiani ebbero a dire: “Firenze è la più bella città in pianura, Venezia sul mare, ma Buda è la più bella sulle colline”.
A Visegrad, mentre ci si riposa tra le acque sulfuree nelle Terme dell’omonimo Hotel, si possono contemplare anche riquadri dei mosaici che hanno resa famosa la Villa del Casale di Piazza Armerina. Alcune scene di caccia, riprodotte sulle pareti che circondano le varie piscine e jacuzzi, e i due leoni del Palazzo dei Normanni di Palermo, accompagnano i massaggi che le acque sulferee, provenienti da 1.100 metri di profondita’, operano sul corpo e sullo spirito.
Visegrad, 50 km da Budapest, e’ una storica e antica cittadina ungherese. Ancorano vi si possono ammirare i ruderi del Palazzo di Re Matthias sulle sponde del Danubio, che proprio in quel punto forma una doppia curva, oggi patrimonio dell’UNESCO, un vecchio Castello reale e un panorama mozzafiato.
Ma e’ Budapest la grande attrazione dell’Ungheria.
Solcata dal Danubio, sulle cui acque si specchiano il Parlamento, il Palazzo Reale e tanti altri edifici storici, Budapest è una città quanto mai affascinante. Occupata durante la storia da tartari, turchi, da Sacro Romano Impero e più tardi da austriaci, tedeschi e russi, semidistrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, bersagliata dai cannoni russi nel 1956, esercita sempre un suo fascino intimo che ammalia il visitatore.
Conta due milioni di abitanti, divisi tra Buda e Pest, unite dai tanti ponti di un Danubio le cui acque scorrono tranquille, attraversando non solo la città ma gran parte dell’Europa centrale. Buda, con il suo castello è adagiata sulle colline, mentre Pest si estende sulla pianura sottostante. Abitare a Buda è un prestigio che non si puo’ quantificare in termini economici. Oltre al castello-Palazzo Reale, sede della Galleria Nazionale e del Museo storico, quì si erge l’imponente e meravigliosa Chiesa neo-gotica di Matthias, dedicata a Nostra Signora, nota come la Chiesa dell’Incoronazione – Francesco Giuseppe vi venne incoronato con la Sacra Corona d’Ungheria -. Accanto c’è il Bastione dei Pescatori, con una splendida veduta su tutta Budapest. Cinque strade, che si snodano nel distretto del Castello e una volta popolate da tedeschi, ungheresi, italiani, ebrei e, più tardi, turchi, formano la Buda medioevale, meta preferita dei turisti. Questo distretto e la vallata del Danubio fanno parte del Patrimonio Culturale Mondiale delle Nazioni Unite.
Mentre si discute in questa citta’ di importanti problemi europei dall’epocale ondata immigratoria, come e’ accaduto recentemente al Convegno dei Giornalisti Europei, il visitatore o il giornalista può dare sfogo anche ai propri occhi: sognare, seguendo le onde calme del Danubio, meglio se su uno dei tanti bateau-mouches che lo solcano in ogni direzione, ammirare i suoi innumerevoli ponti illuminati nella notte, mentre si gode di un banchetto genuino al lume di candela, gustare il gulyas o semplicemente una palancsinta o un langos, prendere un caffè o una bibita al centro o in periferia, soffermarsi nei negozi eleganti in Vaci Utca, divertirsi nei vari night-clubs che popolano le strade storiche e, soprattutto, incontrare persone cordiali e affettuose. Fuori in provincia, in città come Pecs, Szombathely – Sabaria per i romani, il luogo dove è nato S. Martino -, o in piccoli paesi, quali Sarvar, Buk, anch’essi famosi per i loro bagni termali, o Kòszeg quasi al confine con l’Austria, o intorno al grande Lago Balaton, si trova sempre un’umanità calda e una terra simile alla nostra, anche se il territorio, per gran parte una vasta pianura, ha sue caratteristiche tipiche.
Budapest, dalle ampie strade e piazze, punteggiate di verde, collegata da una fitta rete di tram, autobus e metro, è famosa anche per le sue acque termali, che formano i bagni di Tabàn e Vìzivàros o quelli aristocratici dell’hotel Gellért, che glorificano il veneziano Gerardus, divenuto il precettore del Principe Imre, figlio di Re Stefano, agli inizi del secondo millennio. Una visita al bagno turco del Pascià di Budapest – aperto per uomini dal mercoledì al lunedì e per le donne, il martedì, mentre dalle 22.00 alle 04.00 è accessibile a tutti gli adulti -, all’estremità del Ponte Elisabetta, è un’esperienza da non perdere.
Ovunque in Ungheria si trova sempre un’umanità calda e una terra simile alla nostra, anche se il territorio, per gran parte una vasta pianura, ha sue caratteristiche tipiche. L’umanità comunque dei “magiari”, dal secolo VIII A.D., quando si sono insediati qui, ad oggi, testimonia un’aristocratica personalità, che pur avendo sofferto tanto attraverso la storia, non ha mai perduto la sua dignità essenziale che nobilita questa popolazione, ben diversa, per lingua e costumi, dalle altre del centro Europa.

Enzo.farinella@gmail.com

Duna

Duna

 

 

 

 

 

 

 

 

Ungheria: una nazione affacsinante dal triste passato

Mentre giornalisti europei discutono a Budapest problemi dell’Unione, visioni della storia di questa nazione si avvicendano alle onde del suo Danubio.
L’Ungheria, l’ex Provincia Romana della Pannonia – superficie: kmq 93.093 e popolazione: 11 milioni -, oggi di nuovo una Repubblica parlamentare, uscì sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale. Il Trattato di pace di Versailles del 1920 la privò di circa due terzi del territorio, prima più grande dell’Italia, lasciandola economicamente stremata e in balia della nascente Germania nazista e dell’Unione Sovietica. Nel nuovo ordine deciso dalle due dittature totalitarie non ci fu posto per un’Ungheria indipendente.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’Ungheria libera e con un proprio Parlamento, fece sforzi enormi per non cadere nell grinfie di Hitler. Ma il 18 marzo 1944, questi invitò il Premier ungherese Miklos Horthy in Germania e, profittando della sua assenza, il giorno dopo ne ordinò la premeditata occupazione. Per cinque mesi gli ungheresi furono sotto il Terzo Reich, durante il quale ben 437,402 ebrei ungheresi, vennero inoltrati verso i campi di sterminio di Auschwitz e la maggior parte non fece mai ritorno.
Nel frattempo, il 27 agosto 1944, le truppe sovietiche attraversavano il confine e la nazione intera divenne teatro di guerra e poi preda dell’occupazione sovietica. Le due superpotenze si batterono con ferocia e Budapest fu il baluardo da difendere e conquistare. L’assedio russo a questa città durò dal Natale 1944 al 13 febbraio 1945. Tutti i suoi ponti vennero fatti saltare dai nazisti, gli edifici pubblici dannegiati, 30.000 case distrutte e la città divenne inabitabile.
Iniziava così la dominazione sovietica con il placet della Commissione di Controllo degli Alleati. Due formazioni politiche sorsero allora in Ungheria: la prima voleva una nazione indipendente e democratica; l’altra, guidata dal Partito Comunista Ungherese, prediligeva il tipico sistema sovietico. Nelle elezioni parlamentari del 1945, 57% votò a favore della prima, mentre i Comunisti ottennero solo il 17% dei voti. Ma, nonostante tale successo elettorale inequivocabile, la Commissione di Controllo degli Alleati non permise la formazione di un governo senza la partecipazione dei comunisti, anzi pretese che il Ministero degli Interni e, quindi, la polizia politica, andasse a loro. Con il braccio forte della polizia politica, il Blocco di Sinistra usò tutti i mezzi possibili, dagli assassini politici alle intimidazioni e alle torture, per impadronirsi del potere. Quando, nel 1947, la situazione politica internazionale si calmò, il Partito Comunista consolidò la dittatura totale in Ungheria. Essi rapirono in pieno giorno il Segretario generale del Partito dei Piccoli Possidenti, Bela Kovacs, e subito dopo organizzarono un colpo di stato contro il Premier Ferenc Nagy, forzandolo a dimettersi e sciogliendo il Parlamento. Nelle elezioni che seguirono in quello stesso anno, nonostante indimidazioni e frodi di ogni genere usate dai comunisti, solo il 22% della popolazione votò per loro. I sovietici comunque avevano decretato già la fine della democrazia ungherese, rimasta sospesa per oltre 40 anni, a favore della dittatura totalitaria, con tutte le conseguenze del caso, quale abolizione della proprietà privata, nazionalizzazione delle industrie, della pubblica istruzione, della cultura, delle finanze e dei servizi sociali. Essi realizzarono questa ambizione eliminando la “reazione clericale”. La Chiesa aveva allora una grande influenza in tutta l’Ungheria. Secondo il censimento del 1949, 70% della popolazione, cioè ben sei milioni e mezzo, era cattolica. Il loro leader, il Card. Mindszenti, fu imprigionato prima dai nazisti e poi, dopo il 1948, dai comunisti. All’inizio del 1948 le oltre 6.500 scuole cattoliche – 5.000 di queste, scuole elementari, – sono state nazionalizzate. Il 26 dicembre dello stesso anno il Cardinale Jozsef Mindszenti, Primate della Chiesa cattolica e Arcivescovo di Esztergom, venne arrestato e condannato, come “reazionario”. La cella in cui è stato detenuto per anni, la si può oggi visitare in una delle strade principali di Budapest, la famigerata Via Andrassy, nel cui n. 60 la polizia politica sfogava le sue ire con ogni tipo di tortura. Con il Pastore anche molti fedeli vennero imprigionati. Nel tentativo di evitare il peggio l’episcopato ungherese fu costretto nel 1950 ad accettare un “concordato” in cui riconosceva il sistema politico vigente e il governo della Repubblica Popolare Ungherese. Nel 1951 fu introdotto il Bureau della “Chiesa Statale” con “preti-pacifisti”, ligi alla politica dello Stato comunista, rappresentati nel Fronte Patriottico Popolare e nel Parlamento.
L’internamento di cittadini, sospettati di non condividere le idee del governo, costituisce una delle pagine più nere di questa dominazione rossa. Tra il 1945 e 1948 oltre 40.000 persone sono state internate in Ungheria nei campi di Recsk, Kistarcsa, Tiszalok e Kazincbarcika con migliaia di prigionieri condannati ai lavori forzati, soprattutto nelle miniere di carbone e ferro. Varie dozzine di campi minori funzionavano nelle provincie, mentre altri campi chiusi nella parte orientale della nazione, hanno “ospitato”, a partire dal 1948, intere famiglie.
Il trattamento di simili persone, ammucchiate in sotterranei o in catapecchie senza servizi igienici o altre elementari facilità, sorvegliati da uomini armati della polizia politica, uno davanti ogni cella, soprattutto nella famigerata Via Andrassy di Budapest, comprendeva: interrogazioni notturne, privazione di sonno e spesso anche di cibo e acqua, torture fisiche e psicologiche, faccia e naso contro il muro, braccia stese orizzontalmente a volte fino a 10 o 12 ore, percorse con mazze ecc. Niente cambi di biancheria o bagni o tovaglie, sapone, carta igienica, dentifricio… Le abluzioni giornaliere non potevano superare i 30 secondi. Nella cella una lampada, posizionata all’altezza degli occhi, brillava notte e giorno. Le celle di punizione erano peggiori con spazi di cm. 50×60 ed alte 180cm.
Un’altra pagina nera della dominazione comunista venne scritta nel 1956. Il 23 ottobre, gli studenti manifestavano a Budapest e in altre città a favore di quanto stava succedendo nella vicina Polonia. Ben presto il malessere sociale degli ungheresi venne diretto contro il regime totalitario comunista. Quando la polizia politica aprì il fuoco letale su dimostranti inermi a Debrecen e al Centro televisivo di Budapest, quella che fino allora era solo una protesta, divenne una vera rivoluzione, che chiedeva un’Ungheria indipendente, libera e democratica. Il 28 ottobre, la leadership politico-militare sovietica dovette capitolare. La rivoluzione nominò un suo Primo Ministro nella persona di Imre Nagy, che subito dichiarò il cessate il fuoco e, il giorno seguente, le truppe sovietiche cominciarono a ritirarsi dalla capitale ungherese. La famigerata polizia politica venne abolita e libere elezioni indette. Ma il 30 ottobre l’Unione Sovietica annunziò che intendeva cambiare la sua relazione con le “fraterne nazioni socialiste” e 24 ore dopo ordinò alle sue truppe di debellare la lotta per l’indipendenza ungherese, mandando rinforzi.
Il Governo ungherese allora si ritirò dal Patto di Varsavia, proclamò la neutralità dell’Ungheria e chiese l’assistenza dell’ONU. Ma l’aggressione sovietica continuò. Il 4 novembre i carriarmati sovietici sottomisero brutalmente i rivoluzionari. Mosca nominò allora un governo-fantoccio nel nome del Partito Rivoluzionario dei Lavoratrori e dei Contadini, guidato da Janos Kadar, che mise in atto ogni possibile mezzo dittatoriale e terrorista per chi protestava contro l’occupazione militare sovietica.
Così, 15 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Ungheria venne profanata e Budapest ridotta in macerie. Ventimila furono i feriti ed oltre 2.500 persone perirono, di cui 2.000 solo nella capitale; 200.000 circa hanno dovuto abbandonare la patria; in 15.000 sono stati arrestati; 5.000, tra cui 860 ragazzi e ragazze, deportati dalla KGB nell’URSS, come prigionieri di guerra; 229 sono stati giustiziati. Nel 1961 Kadar decise l’internamento di oltre 10.000 persone che non offrivano molte garanzie in caso d’emergenza. Questa misura è rimasta in vigore fino alla cadutra del comunismo, avvenuta nel 1990. Nel 1958, il Primo Ministro Imre Nagy e tre altri esponenti della Rivoluzione sono stati condannati a morte e giustiziati. Secondo documenti ungheresi e sovietici, i soldati e i civili deportati in circa 1.000 Gulag sovietici dall’attuale Ungheria sarebbero stati 700 mila, di cui 300.000 sarebbero periti di fame e freddo o per la brutalità delle guardie, le esecuzioni sancite dalle autorità russe con processi-farsa, le condizioni inumane con 10-12 ore di lavoro forzato al giorno, in zone lontane dal campo fino a 12 km da percorrere a piedi.
Il Card. Mindszenti è stato liberato dalla rivoluzione del 1956. Quando le truppe sovietiche hanno riconquistato Budapest con i loro carri armati, il Cardinale si rifugió nell’Ambasciata americana di piazza Szabadsag, dove rimase confinato per 15 anni, finchè emigrò nel 1971. Morto quattro anni dopo, le sue ceneri furono riportate in patria nel 1991 e custodite nella Basilica di Esztergom. La sua causa di beatificazione è in corso.
Oggi la lezione del 1956 rimane viva: In quell’ottobre il popolo ungherese provò a se stesso e al mondo intero che non si può essere sottomessi per sempre; ci si deve ribellare anche contro poteri ritenuti invincibili quando l’oppressione e il terrore diventano talmente opprimenti da minare l’identità di una nazione e la sua stessa esistenza. Con il loro coraggio e sacrificio, i combattenti per la libertà ungherese hanno inflitto una ferita mortale al grande impero sovietico. Solo nel 1990, gli ungheresi tornarono a votare in libere elezioni per eleggere democraticamente il loro Parlamento. La visita di Papa Giovanni Paolo II in Ungheria nel 1991 ha simboleggiato la fine di 40 anni di persecuzione religiosa.
Di tutto questo rimane una vaga memoria nell’Ungheria di oggi, soprattutto tra i giovani. Il Governo socialista impopolare di Gyurcsany è passato all’economista Gordon Bajnai, tra accuse di curruzione atavica. Oggi Victor Orban, Primo Ministro ungherese, guida la sua compagine democratica all’interno dell’Unione Europea di cui fa parte dal 2004. Da nazione soggetta a dominazione straniera fino al 1990, l’Ungheria dal 1 Gennaio 2011, ha guidato con orgoglio la compagine europea degl allora 27 Stati-membro. Il baratro economico in cui naviga questa nazione è ancora grave. L’Ungheria, libera e indipendente, è però una realtà indiscussa.
Enzo.farinella@gmail.com

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Ha concluso con un meritato successo la tournee ionica di musica lirica il trio di artisti formato da Giusy Di Mauro (soprano), Alessandro Maccari (baritono) e dalla pianista Luisa Pappalardo. Le loro virtuose esibizioni hanno allietato il pubblico di vari comuni del Comprensorio jonico etneo (Piedimonte- Lingualossa- Acireale- Letojanni- Fiumefreddo) durante le festività natalizie. Un pubblico numeroso ed attendo, in ogni loro tappa ha accolto questi artisti con entusiasmo e tanti applausi. I Maestri hanno offerto un programma vario: arie d’opera e brani di musica sacra, mettendo in evidenza la loro preparazione, la tecnica e la professionalità con indiscussa classe. Il trio ha all’attivo un’ intensa attività concertistica, con un repertorio operistico di grande interesse e popolarità: Verdi, Rossini, Mozart, Bellini e tante altre. Il soprano Giusy Di Mauro ha dimostrato, attraverso la varietà delle sue interpretazioni, capacità sceniche, sicurezza tecnica e grande estensione vocale; il baritono Alessandro Maccari ha dimostrato di essere uno specialista dei ruoli verdiani più difficili, con una bellissima voce ed una potenza nel registro acuto che esalta la drammaticità delle opere di Giuseppe Verdi; la pianista Luisa Pappalardo ha condotto con competenza e musicalità ogni concerto, riscuotendo un consenso unanime. Visti i consensi di pubblico, il trio continuerà anche nel corso del nuovo anno la propria attività musicale a seguito di nuove richieste di sale e teatri della Sicilia.

Concerto di Piedimonte Etneo

Concerto di Piedimonte Etneo

Concerto di Piedimonte Etneo

Concerto di Piedimonte Etneo

Concerto di Letojanni

Concerto di Letojanni

Concerto di Letojanni

Concerto di Letojanni

Concerto di Acireale

Concerto di Acireale

Concerto di Linguaglossa

Concerto di Linguaglossa

Concerto di Piedimonte

Concerto di Piedimonte

8x Piedimonte 18.12.2015

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Cataldo Parisio, meglio conosciuto come Cataldo Siculo Parisio, è stato un umanista vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Chiamato alla corte di Lisbona intorno al 1485, come precettore di Giorgio, figlio illegittimo, ma dilettissimo, del re Giovanni II, a cui il nostro filosofo doveva “commentare l’Etica di Aristotele”, e dei figli dell’alta nobiltà lusitana, non più rientrato in Sicilia nonostante gli inviti di Bessarione Malvezzi e di Lucio Marineo, è stato ben presto dimenticato in patria. Si hanno sue prime notizie in Italia nel XVIII secolo nella Bibliotheca Sicula di Antonino Mongitore dove, a causa di un errore di lettura del titolo di una sua opera, viene chiamato: Cataldo Aquila Parisio. L’errore di questo doppio cognome si è protratto a lungo, dando adito da noi a fantasiose ricostruzioni di possibili ascendenze nobiliari. Lo stesso dicasi per un suo presunto nome, Giovanni, che in alcune citazioni portoghesi si trova tuttora di cui né gli ultimi studiosi portoghesi fanno alcun cenno né vi è traccia negli incunaboli consultati.
Premesso questo, tenendo conto degli studi più recenti di Francesco Tocco, pare che Cataldo Parisio sia nato a Sciacca intorno al 1455. Dopo essere stato allievo di Costantino Làscaris si è trasferito al Nord per completare i suoi studi. Lo troviamo a Padova, dove ha insegnato retorica; a Bologna, dove discepolo del Filelfo, pronunciò un’orazione in lode della città e a Ferrara dove il 21 febbraio 1484 ottenne il titolo di dottore in utroque jure. La fortuna non gli è stata favorevole, come si evince dalle sue epistole, nel trovare protezione presso un mecenate italiano, e così è ritornato a Sciacca, dove ebbe l’incarico di magistratus della città. Di questo periodo e con questa funzione, intorno al 1484 e il 1485, è la lettera inviata al viceré di Sicilia per chiedere aiuto contro la pirateria saracena che saccheggiava la città e i suoi dintorni. Le opere dei pirati vengono descritte con particolari raccapriccianti. Urgeva pertanto l’aiuto del viceré, Lupo de Urreia, perché i cittadini da soli non potevano far fronte alle continue scorrerie dei berberi. Si trova ancora un’orazione ai iudices in magna regia curia di Palermo per chiedere giustizia di “un’orrenda uccisione” di un cittadino saccense mentre attraversava un fiume tra Sciacca e Caltabellotta, ad opera di manigoldi. Non mancano lettere a parenti ed amici siciliani, tra cui ad Andrea Barbazza, Lucio Marineo, ad un tale Antonio di Militello, a Marco di Enna, in cui il nostro umanista discetta di grammatica, ad un tale Pegaso Taurominitano, con cui parla di problemi economici, ed una lunga lettera ad un tale Prospero, rabbino di Trapani, già trasferitosi in Portogallo a causa delle persecuzioni, per invitarlo alla conversione alla fede cristiana. Questo scritto è illuminante sull’atroce persecuzione degli Ebrei, alla fine del Quattrocento, nelle Penisola Iberica e nei territori da questa dipendenti. Numerose sono ancora le epistole a personalità portoghesi e italiane.
Nelle funzioni di segretario del re Giovanni II e di Emanuele I dopo, pronunciò varie orazioni e scrisse lettere diplomatiche ai vari regnanti dei paesi europei, ai papi Innocenzo VIII, ad Alessandro VI, a suo figlio, il cardinale di Valenza, Cesare Borgia, e a molte personalità civili ed ecclesiastiche. Non mancano pure lettere ai discepoli ed amici piene di premure, ma anche cariche di astio verso gli avversari. Vivendo in Portogallo nel periodo delle grandi navigazioni, scoperte di nuove terre e conseguenti conquiste, Cataldo aveva sperato vanamente, dopo il fallito tentativo di Angelo Poliziano, di scrivere un’epopea sulle gesta degli eroi lusitani. Per questo motivo si era rivolto a più riprese al re Emanuele, sollecitandolo di affidare l’incarico per immortalare le gesta dei portoghesi, facendo capire indirettamente che lui, Cataldo, era l’unico all’altezza di tale compito. A tale scopo ha lasciato varie lettere indirizzate ai condottieri e ai navigatori chiedendo notizie delle loro imprese.
Pare che sia morto povero dopo il 1516. Della penuria dei suoi mezzi di sussistenza si ha notizia dalle diverse lettere, nelle quali si lamenta di coloro che lo avevano dimenticato, o che, perlomeno, non gli prestavano la dovuta attenzione. Infatti doveva sollecitare il pagamento della pensione regia e/o delle lezioni, scrivendo: “non vivo di aria e di vento, come le api, ma mangio e bevo come gli altri uomini…”. E continua il nostro filosofo con amara ironia: “Oh cosa degna di lode eterna! Cataldo, che per tanti anni ha servito i re del Portogallo non in cose piccole e mediocri, ma in grandi ed ardue, (adesso) mendica il pane”. E consapevole di questa strana fortuna dei poeti, aveva scritto in un proverbio: “Misera è la condizione dei poeti: essi celebrano gli elogi degli altri, ma deplorano la loro miseria”; vergando infine il proprio epitaffio amaramente scrisse: “Qui giace Cataldo oratore, vate giureconsulto, / con lui morta giace Calliope. / Mentre celebrava re, cavalieri, regni e trionfi, / moriva di tristezza, di freddo, di febbre e di fame!”. Per quanto riguarda invece la data della sua scomparsa, in un volume edito nel 1516 veniva ricordato come il più grande latinista vivente in Portogallo. Nel paese di adozione, periodicamente sono state pubblicate le sue opere, in latino evidentemente, quale oggetto di studio; e addirittura nel 1988 per commemorare il quinto centenario dell’introduzione della stampa in Portogallo, in copia fac-simile è stato pubblicato il suo epistolario, contenente il primo volume edito 21 febbraio 1500 (data che ritorna due volte, anche se a distanza di anni, nella biografia del nostro umanista), e ricordato come il primo testo di argomento profano pubblicato in Portogallo!, e il secondo volume di un decennio dopo.
La questione più importante, per cui gli viene prestata tanta attenzione, è perché egli è riconosciuto come colui che ha introdotto le dottrine umanistiche in Portogallo grazie al suo insegnamento e alle opere da lui lasciate: epistole, poemetti vari, epigrammi, epitalami ed altro. Infatti, gli studiosi portoghesi datano l’inizio dell‘Umanesimo nel loro paese nel 1485, ipotetico anno dell’arrivo di Cataldo Parisio in terra lusitana. Ed una lunga lettera indirizzata al marchese Fernado Meneses, padre del discepolo Pietro, che gli ha sponsorizzato la pubblicazione del primo volume delle epistole, è considerata il manifesto dell’Umanesimo in Portogallo per la difesa degli antichi autori del latino classico contro quello medioevale difeso dagli ecclesiastici, definiti “theologiculi”.
Concludo con quanto ha scritto Américo da Costa Ramalho, il più grande studioso del Parisio, da poco scomparso, nell’introduzione all’edizione dell’epistolario del 1988: «In Portogallo, il suo contributo all’introduzione dell’Umanesimo e alla crescita del nostro Paese (il Portogallo) adeguata a livello della cultura letteraria dell’Europa più progredita, a partire dall’Italia, il suo ruolo nella europeizzazione culturale dei Portoghesi è stato di grande significato»!
E in Sicilia? Nemo propheta in patria!

                                             Salvatore Statello

Cataldo Parisio secondo paulo barbosa

Cataldo Parisio secondo paulo barbosa

0 2004

GiardiniNaxos (Me)-Scoppiettante concerto-spettacolo “La Cantata di li pasturi” realizzato nella Chiesa Madre M.SS Raccomandata dal Gruppo Folk Naxos sotto l’egida del Comune di Giardini Naxos in occasione del Santo Natale. Il lavoro ha richiesto anni di studio e di ricerca per mettere insieme vari generi vocali e forme strumentali al fine di dare un valido contributo alla conoscenza delle tradizioni del Natale.
“Musiche, canti, riti e cunti che risalgono al XVIII secolo provenienti da ogni parte della Sicilia, dalla “Notti di Natali” di Trabia alla “Nannaredda” di Alcara Li Fusi, dal “Cantu di Natali” di Villalba al “Ninnu Bedddu” di Giardini, un gioiellino che il Gruppo folk Naxos è riuscito a sottrarre all’ oblio.
Non sono mancate le novene, le nannaredde, canti di questua che venivano eseguiti per le strade la sera della vigilia di Natale, le ninna nanne a Gesù Bambino, i canti degli “orbi”, le pastorali con l’immancabile zampogna , strumento natalizio per eccellenza, il triangolo (azzarinu), la tamorra, il flauto di canna chitarre e organetti strumenti della tradizione. Tanti modi di pregare lo stesso Dio in mille forme diverse.
Sono anni che siamo impegnati a 360 gradi ” ha detto il maestro Nino Buda leader storico del Gruppo Naxos” nel tentativo di non far perdere la tradizione orale degli antichi canti popolari del Natale, un patrimonio inestimabile che vogliamo consegnare alle nuove generazioni .
Un caloroso applauso è stato tributato dal numeroso pubblico all’esibizione dei Piccoli Canterini di Naxos, preparati con cura da Roberta e Carla Buda, che hanno ricreato con i costumi delle statuette del presepio siciliano una vera e propria scena presepiale. I pasturi si presentavano cantando la loro storia e coralmente riuscivano ad animarsi riproducendo i loro mestieri come in un presepio meccanico. Alla performance ha partecipato con successo la blasonata Scuola “Danza Taormina” guidata dalla coreografa Alessandra Scalambrino.
Eccellenti come sempre gli interpreti del Canzoniere di Naxos : Giovanni Cannata, (fisarmonca), Marcello Cacciola (chitarra, flauto di canna, organetto) Felice Currò (percussioni, zampogna, voce), Maria Raneri (voce, idiofoni), Gaetano D’Angi (fisarmonica, voce) e lo stesso direttore Nino Buda (tamorra) che ha condotto sapientemente la serata.

1x Gruppo Folk Naxos

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